Uno degli istituti più antichi della democrazia parlamentare borghese è la “legge di iniziativa popolare”. Non uno dei più importanti, perché la raccolta delle firme a favore di una nuova, anche se raggiunge l’obiettivo minimo, non basta poi a convincere il parlamento a raccogliere l’invito che sale da una parte della popolazione. Però nessuno aveva mai osato mettere in discussione questa possibilità, visto che – tra l’altro – è un potente indicatore dei “desideri” o degli interessi dei governati.
Altri tempi. La “svolta oligarchica” che sta rovesciando nel suo contrario anche la “democrazia liberale” non sopporta più nessun istituto, per quanto evanescente, in cui la “volontà popolare” possa trovare un naturale – benché depotenziato – alveo di raccolta.
Il governo e la maggioranza che lo sorregge hanno quindi deciso di mandare in soffitta – tra le tante “riforme istituzionali” in via di definizione – anche l’onorato “disegno di legge di iniziativa popolare”. Siccome sono dei falsari senza pudore, non lo fano dichiarandolo come un obiettivo politico. Ma lo nascondono, come per l’esenzione dall’Imu e dalla Tsi per le istituzioni cattoliche, sotto un semplice codicillo “tecnico”.
Sale infatti da 50.000 a 300.000 il numero delle firme necessario per presentare in Parlamento un progetto di legge di iniziativa popolare. Lo prevede un emendamento dei relatori alle riforme approvato dalla Commissione Affari costituzionali del Senato.
L’emendamento dei relatori stabilisce poi che i regolamenti parlamentari dovranno definire dei tempi certi per la discussione e la votazione finale delle proposte di legge di iniziativa popolare. In Commissione erano stati presentati diversi subemendamenti che chiedevano che questi tempi certi (per esempio tre mesi o sei mesi) fossero inseriti direttamente in Costituzione. La Commissione ha deciso di approvare l’emendamento dei relatori, i quali però si sono riservati di avanzare una ulteriore proposta su quest’ultimo punto o in una delle prossime sedute della Commissione o in Aula.
Non può sfuggire a nessuno che sestuplicare il numero delle firme minime necessarie significa ridurre drasticamente il numero dei ddl “di iniziativa popolare” presentabili…
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