C’è poco da fare: con Renzi a Palazzo Chigi e alla guida del Pd, Berlusconi è sopravvissuto a se stesso. Inutile arrovellarci il cervello su chi potrebbe essere il suo successore. C’è già: si chiama Matteo Renzi e viene da Pontassieve, Firenze. Lo stile c’è tutto, l’improntitudine pure.
Nel merito delle misure di ristoro dell’economia appena presentate ci sarebbe molto da dire, ci stanno provando fior di giornalisti, opinionisti, perfino accademici, ma, trattandosi per ora soltanto di annunci, di buone intenzioni, sarebbe forse il caso di soprassedere, concentrando l’attenzione esclusivamente sulla strategia comunicativa messa in piedi dal neo – premier, l’unica cosa concreta su cui, al momento, è possibile dire qualcosa di sensato.
Nelle ore che hanno preceduto il Consiglio dei Ministri ci si chiedeva se i provvedimenti per rilanciare i consumi, l’economia, l’occupazione, sarebbero stati presi con decreto o con un disegno di legge, oppure se le coperture finanziarie sarebbero state garantite tagliando questo o quel segmento di spesa pubblica.
Renzi ha tagliato la testa al toro: né decreti né disegni di legge, men che meno l’indicazione delle fonti di finanziamento del suo ambizioso piano. Ha annunciato le sue intenzioni, approvate dal Consiglio dei Ministri, replicando a quanto già fatto nella campagna elettorale delle primarie e nell’occasione della questione di fiducia alle camere. Di più c’ha messo solo le slide.
C’è una logica in tutto questo? Certo che c’è. Il giovane premier intende tenere alte le aspettative degli italiani nei confronti del suo governo, alimentandole di volta in volta con annunci ad effetto e polpette mediatiche sempre più pirotecniche e sofisticate.
Il primo banco di prova di questa strategia sarà dato dalle elezioni europee, che Renzi vuole vincere con largo margine per stroncare sul nascere eventuali tentativi di arrembaggio da parte dei suoi nemici interni. Subito dopo si tratterà di concedere qualche boccone di quanto generosamente promesso, per poi passare, velocemente, a nuovi annunci propagandistico – dilatori che rinfocolino il sentimento di fiduciosa attesa nei confronti del suo esecutivo.
Evidentemente, stanti anche le condizioni generali del paese, la corda non si potrà tirare troppo a lungo. Ben presto incominceranno ad affiorare rabbia e disincanto, ma lui, esattamente come il Berlusconi dei tempi migliori, tirerà l’asso dalla manica: “non mi hanno fatto lavorare”. Chi? Tra nemici interni al partito, alleati pavidi e inaffidabili, burocrazia conservatrice, Europa matrigna, avrà solo l’imbarazzo della scelta.
Sto esagerando? Non credo proprio. La politica, ridotta a teatrino autoreferenziale, indebolita dal trasferimento di poteri in materia economia e finanziaria a strutture transnazionali, oggi è, per un leader nazionale, rimanere il più a lungo possibile sulla cresta dell’onda delle aspettative popolari. Berlusconi, maestro di campagne elettorali e di costruzione del consenso, questo l’aveva capito molto bene. Il giovane premier-segretario, da par suo, lo sta addirittura superando.
Non vi chiedete quanto potrà durare questo gioco, perché Renzi la sua partita l’ha già vinta. Si tratta, adesso, solo di goderne il più a lungo possibile i benefici.
Se qualcuno avesse dei dubbi su quanto sto dicendo, valuti attentamente il monito di Olli Rehn prima e quello della Bce dopo: “L’Italia non ha fatto nessun progresso per far scendere il deficit. Nel 2013 il disavanzo è rimasto al 3% contro il 2,6% raccomandato dall’Europa”. Cosa c’entra? Presto detto. Il nostro paese è uscito da poco da una procedura di infrazione per deficit eccessivo che la Commissione europea aveva aperto nel 2009. Nel frattempo c’è stata la Legge di stabilità del governo Letta, prima bocciata da Bruxelles, poi promossa valutando una serie di misure “a latere” messe sul tavolo dal precedente esecutivo. Stiamo parlando di dismissione di patrimonio pubblico e di spending review (32 miliardi in 3 anni), quelle cose di cui si sta occupando il Commissario straordinario per la revisione della spesa Carlo Cottarelli, lo stesso che dovrebbe trovare le coperture per il piano shock di Renzi, che tutto insieme varrebbe quasi 90 miliardi di euro.
Delle due l’una, allora: o si sta dentro i parametri europei – e Renzi dice che bisogna rispettarli “per il futuro dei nostri figli” – o si rilancia l’economia liberando all’uopo le risorse necessarie. Senza dimenticare che dal 1 gennaio 2015 diventerà operativo il Fiscal Compact, che ci impone risparmi draconiani per portare il nostro debito al di sotto del 60% del Pil in venti anni.
Renzi questo non lo sa? Lo sa, lo sa. E’ solo che ha imparato in fretta la lezione: meglio un annuncio ben confezionato oggi che un risultato concreto dopodomani. La politica di oggi esige velocità.
* politologo, cura un blog anche su Huffington Post nel quale compare questo stesso articolo
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