Nella recente inchiesta della magistratura napoletana che ha coinvolto i precari BROS sono emerse, ancora una volta, notizie e citazioni che accrediterebbero l’idea di un intervento diretto della criminalità organizzata la quale avrebbe agito, nel corso degli anni, nelle dinamiche di organizzazione e di lotta dei movimenti dei disoccupati.
Non è la prima volta che la Procura della Repubblica punta a mischiare fatti e contesti diversi tra loro al fine di configurare le vertenze e la conseguente organizzazione dei disoccupati organizzati come una sorta di associazione a delinquere costituita per estorcere, attraverso le forme di lotta classiche dei movimenti sociali, il lavoro.
In anni recenti questo maldestro teorema accusatorio non ha retto alla prova dei fatti e l’azione della Procura è stata più volte stoppata.
Questa volta, però, il lavorio accusatorio del pool di pubblici ministeri, costituito ad hoc per seguire le vertenze sociali e sindacali nell’area metropolitana di Napoli, mira non solo alla repressione degli attivisti più in vista dei movimenti dei disoccupati ma all’inquinamento culturale e politico dell’intera stagione di lotta dei movimenti dei disoccupati.
In alcuni paragrafi dell’inchiesta dei Pubblici Ministeri Raffaello Falcone, Raffaele Tufano, Monica Campese e Urbano Mozzillo, coordinati dal procuratore aggiunto Gianni Melillo, viene avanzata l’ipotesi che alcuni clan del centro storico cittadino (Misso-Giuliano) avrebbero condizionato, appoggiato ed etero/diretto il movimento dei disoccupati organizzati attraverso la compravendita di posti di lavoro che avrebbe fatto affluire denaro nelle casse dei clan. Nell’inchiesta i giudici citano le testimonianze di due pentiti eccellenti, gli ex capoclan Giuseppe Misso e Salvatore Giuliano, i quali descrivano un fantomatico business tra camorra e liste dei disoccupati compiuto a cavallo degli anni ’70 ed ’80.
E’ evidente, quindi, l’operazione, da parte della Procura della Repubblica, di opacizzare l’attuale stagione di lotta dei disoccupati mischiando fatti ed avvenimenti accaduti più di 30 anni fa e che, come è naturale che sia, nulla hanno in comune con la Vertenza BROS e con le altre e varie espressioni di lotta manifestatesi in questi ultimi anni.
A questo punto – anche per ristabilire la verità dei fatti e per ridare dignità e rispetto alla lotta dei precari BROS – è utile fare qualche richiamo storico che può tornare utile alla comprensione degli avvenimenti ed all’impegno di lotta per demistificare questo nuovo passaggio repressivo contro i precari BROS e le loro ragioni sociali.
Tutti sanno che all’indomani del terremoto del 23 novembre 1980 un grande movimento di lotta per il lavoro e la casa si sviluppò nel nostro territorio coinvolgendo migliaia di persone le quali, anche grazie ai disastri prodotti dal terremoto, furono indotte ad organizzarsi e lottare per il lavoro ed il diritto alla casa.
Proprio nei mesi successivi al sisma il movimento di lotta dei disoccupati organizzati diede vita a grandi manifestazioni, che costrinsero all’allora Ministro del Lavoro a correre a Napoli per sottoscrivere un accordo (poi subito rimangiato) con i disoccupati. Contemporaneamente il movimento per la casa occupava migliaia di appartamenti sfitti nell’intera cintura metropolitana ed imponeva leggi e provvedimenti in direzione di un grande piano di ricostruzione.
Si era, quindi, in presenza di una importante ciclo di insorgenza sociale che – anche allora – sperimentò sulla propria pelle i metodi della repressione statale. I compagni dirigenti di quel movimento furono inquisiti ed arrestati, ogni corteo veniva attaccato dalla polizia con centinaia di disoccupati fermati e massacrati di botte mentre la Magistratura non lesinava carcere e condanne ai militanti politici ed ai disoccupati. (l’allora Pubblico Ministero che seguiva il conflitto sociale era quel Libero Mancuso che abbiamo ritrovato alle ultime primarie del centro sinistra napoletano per la scelta del candidato sindaco)
In quel contesto i partiti politici di allora (precisamente la Democrazia Cristiana ed il Partito Socialista) iniziarono un sapiente lavorio di cooptazione e di aperta corruzione verso alcuni soggetti del movimento dei disoccupati che, temporaneamente, in virtù del fatto che molti compagni che dirigevano i movimenti di lotta erano o in carcere o latitanti, rappresentavano, nel confronto con le istituzioni, le liste dei disoccupati organizzati.
Utilizzando, come tramite e come fattore di ricatto, l’area grigia della criminalità organizzata presente nei quartieri della città, gli assessori dell’epoca contattarono e convinsero questi personaggi ad un compromesso ed una conseguente trattativa al ribasso che mortificò la straordinaria lotta dei disoccupati.
Infatti a fronte di un grande movimento di lotta che aveva coinvolto migliaia di persone – nel 1983/4 – solo 700 persone riuscirono ad accedere, attraverso la costituzione di alcune cooperative, ad una convenzione annuale con il Comune la quale come è noto, a tutt’oggi, non è stata ancora stabilizzata e normalizzata nelle piante organiche del Comune.
In tale passaggio si colloca la presenza della criminalità.
Essendo parte interna a questo accordo per i suoi accertati legami con gli uomini politici del tempo, furono inseriti nei 700 nomi che furono iscritti nelle cooperative che usufruirono della convenzione alcune centinaia di nomi che non provenivano dai movimenti di lotta ma erano persone o legate ai clan del centro storico o che avevano pagato agli scagnozzi della criminalità cifre di denaro per essere collocati negli elenchi.
Quando i pentiti della camorra citano questi avvenimenti parlano, a sproposito, della lista Banchi Nuovi e i nostrani Pubblici Ministeri configurano, immediatamente, una continuità tra quella situazione e quella dei giorni nostri.
Nulla di più falso e di offensivo per i disoccupati!
L’allora Comitato Banchi Nuovi si oppose a quel percorso scellerato che quel rivolo dei disoccupati organizzati intraprese e ruppe, con determinazione, con quei personaggi e con le loro pratiche di subordinazione ai partiti dell’epoca e all’insieme del contesto di corruzione e speculazione di quella stagione politica. Non è un caso – è questo dato non è un dettaglio – quei personaggi lasciarono la storica sede di Vico Banchi Nuovi e si trasferirono in alcuni locali in Via Banchi Nuovi.
Anzi, in quegli anni, proprio da un bilancio critico ed autocritico di quella stagione di lotta nacque, promosso dal Comitato Banchi Nuovi, il Comitato per il Salario Garantito il quale, in maniera controcorrente, iniziò una difficile mobilitazione sulla necessità della garanzia del reddito/salario. Ma questa è un’altra storia.
Ritornando alle dichiarazioni dei penti di camorra ed alle illazioni dei Pubblici Ministeri napoletani occorre fare un’altra precisazione che riguarda il capitolo ex detenuti.
Fatto salvo il principio che è un obiettivo sacrosanto che i cittadini ex detenuti devono aspirare ad un loro accesso al lavoro proviamo a precisare come nacque il capitolo ex detenuti che pure, maldestramente, i Pubblici Ministeri accostano nelle loro ripetute indagini alla Vertenza BROS.
Sempre agli inizi degli anni ’80 si costituirono alcune cooperative di ex detenuti le quali, negli anni successivi, hanno stipulato accordi e convenzioni con gli Enti Locali e con il Ministero degli Interni per accedere a contratti di lavoro con la pubblica amministrazione.
Oggi molte di queste cooperative o sono sciolte o sono state commissariate ma se i Pubblici Ministeri guardassero i nomi dei primi consigli di amministrazione e l’elenco dei soci cooperatori non avrebbero difficoltà ad evidenziare non solo la presenza di alcuni affiliati ai clan ma rileverebbero nomi di persone collegate organicamente ai partiti presenti in quegli anni sullo scenario politico (dal Movimento Sociale Italiano al Partito Comunista).
Anzi, a conferma che queste cooperative furono accolte ed ufficializzate in maniera unanime dai governati di allora, si può riscontrare che molti “soci cooperatori” non erano neanche ex detenuti ma erano persone provenienti dai bacini clientelari e dagli elenchi di aderenti ai partiti ed inseriti per via preferenziale con tanto di beneplacito della Prefettura.
Quindi, anche in questo caso, se è ipotizzabile un intervento della criminalità organizzata questo è avvenuto in perfetta sintonia con gli assetti istituzionali dell’epoca (Prefettura e Questura compresi) i quali, all’unanimità, sponsorizzavano e lucravano su queste operazioni. In più – a testimonianza – dell’accordo unanime che intervenne c’è da ricordare che le tre principali centrali del mondo della cooperazione (a partire dalla Lega delle Cooperative) diedero a questa operazione il loro esplicito beneplacito e la copertura normativa essenziale.
Del resto l’ultima assunzione di disoccupati ex detenuti (provenienti maggioritariamente dalla Lista Civiltà Nuova III) è avvenuta nel 1988 – ad opera della Giunta Regionale di Rastrelli – quando sono stati costituiti i Consorzi di Bacino nel settore dei rifiuti urbani.
Cosa centrano, dunque, queste vicende con la Vertenza BROS?
Quali legami esistono tra questi avvenimenti (lontani nel tempo) e la genesi ed il percorso del Progetto I.SO.LA e poi BROS?
Perché la Procura napoletana mette assieme questi diversi avvenimenti e spinge, invece, per una sorta di continuità fisica e politica tra quei contesti e la Vertenza BROS?
Perché la stampa cittadina, priva di qualsivoglia spirito critico, sposa in pieno queste interpretazioni giudiziarie e nega ogni pubblico diritto di replica ai disoccupati?
Perché la DIGOS trasmette le intercettazioni telefoniche di alcuni disoccupati che esprimono una loro libera scelta di votare questo o quel partito come un probabile elemento di reato?
Perché la DIGOS configura come crimine, ed addirittura come un fondamento costitutivo dell’associazione a delinquere, l’attivismo personale e la propaganda di alcuni disoccupati a favore di questo o quel candidato alle elezioni?
Perché la dichiarata disponibilità, da parte di qualche disoccupato, di voler svolgere propaganda elettorale per questo o quel candidato (che non dovrebbe essere reato, almeno fino ad oggi) viene presentata come una scelta consapevole ed organizzata perseguita dall’intero movimento dei precari BROS?
E’ evidente che la DIGOS e la Procura vogliono inquinare la lotta dei senza lavoro napoletani accostandola a fatti e personaggi delinquenziali con l’obiettivo palese di isolare e distruggere, anche mediaticamente, questa Vertenza.
Negli atti processuali i Pubblici Ministeri si spingono ad azzardare una specie di periodizzazione delle storia pluridecennale dei disoccupati organizzati. I P.M. ritengono, in maniera disinvolta, che la prima fase di quell’esperienza costituì un fattore di progresso e di emancipazione mentre l’attuale Vertenza BROS rappresenterebbe una degenerazione di quel filone.
Inoltre i P.M. si sentono autorizzati a giudicare la natura dei provvedimenti adottati dei governi nazionali e delle amministrazioni locali in materia di formazione professionale e di creazione lavoro adducendo, secondo loro, quali sarebbero i provvedimenti giusti e quali risulterebbero “assistenziali”.
Nelle carte processuali i P.M. sposano e sponsorizzano in pieno la linea politica e normativa dell’amministrazione Caldoro e si lasciano andare in giudizi politici, sulle scelte in materia di provvedimenti sociali, che non competono assolutamente alla loro funzione inquirente e giudicante.
Siamo, dunque, in presenza di uno sconfinamento del potere della Magistratura nel campo della dialettica politica e del confronto sociale il quale dispiega, apertamente, uno scenario inquietante che dovrebbe suonare come un campanello d’allarme per quanti hanno a cuore la libertà di lotta e di organizzazione sociale e politica.
Difendere i disoccupati BROS arrestati e sottoposti alle misure di custodia, richiedere verità e giustizia per questa Vertenza, opporsi al teorema accusatorio della Procura della Repubblica di Napoli, smascherare i truffaldini rapporti della DIGOS sono l’obiettivo per non abdicare e soccombere alla prepotenza di un azione di schiacciamento del conflitto sociale e politico nella nostra città
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