Ieri Bologna ha visto sfilare per le strade della città un corteo chiamato in difesa del diritto a interrompere la gravidanza contro l’iniziativa dei no-choice del comitato no194. Sono scese in piazza circa 300 persone, per lo più attiviste della “favolosa coalizione”, una campagna composta da gruppi, associazioni, collettivi e singole femministe, queer, trans, lesbiche e gay. Al corteo hanno partecipato anche Labas e TPO, e molti altri singoli non direttamente legati a realtà di movimento.
La contromanifestazione si è svolta nel centro cittadino e le cosidette “surfiste dell’autodeterminazione” hanno praticato la loro “frivolezza tattica” accompagnate da cartelli, slogan e cori. Il corteo si è poi concluso in piazza del Nettuno non prima di essersi fermato a protestare di fronte ad alcune farmacie incontrate lungo il percorso per rimarcare il problema dell’obiezione di coscienza che viene spesso praticata da medici e farmacisti negando così la vendita di contraccettivi e di farmaci spesso definiti – a sproposito – abortivi dagli obiettori. Un’altra contestazione è avvenuta in via Altabella presso la sede della Curia bolognese che è stata sommersa con volantini e manifesti.
Bologna è stata scelta come sede per l’appuntamento nazionale del comitato no194 per sponsorizzare la proposta di un referendum abrogativo della legge 194 che dovrebbe rimettere in discussione il diritto all’aborto. Ma alla fine sono stati solo 19 gli antiabortisti che si sono ritrovati in piazza S. Domenico, dopo che il prefetto Ennio Mario Sodano aveva proibito lo svolgimento della loro iniziativa davanti all’Ospedale Maggiore per ragioni di sicurezza. La piazza è stata blindata in tutti i suoi accessi da un dispiegamento non indifferente di polizia che ha garantito ai no194 di svolgere senza disturbi la propria dimostrazione. Relegati, protetti e isolati dalla città nella centrale piazza di S.Domenico, i no194 si sono alternati al microfono recitando preghiere e leggendo i testi della Bibbia di fronte ad un crocifisso con feti insanguinatati, simbolo dei “6 milioni di morti” causati, a loro dire, dalla legge 194.
La controprotesta è nata invece per difendere il diritto all’aborto ma anche per andare oltre la giornata del 13 giugno: “molto più di 194”, rivendica la coalizione che vuole costruire un percorso più ampio e chiede l’abrogazione dell’articolo 9 della 194, ovvero l’eliminazione dell’obiezione di coscienza praticata dal 90% del personale sanitario (dati Laiga, Libera Associazione Italiana Ginecologi per l’applicazione della legge 194) e non dal 70% come invece dichiarano i canali ufficiali del ministero della Sanità. Si parla inoltre del diritto di accedere liberamente e facilmente alla contraccezione di emergenza e all’aborto farmacologico e si vuole riattivare un discorso pubblico sulla sessualità e la salute ripensando la funzione dei consultori e avviando nuove sperimentazioni di neomutualismo.
Sempre più spesso il diritto alla libertà di abortire dipende da dove si vive e in tempi di crisi economica il problema diventa sempre più grave anche in Europa dove l’aborto continua ad essere un diritto fragile. Non ultimo è il caso spagnolo dove la destra ha tentato di trasformare l’aborto da diritto a reato, seppur relativamente depenalizzato, come succede in Argentina (e dell’Irlanda, dove l’interruzione di gravidanza è reato obbligando le donne a costosi viaggi in altri paesi per poterlo realizzare). Manifestazioni a sostegno delle donne spagnole si sono tenute davanti alle ambasciate dei vari paesi europei visto che il governo Rajoy stava preparando un grande ritorno al passato sui diritti delle donne sottomettendosi ai settori più retrogadi della chiesa (e agli interessi della sanità privata). La legge è stata ritirata per mancanza di sufficiente consenso ed è costata il prezzo di un ministro dimissionario, il ministro della giustizia Alberto Gallardón.
Anche il PD ha combinato un guaio quando, nel dicembre 2013, 5 europarlamentari appartenenti all’area renziana del partito sono stati determinanti per la bocciatura della risoluzione Estrela (dal nome dell’eurodeputata del partito socialista portoghese, autrice del testo) sulla “salute e diritti sessuali riproduttivi”. Nel testo si stabiliva il diritto all’aborto sicuro e legale, si proponeva di promuovere un’educazione sessuale adeguata, di stimolare attivamente la prevenzione di gravidanze indesiderate e garantire un accesso equo alla contraccezione in un’ottica di lotta alle discriminazioni di genere. Dopo la vittoria portata a casa dalla destra conservatrice europea siamo arrivati, quasi due anni dopo, all’approvazione della mozione Tarabella, ma l’entusiasmo degli attivisti pro choice è stato smorzato dalla concomitante approvazione dell’emendamento voluto dal Ppe (Partito Popolare Europeo) che sottolinea come l’applicazione delle politiche in materia di diritti sessuali e riproduttivi rimanga di competenza nazionale degli stati membri. Sembra che in questa Unione Europea la garanzia dei diritti sociali divenga sempre più diseguale e funzionale al sistema stesso.
foto tratta da www.zic.it
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