Pochi mesi fa tutti i mass media italiani hanno raccontato con grande simpatia la lotta dei giornalisti della tv di stato greca contro i tagli decisi dal governo in nome dell’austerità. Ora mettono all’indice lo sciopero Rai come rivolta di burocrazia e privilegio, e Renzi su questa onda parla come Berlusconi: fatelo pure così guadagno voti.
Paradossalmente questo sciopero sottolinea tutta la crisi di CGIL CISL UIL. Che hanno lasciato passare la terribile controriforma delle pensioni, la cancellazione dell’articolo 18, il jobs act, la politica di austerità, e ora si ribellano ai tagli alla Rai. Coerentemente con la linea di resa totale di questi anni, la CISL si sfila anche da questa protesta, ma non è che gli altri ne escano bene. In Grecia i sindacati hanno contrastato passo dopo passo la politica della Troika, e anche se non hanno ottenuto risultati, sono ancora in campo e anche per questo la lotta dei lavoratori della tv ha raccolto solidarietà generale.
CGIL CISL UIL non ci hanno neppure provato, nel nome della concertazione e della ricerca del meno peggio. Non hanno ottenuto nulla e ora non hanno più alcun consenso nel paese, fatto su cui maramaldeggia il governo. Il disastro Alitalia sta per diventare un nuovo simbolo della sconfitta sindacale. L’azienda viene svenduta agli sceicchi dai fallimentari imprenditori italiani, ci saranno migliaia di nuovi licenziamenti e la sola obiezione viene dalla Commissione Europea, che pur liberista considera tutto questo troppo. Ma questo è il quadro economico e sociale italiano sul quale ha trionfato Renzi.
Il voto alle europee premia con un consenso da anni 50 un partito e un leader che fruiscono di un sistema di potere e sostegno senza precedenti nella storia repubblicana.
Con il PD di Renzi stanno sia Obama che Merkel e soprattutto Goldman Sachs e Bildenberg. Le agenzie di rating lo premiano e la finanza internazionale lo elogia. Da noi poi il sostegno dell’establishment è totale. In nessun momento della storia repubblicana, neppure nel breve periodo della unità nazionale alla fine degli anni 70, c’è stato un tal sostegno comune al governo da parte di banche, Confindustria, CGIL CISL UIL, Conferenza Episcopale, terzo settore, enti locali, mondo dello sport e dello spettacolo, giornali, televisioni, tutto.
Renzi a sua volta è riuscito a mescolare la vecchia capacità comunicativa di Berlusconi, l’affidabilità finanziaria di Monti, la rivolta contro le caste di Grillo, e a fare di tutto questo un messaggio di speranza privo di agganci concreti, che ha fatto presa su un paese democraticamente stremato. Qui non c’è davvero nulla che sembri una vittoria della sinistra, fondata sulla partecipazione e sulla crescita di lotte e movimenti. Il consenso a Renzi si fonda sulla fine delle illusioni e sulla rassegnazione.
La forza di Renzi sta nell’inerzia e nella passività diffusa tra le persone massacrate dalla crisi, che si aggravano con l’assenza di azione sociale e sindacale, mentre tutte le élites investono su di lui.
Per fare che? Per costruire con il consenso una gestione neoliberale della crisi in Europa. Potremmo davvero esportare il Gattopardo in tutto il continente. Quando Van Rompuy afferma che finora la UE ha difeso gli affaristi e ora si deve occupare delle persone parla come Renzi. E naturalmente agisce come lui, visto che continua a portare avanti i negoziati con Usa e Canada per quello sconvolgente via libera alle multinazionali che è il TTIP, e vuole rafforzare il fiscal compact con l’ERF.
La Grecia è stata una cavia in tutti i sensi, non solo per la sperimentazione delle più brutali politiche di austerità, ma anche per la comprensione dei limiti del puro esercizio brutale del potere di banche e finanza. Per questo la signora Merkel è una fan ricambiata di Matteo Renzi. Perché bisogna cambiare dosi e modalità di somministrazione di una medicina che però deve restare sempre la stessa.
Gli 80 euro nella busta paga sono questo. Come ha detto Tsipras, sono una misura concordata con Merkel per rendere più accettabile la continuazione della politica di austerità. Che non a caso viene contemporaneamente ribadita nei suoi tre cardini: la flessibilità del lavoro, cioè la riduzione dei salari e dei diritti, le privatizzazioni, la riduzione della spesa pubblica sociale nel nome del pareggio di bilancio, che siamo il solo paese euro ad aver inserito nella Costituzione.
La Commissione europea ci chiede nuovo rigore mentre i disoccupati veri sono 6 milioni e quelli ufficiali più della metà. Ma non c’è alcun reale cambiamento nella politica economica anzi. Renzi non ha mai posto in discussione il vincolo europeo, anzi ha sempre più spesso affermato che i problemi sono da noi e che si cambia l’Europa cambiando l’Italia con le riforme, liberiste. Il vecchio slogan di Monti che dobbiamo fare i compiti a casa diventa l’obiettivo di essere i primi della classe.
Siamo la seconda cavia d’Europa, dopo la Grecia. Lì si è usato solo il bastone, qui si prova con Renzi. Il futuro della nostra democrazia dipenderà da se e come si costruirà una opposizione a tutto questo dal lato della sinistra.
L’opposizione del M5S è un dato di fatto e raccoglie sempre un vasto consenso che a mio parere non è affatto destinato a crollare, ma si autodefinisce né di destra né di sinistra. Infatti mette assieme critiche anticapitaliste e posizioni ultraliberiste, cosa che le permette di allearsi con Farage, il leader che più in Europa interpreta l’anarco capitalismo di destra dei tea party americani. C’è poi una opposizione di destra frantumata, ma che potrebbe riorganizzarsi attorno al lepenismo e speriamo che non ci riesca.
Ci sono movimenti ambientali come i Notav e lotte sociali come quelle sulla casa o dei facchini supersfruttati, c’è una mobilitazione giovanile e precaria che non si ferma. Contro tutti questi movimenti è oggi in atto una strategia della tensione della repressione, soprattuto nelle grandi città, guidata da forze del PD.
Ma tutto questo purtroppo non apre una crisi nel regime renziano, che soprattuto si nutre della passività e del senso di sconfitta del mondo del lavoro.
Ciò che manca in Italia è una opposizione al regime renziano dal lato della sinistra, come invece sta crescendo velocemente in Grecia, Spagna Portogallo. Il risultato della lista Tsipras è un segnale, ma non un risultato. Perché questo cominci a vedersi la rottura a sinistra con Renzi deve essere totale. E deve accompagnarsi alla ricostruzione del conflitto, cioè ad una critica radicale a CGIL CISL UIL nel nome della ricostruzione di un forte sindacalismo conflittuale.
Occorre operare perché il disegno di Renzi e di chi lo sostiene fallisca, altrimenti perderemo altri venti anni scoprendo ora Blair e Clinton, quando ovunque la loro politica è oggi sotto accusa per essere stata una delle cause di fondo della crisi mondiale.
Bisogna che Renzi fallisca per ripartire sulla via della democrazia e della eguaglianza sociale e per questo ben vengano quelli che i renziani chiamano gufi, purché siano consapevolmente i ribelli alla normalizzazione.
Il 28 giugno, vigilia della presidenza italiana nella Unione Europea, a Roma scenderanno in piazza le forze sindacali, la sinistra, i movimenti che considerano avversari Renzi e l’Europa del fiscal compact. Si chiameranno gufi ribelli e inaugureranno il Controsemestre italiano in Europa.
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