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Verso la manifestazione del 28 giugno. Intervista a Fabrizio Tomaselli (Usb)

Alla vigilia della manifestazione nazionale del 28 giugno che aprirà il Controsemestre, Contropiano continua ad ospitare contributi utili alla discussione sulla mobilitazione in corso e che già ci attende per l’autunno contro il governo Renzi e i diktat dell’Unione Europea.

Il 28 giugno a Roma si terrà la manifestazione nazionale di apertura del controsemestre popolare che movimenti sociali, sindacali e politici intendono opporre al semestre italiano di presidenza dell’Unione Europea, per il lavoro, il reddito, il welfare e contro la guerra alle porte dell’Europa. Con quale spirito e con quali obiettivi avete aderito a questa mobilitazione?

Il 28 giugno è in sintonia con quanto affermiamo sindacalmente da anni e con le iniziative sindacali e sociali che abbiamo messo in campo negli ultimi mesi.  Siamo convinti che soltanto una vertenza generale nei confronti delle politiche che i governi italiani hanno intrapreso in questi anni in perfetta sintonia con l’Unione Europea, possa rimettere in modo quei meccanismi conflittuali in ambito sociale che, abbandonati da anni dalle politiche di Cgil, Cisl e Uil, basate sulla concertazione e sulle compatibilità economiche, sono invece gli unici in grado di far riprendere parola ai lavoratori. Per questo ci apprestiamo ad un 28 giugno che non è soltanto di protesta, ma vuole rappresentare l’avvio di un percorso che rimetta in discussione anche sul piano sociale e sindacale quanto di peggio emerge dall’Unuione Europea. Un percorso che accompagnerà e contrasterà tutto il semestre di presidenza italiana.

Quella del 28 giugno sarà una manifestazione che, nonostante le differenze su alcune questioni tra le varie forze che la promuovono, denuncia esplicitamente le politiche imposte al nostro paese dalle istituzioni europee attraverso una struttura antidemocratica e trattati calati dall’alto. Che bilancio fate rispetto alla relazione tra Italia e Unione Europea?

Sintetizzando al massimo possiamo affermare che ciò che unisce forze sociali e politiche nella giornata del 28 giugno è evidentemente più forte e più importante di ciò che le divide su molti altri temi. D’altra parte quando ci si scontra quotidianamente con una disoccupazione al 14% e al 50% per i giovani, quando non si ha un tetto sulla testa, quando si perde il lavoro e si rimane senza ammortizzatori e senza pensione, quando non si riesce a dare l’assistenza sanitaria ai propri figli, allora tra chi vuole realmente cambiare diventa più facile valorizzare più i punti comuni che non quelli che ti dividono. Non è purtroppo sempre e per tutti così, ma voglio pensare che il 28 sia un nuovo inizio!

Tutti ormai sono contro le politiche di austerità dell’Unione Europea, a parole anche il PD di Renzi, ma in realtà non si può essere contro l’austerità se non si è contro questa Unione Europea. Ciò che è stato imposto violentemente in Grecia sta passando più o meno rapidamente in tanti altri paesi europei, compresa l’Italia: la difesa e il sostegno a banche e finanza, anche se oggi da molti contrastato a chiacchiere, rimane il perno sul quale è costruita la UE. O si parte da questo presupposto e si affronta il problema per quello che è oggi realmente la UE, o si continua a sognare e parlare di una realtà che non esiste se non a livello geografico ed economico. Questa è l’Europa che c’è e questa è ciò che dobbiamo contrastare il 28 giugno, nei prossimi sei mesi ed oltre.

In Italia sono da tempo presenti decine di lotte e conflitti di vario tipo e natura, che però rimangono spesso sul terreno della singola vertenza e faticano ad individuare un terreno di scontro contro i vincoli che la dimensione sovranazionale – l’Unione Europea – pone al pieno esercizio dei diritti democratici e sociali in questo paese. Che ne pensate? Insomma, si può continuare a denunciare gli effetti dell’austerità senza indicare il meccanismo che genera e impone tali politiche?

L’austerità è lo strumento attraverso il quale redistribuire ricchezze, ricostruire profitti in una fase di crisi, aumentare il controllo sociale e politico di centinaia di milioni di europei. Quindi no, non è possibile puntare il dito sugli effetti e neanche sullo strumento, se non si definisce chiaramente chi e per quale motivo determina tali politiche.

Ma le lotte che si susseguono in Italia, come in tanti altri paesi europei, anche se spesso isolate, parziali o limitate, solo apparentemente parlano del particolare. Per quanto riguarda USB, in ogni sciopero, in ogni vertenza e in ogni singola iniziativa, cerchiamo di cogliere il perché del licenziamento, della chiusura di un’azienda, del mancato rinnovo del contratto di lavoro, della repressione che si abbatte su chi genera e pratica il conflitto. Ed in ognuna di queste situazioni c’è sempre una faccia della medaglia che parla italiano e l’altra che esprime le indicazioni che provengono dall’Unione Europea. Perché oggi non soltanto le decisioni macro ma anche le normative del lavoro e quelle che a vario titolo riguardano i rapporti sociali e di produzione nei singoli paesi si determinano a Bruxelles.

L’Unione Europea si è dimostrata un nemico non solo per i lavoratori, i giovani e i cittadini europei – in particolare per quelli dei paesi che subiscono le imposizioni della troika – ma anche per i popoli di aree geografiche più o meno lontane che sono state prese di mira dai meccanismi egemonici di Bruxelles, basti vedere ciò che sta accadendo in Ucraina. Che ne pensate?

Nelle fasi di crisi strutturale come quella attuale è assolutamente scontato che aumenti la tensione sia dentro i paesi, sia tra i paesi, sia tra i gruppi di potere economico nazionali, sia nell’ambito dei grandi blocchi politico-finanziari internazionali. Queste tensioni si trasformano automaticamente in conflitti interni, in aumento della repressione e in guerra economica tra i blocchi, quando non di vera e propria guerra armata. Chi ne fa più le spese sono chiaramente le popolazioni che vivono “ai margini degli imperi”, così come sta avvenendo in Ucraina. Purtroppo sono convinto che in questa fase ci saranno sempre più situazioni come quella dell’Ucraina o della Siria. La lotta per le risorse e per il controllo strategico dei territori è iniziata da tempo, ma oggi diventa ancor più evidente e distruttiva.

Le recenti elezioni europee ed amministrative sembrano aver delineato due scenari: vittoria di un Pd spostato su posizioni ancora più moderate e aumento netto dell’astensionismo. In questo quadro secondo voi quali spazi esistono per accumulare forze a livello sociale e politico contro il governo, le sue politiche e i diktat provenienti dall’Unione Europea e dai suoi apparati coercitivi?

Sarebbe suicida da parte della sinistra non comprendere che gli equilibri politici e sociali sono instabili, che quel 40,8% di Renzi parla con il 50% dei votanti, che il Movimento 5 Stelle è movimento di protesta, che il PD è ormai una formazione interclassista che meglio anche della destra di Berlusconi dialoga con l’Europa delle banche e della finanza. Ma gran parte di questa sinistra parla anche di una Europa che non c’è, di quella dei popoli che si vorrebbe ma che non c’è e non ci sarà probabilmente per i prossimi decenni. C’è veramente bisogno di ricostruirla la sinistra: non ricominciando da 4 (%) come dice qualcuno, ma ricominciando da zero, imparando dagli errori e cercando di farne il meno possibile. Non sono molto ottimista, ma è l’unica strada per ricostruire un protagonismo che da anni ha segnato il passo anche nella cosiddetta “sinistra radicale” in favore dell’elettoralismo, della completa istituzionalizzazione della politica, dell’abbandono del conflitto come elemento di cambiamento della società. Noi come sindacato indipendente e di base non abbiamo mai abbandonato il conflitto sociale ed oggi il disfacimento politico anche se non ancora organizzativo di Cgil, Cisl e Uil dimostrano che avevamo ed abbiamo ragione.

In che modo state preparando la vostra partecipazione alla manifestazione nazionale del 28 giugno a Roma anche tenendo conto del prevedibile clima di censura da parte dei mezzi di informazione?

Alla censura dei mezzi di informazione ci siamo ormai purtroppo abituati da decenni, ma siamo più che convinti che manifestazioni come quella del 28 giugno servano ad avviare e rafforzare percorsi politici, sociali e sindacali che vadano nella direzione dell’alternativa piuttosto che rappresentare punti di arrivo. Insomma la manifestazione di sabato rappresenta per noi una tappa del percorso che non iniziamo e neanche terminiamo il 28 giugno. Lo sciopero generale del lavoro pubblico del 19 giugno scorso rappresenta anch’esso una tappa e non un traguardo. L’estate è lunga e ancor più lungo sarà l’autunno, quando si concentreranno ulteriori tagli al welfare, altre privatizzazioni, aumento della disoccupazione, sempre meno soldi nelle tasche di chi lavora e sempre più disperazione per chi il lavoro non lo ha o lo ha perso.

Per questo il 28 saremo in piazza a Roma e saremo in tanti, provenienti da tutto il paese con la stessa voglia di cambiare. Ci saranno altre tappe e altri traguardi da raggiungere e il 28 giugno serve anche ad arrivarci più forti e determinati.

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