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La Leopolda del “salvabanche” si blinda e si svuota

Un segnale che prova con certezza la caduta verticale della credibilità di un politico è la sua improvvisa necessità di nascondersi, limitare le uscite in pubblico “non protette”, centellinare le occasioni per mostrarsi subordinandole al “successo programmato”. Il segnale è ancora più potente se questa necessità di nascondersi si manifesta addirittura nella “sua” città.

E questa settimana Firenze ha aperto la caccia a Matteo Renzi, convincendolo – prima – a rinunciare alla sua apparizione all’università, in quel di Novoli, dove nugoli di studenti e altri protagonisti dell’istruzione pubblica si erano preparati ad accoglierlo degnamente. E subito dopo con la convocazione della protesta dei risparmiatori truffati dalle quattro banche appena “salvate” dal governo, con ovviamente al centro i toscani di Banca Etruria, se non altro per questioni di prossimità.

E dire che doveva essere la settimana della sesta Leopolda, l’occasione fuori dagli schemi per celebrare “le idee” partorite dal nuovo (si fa per dire…) blocco sociale dominante, compattato intorno al giovane leader…

“Chi viene per parlare di correnti può restare a casa”, ha esordito Renzi nella prima giornata, sempre concentrato sull’obiettivo di annientare quel che resta nel Pd con una provenienza “sospetta”, insomma bersaniani e soci.

Chi invece è arrivato a Firenze per parlare di conti correnti verrà tenuto a distanza dalla polizia. Il permesso della questura li confina infatti ad almeno 500 metri dalla convention, con adeguato schieramento di agenti per convincerli a nuo accorciare le distanze.

Chi nella Leopolda è riuscito a entrarci riferisce di una composizione sociale molto deludente, tanti 40-50enni, pochissimi “ggiòvani”, soprattutto poltronisti duri e puri impegnatissimi nello spartirsi posti (futuri) nei vari consigli di amministrazione su cui i renziani sanno di poter mettere le mani.

Scomparsa, insieme ai risparmi di Banca Etruria, anche la madrina per antonomasia, Maria Elena Boschi, improvvisamente passata da icona da mostrare in ogni luogo a catalizzatrice di tutte le sfighe che stanno colpendo di questi tempi il cerchio magico renziano.

Anche le guardie del corpo mediatiche del renzismo – Repubblica e Corriere della Sera hanno dovuto ammettere che sul decreto salvabanche il loro protetto ha combinato pasticci in quantità industriale, tanto da essere praticamente indifendibile. Persino Saviano è stato riesumato dalla tomba per crocifiggere l’ultraevidente “conflitto di interesse” nella squadra di governo. Di più, Renzi ha aperto un conflitto con l’Unione Europea – attribuendo soltanto alle sue “regole” la contorta formula del salvataggio – che non può esser vinto. Scoprendosi oltretutto su un fronte sociale pericoloso come quello dei “risparmiatori”, definizione confusa e interclassista, ma che aveva fin qui permesso di tenere insieme pezzi di “ceto medio”, piccoli imprenditori di provincia, lavoratori anziani e pensionati, tutti in fila dietro il soggetto trainante dell’ultimo decennio: la finanza.

Il problema è che anche la finanza non è un soggetto unitario. C’è quella grande e multinazionale, che indica le regole che l’Unione Europea deve fissare, che fa il buono e cattivo tempo sugli scenari globali accumulando profitti e rischi incalcolabili; e c’è quella piccola, accattona, provinciale, abituata a lucrare sulla piccola clientela e sul piccolo cabotaggio, e che quando ha provato ad alzare la testa sul big business è stata ricacciata indietro con perdite devastanti (prima delle quattro banchette locali era toccato a MontePaschi, con dirigenti che volavano dalle finestre).

La soluzione escogitata da Renzi e Padoan, dunque, è stata un misto ingestibile di “regole europee” (il bail in che ha espropriato i piccoli correntisti trasformati in audaci obbligazionisti), furberie all’italiana (la garanzia pubblica posta sulle cifre che il sistema bancario privato impegna nel “salvataggio”), tentativi di mettere una pezza (come l’annunciato piccolo rimborso ai correntisti truffati, con benestare della Ue all’”arbitrato” della Consob), ambiguità non sciolte sui futuri assetti proprietari (di chi saranno quelle banche, una volta “salvate”?). Per non dire dell’incredibile impunità – in sede penale e civile – che sembra proteggere ancora adesso gli amministratori delle banche fallite (padre del ministro Boschi compreso, dunque).

Renzi stavolta ha pestato una deiezione e quanti gli stanno intorno hanno dovuto fare un mezzo passo indietro. È presto per dire che questo possa rappresentare l’inizio della fine del suo non entusiasmante ciclo. Certo è che, come prima per Berlusconi, certe “carriere” sono possibili solo se si passa di successo in successo, a passo di carica (“andremo avanti anche da soli, se serve”), trasformando sistematicamente gli ostacoli in trampolini. Se la corsa si arresta, se si inciampa o si scivola, l’aura dell’invincibilità scompare. E tutti vedono che non sei più “il prescelto”…

 

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