Tra Bersani e Monti la conflittualità è pro forma, ma non proprio inesistente. Il ticket che fa sognare gli analisti finanziari, i banchieri e gli investitori è “condannato” a governare insieme nella prossima legislatura (“lo vuole l’Europa”), sotto lo sguardo benevolo di Vendola (cui dovranno trovare qualcosa da fare affinché non si occupi affatto del governo del paese).
È il destino che ha unito chi ha un programma, per quanto scritto altrove – l’”agenda Monti”, l’unico che la Troika è riuscita a immaginare – , e chi ha i voti. Lo schema del governo uscente, insomma, è troppo eccezionale per poter essere riprodotto all’infinito. Questo lo sanno ovviamente entrambi e finita la campagna elettorale scompariranno anche i toni polemici, così la prossima “riforma Fornero” (o come si chiamerà il ministro che ci deve mettere la faccia) potrà essere dipinta addirittura come “progressista e di sinistra”.
C’è sottotraccia un problema irrisolto: il ruolo di Monti. Troppo ingombrante per fare “soltanto” il ministro dell’economia, troppo povero di consensi per fare il premier al posti di un Bersani comunque oltre il 30% dei voti, sembrava perfetto per la sostituzione di Napolitano al Colle. Da lì avrebbe “sorvegliato” l’applicazione del programma della Troika che porta il suo nome, con ancora più invasività di quanto non abbia fatto lo stesso Napolitano.
Che un po’ di ruggine si sia creata negli ingranaggi interno al “ticket” destinato alla vittoria è diventato evidente con la presenza pesante di Romano Prodi sul palco di Milano.
“Riserva della Repubblica” per eccellenza, l’altro “professore” è uomo altrettanto interno al gruppo che comnda l’attuale Unione europea. È stato il presidente della Commissione (Monti solo “commissario” semplice), e in questo momento ricopre l’incarico di inviato speciale dell’Onu per il Mali e il Sahel. Non proprio un ruolo secondario, in questo momento di guerra il loco.
Si può naturalmente pensare che Prodi sia stato chiamato a portare un po’ di “valore aggiunto” moderato a una campagna elettorale che il Pd ha aperto certo della vittoria e sta concludendo come il maratoneta che sente la vittoria sfuggirgli. Ma è altrettanto evidente che, con questa mossa, il Pd abbia segnalato a Monti che un altro presidente della Repubblica, autorevole e credibile, volendo, lo si trova. E potrebbe non chiamarsi Mario.
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