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Renzi al via. Priorità i tagli alla spesa e ai redditi

Su cosa farà – finché starà in piedi – il governo di Matteo Renzi non ci sono incertezze: una massacro sociale di dimensioni mai viste, paragonabile soltanto a quel che è avvenuto in Grecia negli ultimi quattro anni. Le uniche incertezze riguardano “gli strumenti” con cui tale massacro verrà realizzato e organizzato. E i tempi, perché le misure più drastiche – come la riduzione dei salari monetari – non possono essere imposte in assenza di contesto drammatizzante; ovvero non prima dell’entrata in vigore del Fiscal Compact (che entrerà a regime a partire dal 2015).

Vediamo le prime avvisaglie, come al solito affidate alle dichiarazioni di questo quel ministro, sapientemente centellinate oppure dilettantescamente disseminate sui media.

Il neo “vice-presidente” a tutti gli effetti, Graziano Delrio, ha buttato lì una “maggiore tassazione delle rendite finanziarie, bot compresi”; minimizzandone subito dopo gli effetti con frasi da mentitore professionale come “se pure a una signora anziana che ha da parte 100.000 euro di risparmio ne perde 25 o 30 di cedole, che problema è?”.

Vediamo il dettaglio, però. A sinistra, com’è noto, ogni volta che si pronuncia la frase “tassare le rendite finanziarie” tutti scattano con l’applauso (“finalmente anche i ricchi piangano”, do you remember?). E anche noi saremmo in genere favorevoli, purché si capisca di quali rendite si sta parlando. Per non passare da oppositori “preconcetti” del governo che oggi prenderà la fiducia in Parlamento, lasciamo volentieri la parola al Corriere della sera:

Con un eventuale allineamento della tassazione alla media europea (l’Italia, col 12,5% sui titoli di Stato e il 20% su azioni, obbligazioni, dividendi e depositi, si colloca 2-3 punti sotto) si potrebbe incassare infatti al massimo un miliardo, dicono gli esperti. E comunque anche un inasprimento dell’aliquota del 12,5% sui titoli di Stato colpirebbe solo una piccola parte di questi, quelli in mano alle famiglie, ovvero 174 miliardi su un totale di 1.740 miliardi in circolazione (dati Banca d’Italia). Il 90% dei Bot, Cct e altri titoli di Stato è infatti detenuto da banche, assicurazioni e società finanziarie, tutti soggetti per i quali i redditi da capitale finiscono nell’imponibile fiscale complessivo, e che quindi sono indifferenti alle variazioni dell’aliquota secca.

Dunque: la “tassazione delle rendite” cui pensa Delrio (ma forse anche altri ministri) riguarda esclusivamente i “risparmi dei pensionati” (che solo il pochissimi casi possono vantare “risparmi da 100.000 euro”, come saprebbe spiegargli un qualsiasi impiegato delle Poste), perché – dati i meccanismi fiscali differenti sulle “persone fisiche” e le “società di capitali”, per prime sarebbero colpite mentre le seconde no. Ecco, questo tipo di “tassazione delle rendite” non ci piace affatto… è un modo subdolo e leggermente infame di mettere le mani in tasca a chi, comunque, non ha molto e quel poco è il “gruzzoletto” messo da parte in una vita di lavoro (quando ancora il lavoro consentiva di metter da parte qualcosa, “privilegiati!”).

In ogni caso, questo tipo di tassazione non servirebbe granché: pochi soldi, forse un miliardo in tutto. Servirebbe solo a far dire al governo che “tassiamo le rendite per ridurre il cuneo fiscale”. Una “cosa simbolica”, da cui comunque non deriverebbe neppure un euro di “danni” per le rendite finaziarie vere, quelle di banche, assocurazioni, fondi di investimento, ecc…

Pier Carlo Padoan, finalmente giunto dall’Australia, dove era riunito il G20 e in cui stava rappresentando l’Ocse, ha avuto un primo lungo vertice con Renzi, per mettere a punto i dettagli delle “manovre urgenti”. La parola d’ordine sembra essere la solita promessa: «Niente nuove tasse, ma una rimodulazione fermo restando l’orizzonte del governo di una diminuzione della pressione fiscale complessiva». Come abbiamo visto con i bot, sono chiacchiere.

Padoan, fin qui, parlando da capo-economista dell’Ocse, ha sostenuto la necessità di un “riequilibrio del trattamento fiscale tra lavoro e rendita”. Ora, da ministro dell’economia, dovrà selezionare con cura quali “rendite” falciare garantendo comunque “ai mercati” la loro quota di interessi sul debito pubblico italiano. Altrimenti quei 400 miliardi necessari a “rinnovare” il debito nel 2014 diventerebbero irreperibili.

Quindi dalle “rendite” arriverà solo quel miliarduccio sfilato dai risparmi dei pensionati che si possono permettere di tenere qualche migliaio di euro in bot.

E il resto, da dove pensano di prenderlo?

La “revisione della spesa pubblica”, o spending review, farà la parte del leone.Il commissario Carlo Cottarelli, ex alto funzionario del Fondo Monetario Internazionale, ha messo al lavoro 25 tavoli “di settore”, ritiene di poter sfilare dalle uscite almeno 4 miliardi per questo anno. Come?

Un miliardo tramite “l’estensione del raggio di azione del metodo Consip”, la società controllata dallo stesso ministero dell’Economia per l’acquisto centralizzato di beni e servizi, oltre che dal taglio della spesa per affitti di immobili per gli uffici pubblici (730 milioni l’anno solo per lo Stato centrale, fondamentalmente Camera e Senato, che hanno “uffici distaccati” ormai in decine di palazzi del centro di Roma, in maggioranza peraltro di proprietà di un solo immobiliarista “fortunato”, Sergio Scarpellini).

Naturalmente si cercherà di dismettere il più possibile delle società partecipate, soprattutto degli enti locali, oltre che da “ricontrattazioni” delle forniture, risparmi vari su sprechi veri (le auto blu, per esempio). Ma anche qui, poca roba, come somme totali da destinare ad altro.

Delrio ha già promesso la “mobilità obbligatoria”, non contrattata, per i dipendenti pubblici. Quindi preparamioci ad assistere a migrazioni bibliche di impiegati (ed anche operai) pubblici da una parte all’altra del paese, con relativi problemi di alloggio, trasloco, ambientamento, dissoluzione dei rapporti sociali. Con retorica “buonista”, l’ha presentata come alternativa ai licenziamenti (che avrebbero comportato, però, numerose revisioni legislative e persino costituzionali, sempre passibili di condanna da parte della Consulta). In ogni caso, vengono previsti “esuberi”.

Poi c’è la “speranza” di ricavare 3 miliardi da un non semplice né probabile rientro dei capitali illecitamente nascosti all’estero e sopravvissuti alle pur generose tentazioni offerte dagli “scudi fiscali” di Tremonti. Qualche sicurezza in più, invece, viene dalla riduzione degli oneri per interessi sul debito pubblico; qui la diminuzione dello spread – sceso ormai stabilmente sotto i 200 punti rispetto ai Bund tedeschi – farà sicuramente sentire i suoi effetti, salvo improvvise (e in parte previste) nuove fiammate di crisi.

In tutto, una decina di miliardi utilizzabili per finanziare una “robusta riduzione” del cuneo fiscale sul lavoro: 2,5 miliardi in meno a favore delle imprese (-10% sull’Irap) e il resto ai lavoratori dipendenti e ai pensionati, che si dovrebbero veder aumentare le “detrazioni” soprattutto sui redditi più bassi (si parla 450 euro netti l’anno in più per chi guadagna 15 mila euro; meno di 40 euro al mese). Ma non fatevi prendere subito dall’entusiasmo: ce li toglieranno mediante un incremento della “tassazione sui consumi” – ovvero con un nuovo aumento dell’Iva, del bollo sull’auto, tasse varie sugli immobili (quasi l’80% della popolazione ne possiede uno, in genere la casa di abitazione o “quella del paese d’origine”), ecc.

Mentre un altro robusto bonus di entrate potrebbe arrivare dal ripristino della “tassa di successione”, un’imposta che esiste in tutto il mondo capitalistico avanzato ma che qui, nella concorrenza delirante tra centrodestra e centrosinistra, era stata prima ridotta a poco (da Prodi) e infine cancellata (da Berlusconi).

 

 

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