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Censis. “Troppe spese, crolleranno i prezzi delle case”

La prima stima del danno arriva dal Censis, secondo cui a fine anno i valori delle case si ridurranno del 20% con punte superiori al 50%. Ma più in generale è la spesa per consumi che si contrae con la riduzione del reddito “sicuro” e l’aumento delle “spese necessarie”.

«Il 41% delle famiglie dichiara difficoltà a causa dell’aumento delle tasse e delle spese fisse. Per questo motivo molti tenderanno a vendere le proprie abitazioni o le seconde case e di conseguenza il valore degli immobili nel corso di quest’anno subirà una contrazione del 20%, con punte del 50%».

Con l’introduzione dell’Imu e dell’aumento delle tasse, ha spiegato Giuseppe Roma, direttore dell’istituto, «nel corso di quest’anno si perderanno i vantaggi degli ultimi tre anni per il mancato pagamento dell’Ici, quindi, i consumatori saranno costretti in molti casi a vendere le seconde abitazioni per far fronte all’aumento delle spese».

«La nuova tassa sugli immobili, insieme alla rivalutazione del 60% degli estimi sono i veri problemi che peseranno sulle tasche delle famiglie italiane le quali, per far fronte all’ulteriore pressione fiscale, prima di intaccare i risparmi ricorreranno alla messa in vendita delle seconde case. E questo farà crollare per la prima volta dopo decenni il prezzo delle case».

Con un certo gusto per l’ironia, Roma ha anche spiegato che le famiglie si stanno trasformando «da soggetto consumatore a soggetto benefattore che fa fronte alle molte mancanze dello stato sociale. Non si può continuare perennemente in questo modo, occorre ridurre la pressione fiscale altrimenti l’asino con troppi pesi sulla schiena finirà per schiantarsi».

Inevitabile dunque una flessione dei consumi stimata al -2,7%. «I consumi diminuiscono perché le risorse delle famiglie sono assorbite dalle spese che non alimentano il libero mercato. L’eventuale aumento delle risorse disponibili vanno infatti per i consumi di carburanti, tasse e tariffe. Di conseguenza i consumi non ripartono perché lo Stato assorbe le risorse delle famiglie».

Inappuntabile. Se qualcuno cercava un motivo per continuare a finanziare le ricerche del Censis, ora l’ha trovato.

 

 

E anche Il SOle 24 Ore comincia a bacchettare la palese faciloneria del suo “governo tecnico”, che comina tecnicamente più casini che soluzioni.

L’esercizio complicato dell’imposta più odiata

di Salvatore Padula

Un primato, l’Imu, se l’è già conquistato. È diventata, in men che non si dica, l’imposta più odiata dagli italiani. Con buone chance di aggiudicarsi presto anche la palma della più complicata. Un primato raggiunto ancor prima del suo debutto ufficiale – l’acconto si può pagare proprio da oggi fino al 18 giugno – e soprattutto, sbalzando dal gradino più alto del podio la tanto bistrattata Irap, «l’Imposta RAPina», come l’aveva simpaticamente battezzata Silvio Berlusconi, quando vinse le elezioni del 2001.
Si poteva fare peggio? Difficile da immaginare, anche ripensando alle convulse giornate dello scorso dicembre, quando sotto la pressione incombente dei mercati il governo scelse, con il decreto manovra salva-Italia, di anticipare al 2012, in via sperimentale ed estendendola all’abitazione principale, la nuova imposta comunale sugli immobili arrivata con il federalismo e lasciata in eredità dal precedente esecutivo.

Nella sua (finta) natura federalista, lo si è detto molte volte, sta forse il “peccato originale” del prelievo. L’Imu è un’imposta municipale solo di nome: metà del gettito derivante dagli immobili diversi dall’abitazione principale finisce infatti dritto nelle casse dello Stato (stiamo parlando di ben 9 miliardi di euro all’anno…).
Un “peccato originale” tanto più grave in quanto si porta persino dietro una complicazione inverosimile: nel modello di pagamento, F24, saranno i contribuenti a dover ripartire l’imposta tra quota statale e quota comunale. Cosa che diventerà un esercizio ai limiti dell’assurdo, a dicembre, quando – come accadrà in moltissimi casi – i Comuni avranno deciso di modificare l’aliquota statale del 7,6 per mille, aumentandola o riducendola.
Per restare ai difetti di fabbrica, l’Imu viene poi percepita come un’imposta non equa. Anzi, quasi regressiva, con un (arcaico) sistema di detrazioni uguali per tutti e ancorata a valori, le rendite catastali, decisamente datate, i cui moltiplicatori sono stati ora aumentati del 60% in modo indiscriminato.

Certo, prima dell’Imu, avevamo un’imposizione sulla proprietà immobiliare molto contenuta rispetto ad altri Paesi, anche per effetto dell’esenzione Ici sulle abitazioni principali. Lo stesso presidente del Consiglio Mario Monti l’aveva definita «un’anomalia del nostro ordinamento». La sensazione è che ora si stia però esagarando dall’altra parte: molte famiglie sono realmente in difficoltà di fronte alla prospettiva di dover pagare alcune centinaia di euro per la nuova tassa.
Suona paradossale, al contrario, che i proprietari di seconde case (abitazioni sfitte) finiscano in alcuni casi per trarre qualche beneficio dall’Imu, come effetto dell’assorbimento nella nuova imposta dell’Irpef fondiaria (che era aumentata di un terzo e si pagava ad aliquota marginale, in base al reddito). Sul versante opposto, penalizzazioni forse eccessive colpiscono sia le abitazioni affittate, perché nessuna agevolazione è prevista per chi applica canoni concordati, sia sugli immobili storico-artistici, sia per l’agricoltura, sia ancora per gli immobili delle imprese, grandi e piccole.

Come se tutto ciò non bastasse, il Parlamento sta contribuendo non poco a rendere lo scenario ancor più caotico. Quasi che l’affannosa ricerca di rimedi e soluzioni sui tanti punti deboli dell’imposta finisca per moltiplicare le complicazioni (per tacere del “mercato” che si è aperto su esenzioni e casi particolari).
Che dire, allora, dei balletti sull’acconto? Due oppure tre rate (aggiungiamo che l’agricoltura verserà gli anticipi con regole ad hoc, con qualche dubbio sull’aliquota da applicare). Si paga entro il 18 giugno con l’aliquota “nazionale”; c’è poi una tappa intermedia (facoltativa) a settembre sempre con la percentuale base. Poi, a dicembre, il saldo/conguaglio con l’aliquota eventualmente modificata dal Comune (che avrà tempo per le variazioni fino al 30 settembre). Con un’incognita non da poco, però. Sì, perché visto che sui calcoli del gettito atteso ci sono ancora incertezze, è previsto che il Governo possa intervenire fino al 10 dicembre per correggere le detrazioni e aliquote di riferimento, vale a dire quelle fissate dalla legge statale su cui poi intervengono le eventuali variazioni dei Comuni. Insomma, da oggi si comincia a pagare, ma quanto si pagherà davvero lo sapremo solo a sette giorni dal saldo del 17 dicembre. E poi uno si chiede perché l’Imu è diventata l’imposta più odiata dagli italiani…

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