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Rai-Set. Renzi senza più la maschera

Cinquant’anni fa, nel manuale del perfetto golpista, al primo punto c’era la presa del palazzo della televisione. Una volta riuscita quella, il paese era conquistabile facilmente giostrando le truppe militari sul terreno e contando sull’assenza di informazioni “neutre”, che costringeva gli oppositori a muoversi a casaccio.

Cinquant’anni dopo, gli eventuali oppositori si muovono a casaccio per decisione propria (evitateci di dover fare l’elenco delle stronzate che albergano nelle teste della sinistra radicale e/o antagonista italiana…), ma il golpisti procedono con l’identico copione. Solo che ora le televisioni sono molte, anche se quelle principali fanno capo a due soli gruppi – la Rai, di proprietà pubblica, e la Mediaset berlusconiana -, e quindi è quasi impossibile bloccare contmporaneamente tutte le redazioni in grado di diffondere notizie “dirazzanti” rispetto alle veline di regime.

L’obiettivo diventa dunque il controllo della catena dei ripetitori attraverso cui viaggiano i segnali. Anche in questo caso le catene sono due – RayWay e EiTower, che fanno capo sempre ai due gruppi prinicipali – e l’idea berlusconiana è semplice fino alla banalità: mi compro l’altra e le fondo, in modo da avere il monopolio. Poi, controllando la’utostrada del segnale, faccio gli affari miei (impedisco ai concorrenti di competere sul piano degli affari, creo un regime vero sul piano politico futuro, a chiunque tocchi la governance autoritaria di questo paese).

Lo pseudo presidente del consiglio, tal Matteo Renzi da Pontassieve, stavolta ha fatto vedere in modo lampante di essere il complice principale del Caimano, o addirittura una sua creatura messa a capeggiare il campo teoricamente opposto.

“Dovete considerare le operazioni di mercato per quelle che sono: non operazioni politiche, ma di mercato. Per questo serve la libertà di chi è sul mercato e il rispetto delle regole. Il governo ha messo delle regole su Rai Way e non intende modificarle. E sono le regole che riguardano il 51%. Punto. Per me la discussione è finita qui”.

Una menzogna pura e semplice, nascosta dietro una presuntissima “neutralità”. Da quando in qua il controllo delle telecomunicazioni è una “pura questione di mercato”? In qualsiasi paese, sotto qualsiasi regime politico, il monopolio in questo settore è dirimente proprio sul piano politico. O c’è un regime in senso stretto (che può essere persino progressista o rivoluzionario), per cui controllo delle reti e controllo dell’informazione vanno a braccetto sotto la proprietà pubblica; oppure c’è una separazione netta tra controllo pubblico del “monopolio naturale” (la rete dei ripetitori) e creazione dei contenuti (ogni soggetto privato li diffonde su quella rete pagando un affitto). In nessun luogo, però, il monopolio delle telecomunicazioni è lasciato a un privato. Per ovvi motivi commerciali (impedisce la concorrenza) e politici (un “regime privato” è intollerabile per i capitalisti come “classe”).

Stabilito che il premier anche questa volta ha mentito, resta da valutare i dettagli. Massimo Mucchetti, deputato Pd ma soprattutto ex giornalista economico di assoluto valore, ricostruisce con poche parole perché quel “limite del 51%” sia una foglia di fico. In primo luogo perché significa accettare una “minoranza di blocco” con pari forza, al 49%, tale da impedire qualsiasi decisione strategica possa danneggiarla anche involontariamente; insomma, una “coabitazione condominiale” perenne tra soggetti che dovrebbero invece competere fra loro. In secondo luogo perché una decisione sul mantenimento o meno di quel limite sarebbe sempre nella disponilibità di qualunque governo futuro, anche di un eventuale nuovo Berlusconi o apparentati (Salvini, per esempio). Impossibile, dunque, che chi ha deciso di “scorporare” la rete dei ripetitori in una società per azioni, quotata in borsa, non sapesse che la “privatizzazione integrale” era una possibilità tutt’altro che teorica.

Un passaggio, insomma, che getta un’ombra nera sul “decreto” minacciato dallo stessso Renzi per “riformare” i criteri di governance della Rai. E che sembra in qualche misura anticipato dalla decisione dell’attuale consiglio di amministrazione di viale Mazzini: ridurre le testate giornalistiche interne da sei a due, “per risparmiare”. A nessuno sfugge che la pluralità di testate interna alla Rai è un’eredità dell’antico “consociativismo”, con tanto di lottizzazione partitica. Ma, appunto, la riduzione a due significa esplicitamente anche la riduzione della molteplicità di voci a due soltanto.

Un “piano” inclinato che nessuno sembra in grado di – o interessato a – contrastare. Neanche i grillini, ipnotizzati con lo straccio del “taglio agli sprechi”. E’ così che i golpisti avanzano…

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