Un centinaio di persone hanno partecipato ieri pomeriggio ad una manifestazione convocata a Domusnovas, nel Sulcis, contro la fabbrica di bombe Rwm. La protesta è stata organizzata in concomitanza con quella promossa a Berlino dove si riunivano per l’assemblea generale gli azionisti della Rheinmetall AG, la più grande industria bellica del paese, madre proprio della Rwm Italia Spa di Domusnovas.
Contro il colosso tedesco degli armamenti in Sardegna monta da tempo la protesta delle organizzazioni pacifiste e ambientaliste e delle formazioni della sinistra indipendentista sarda. Nello stabilimento appartenente all’impresa tedesca, che quest’anno ha quadruplicato i dividendi, si producono infatti le bombe che i caccia dell’Arabia Saudita sganciano sulle città dello Yemen facendo strage di civili.
Mentre a Berlino i manifestanti presidiavano l’edificio in cui si teneva l’assemblea degli azionisti della Rheinmetall – nel 2014 condannata a pagare una multa di 37 milioni di euro per il suo coinvolgimento in un caso di tangenti pagate a funzionari ed esponenti politici greci in cambio dell’aggiudicazione di un appalto – i manifestanti sardi hanno preso di mira la fabbrica di bombe di Domusnovas.
Alle 16 – nonostante la Questura li avesse ‘invitati’ a iniziare la protesta alle 17 per non disturbare l’attività produttiva dell’impianto – gli attivisti delle reti antimilitariste hanno occupato la strada provinciale davanti alla Rwm, sorvegliati a vista da un ingente numero di forze dell’ordine – Carabinieri, Polizia e Finanza – in assetto antisommossa. A lungo agli attivisti è stato impedito dai cordoni di forze dell’ordine e da due camionette messe di traverso sulla strada di procedere verso la fabbrica delle bombe.
Poi i manifestanti, dopo aver percorso a piedi e in auto circa due chilometri, hanno raggiunto il portone d’ingresso dello stabilimento davanti al quale sono intervenuti alcuni degli organizzatori della protesta mentre altri stendevano striscioni, cartelli e bandiere sulle recinzioni e sulle pareti dello stabilimento. “Siamo qui ancora una volta a manifestare per chiedere che si fermi immediatamente la realizzazione di ordigni in questa fabbrica – ha sottolineato il leader di Sardigna Natzione, Bustianu Cumpostu – Noi sardi abbiamo rispetto degli altri popoli e non accettiamo di produrre strumenti di morte. Bisogna riconvertirla e salvare i posti di lavoro”. “Dobbiamo far finire questa vergogna per la Sardegna”, ha aggiunto un’altra esponente dei movimenti pacifisti. Presente alla manifestazione anche il senatore del M5s Roberto Cotti. “La cosa più urgente in questo momento – ha detto il parlamentare – è bloccare questo traffico di bombe, un traffico che va contro la legge 185 del 1990. Ogni giorno in Yemen vengono uccisi centinaia di bambini con queste bombe vendute all’Arabia Saudita. Il problema del lavoro è importante, certamente, ma in questo momento assume un aspetto secondario. Bisogna prima fermare questa strage”.
E’ proprio sulle ricadute lavorative di una eventuale chiusura dello stabilimento – come se non fosse possibile una riconversione a scopi civili per assicurare la continuità del posto di lavoro ai circa 80 dipendenti – che fa leva strumentalmente la propaganda delle lobby politiche ed economiche della guerra, ampiamente sostenute dai media locali. Gli organizzatori della protesta di ieri non scindono però la salvaguardia dei posti di lavoro e la lotta per un lavoro che produca ricchezza e vita, non morte e distruzione.
Il corteo, nonostante le pressioni della Questura di Cagliari, un risultato lo ha ottenuto: la direzione dell’azienda ha deciso, vista la presenza dei manifestanti, di chiudere lo stabilimento alle 16.30 e di rinunciare quindi al turno di produzione pomeridiano. Una chiusura momentanea che in molti si augurano diventi presto definitiva.
Luca Fiore
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