Menu

L’asse Renzi-Merkel contro il lavoro dipendente

Renzi sbarca a Berlino con un’idea “fantastica” in testa: convincere Angela Merkel – in realtà Bundesbank – che un lieve rialzo del rapporto deficit/Pil può avere effetti positivi sull’economia del Vecchio continente, a partire naturalmente da quella italiana, che rappresenta una bella fetta della torta europea.

Promette – anche alla Germania, di fatto all’Unione Europea – che non sforerà il tetto del 3% piazzata lì da quei “geni” che firmarono il trattato di Maastricht (non esiste nessuno sturdio scientifico, di nessuna scuola, che dimostri la “virtuosità” di questo limite); al massimo atrriverà al 2,8%, o al 2,9, invece che al 2,6 previsto e contrattato con la Troika per quest’anno.

Nel rapporto con i vertici tedeschi il televenditore di Firenze dovrà mostrare qualcosa di ben più dettagliato delle misere slides con cui ha provato ad ammaliare la stampa nostrana, notoriamente di bocca buona e condiscendente con il governante di turno. E non basterà ripetere che “siamo abbastanza grandi”, o che “non siamo asini da mettere dietro la lavagna”, quindi meritevoli delle stesse eccezioni di cui hanno goduto in passato sia Berlino che Parigi in merito al deficit.

Dalla sua ha un fatto economicamente incontrovertibile: tagliare l’Irpef e mettere qualche spicciolo in busta paga ai lavoratori dipendenti più poveri (10 milioni di persone) si traduce sic et simpliciter in aumento dei consumi, quindi della domanda di beni, quindi del Pil sia italiano che europeo. Non tantissimo, appena 2 miliardi (secondo uno studio Fmi del 2012), ma meglio di niente…

Il problema è però il doppio taglio di questa misura, che – dice lui – verrà finanziata per buona parte con tagli alla spesa pubblica, anche se 10 miliardi sembrano un po’ troppi per quest’anno (dice il commissario apposito, Carlo Cottarelli, che guarda caso proviene proprio dal Fmi). Lo stesso studio del Fmi, nella parte specificamente dedicata all’Italia, spiega che un taglio della spesa pubblica di 10 miliardi determinerebbe una contrazione del Pil di ben 15 miliardi. Basta un keynesiano normale a spiegare perché…

La partita si gioca dunque sulla credibilità delle “riforme strutturali” che Renzi sta mettendo in cantiere, a partire dalla “madre di tutte le riforme”: quella distruzione del valore del lavoro che sembra qui l’unico modo di far volare i profitti e quindi, in misura minore ed indirettamente, di fa cresce un’occupazione precarissima e pagata meno dei livelli di sopravvivenza.

Sarà dunque il “jobs act” la parte succulenta da mettere sul tavolo di frau Merkel. Quasi un’assicurazione sulla “reddività” degli investimenti produttivi in Italia – salari bassi, sindacati messi alla porta, “complici” compresi, ecc – che si estende per analogia ai “bassi prezzi” che le imprese italiche “contoterziste”, pezzi interi della filiera controllata dall’industria teutonica, potranno praticare nei prossimi anni.

 

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *