La relazione annuale che i servizi di sicurezza hanno consegnato al Parlamento analizzando il quadro delle “minacce” nel 2016, per molti aspetti appare quest’anno piuttosto “imperscrutabile” e strumentale per fini propri.
Analizzata nel suo complesso appare largamente elaborata durante il governo Renzi, rimasto in carica fino al 5 dicembre dello scorso anno, e questo per almeno due motivi:
1) La parte dedicata all’analisi del disagio sociale come “humus” nel quale possono prosperare le spinte sovversive si è fortemente assottigliata. Del resto per il governo Renzi nel paese “andava tutto bene” e dunque gli apparati di sicurezza non potevano dare un’immagine diversa da quella ispirata dalla Presidenza del Consiglio;
2) Proprio durante il governo Renzi, tra Palazzo Chigi e i vertici dei servizi c’è stata parecchia maretta proprio sulla cabina di comando della lotta per la cybersicurezza alla quale viene dato amplissimo risalto nella relazione annuale. Un modo neanche troppo velato per dire che è su questo settore della sicurezza che vanno convogliati e aumentati i finanziamenti, anche a scapito delle attività investigative tradizionali che – con un paese con ridotte tensioni sociali o criminali – non hanno ragione di essere ampliate, semmai vanno sostituite con una maggiore organizzazione dei sistemi di controllo informatici
Molte delle analisi sulla relazione annuale dei servizi circolate in questi giorni, si sono soffermate soprattutto sul capitolo titolato “Spinte eversive e antisistema”, dove però, tranne qualche passaggio, assistiamo sostanzialmente ad un copia e incolla della relazione dello scorso anno.
Quattro pagine dedicate agli anarchici-insurrezionalisti, una ai gruppi marxisti-leninisti, tre sui movimenti antagonisti e una paginetta e mezza sui gruppi fascisti.
Non può non essere sottolineata la perdurante “perversione” per cui, come al solito, si dedicano otto pagine alla “eversione” di sinistra e solo una paginetta ai fascisti. Ma soprattutto va sottolineato e respinto lo schema che in una relazione sulla sicurezza del paese appiattisce sullo stesso livello di minaccia gli anarchici-insurrezionalisti (dei quali si continua a presentare la caricatura dei bombaroli e basta) con le lotte sociali sindacali e ambientali. Viene infatti confermato lo schema di lettura secondo cui c’è disagio sociale e c’è chi lo strumentalizza, come se l’organizzazione dei soggetti sociali del disagio per rimuoverne le cause debba essere ritenuta un problema di sicurezza e non di soluzione ai problemi.
Anche in questo l’analisi annuale dei servizi segreti non presenta grandi novità, anzi presenta una situazione piuttosto normalizzata del paese.
“Sul versante di piazza, l’area antagonista, probabilmente anche a causa della sua frammentazione, non è riuscita a coinvolgere nella mobilitazione il nuovo proletariato urbano” scrivono i servizi, “Nell’ultima parte dell’anno le varie componenti del movimento hanno recuperato una certa coesione intorno alla campagna per il NO al referendum costituzionale percepita come un obiettivo tattico e un’occasione propizia per coinvolgere nel processo conflittuale le varie istanze che si oppongono al governo”.
Relativamente alla categoria di nuovo proletariato metropolitano, nella relazione più avanti viene sottolineato come “Da più parti è stata evidenziata la necessità di elevare il livello della protesta interpretando adeguatamente e dando voce al diffuso disagio che si vive in particolare nelle periferie, reputate luogo simbolo della disuguaglianza sociale, nonché importante bacino da sfruttare per l’attivismo di piazza”.
Interessante, ma già segnalata nella relazione dello scorso anno, la previsione del rischio che sul piano sociale, vada ad aumentare lo scontro tra movimenti della sinistra antagonista con i gruppi neofascisti. Secondo i servizi: “continueranno a verificarsi episodi di contrapposizione (provocazioni, aggressioni e danneggiamenti di sedi) con frange dell’estrema sinistra, per effetto sia della mobilitazione concorrenziale su tematiche sociali, da parte di entrambi gli schieramenti, sia delle visioni contrapposte in tema di immigrazione”.
Sui conflitti nel mondo del lavoro, la relazione dei servizi si limita a registrare che “Sul fronte occupazionale, le formazioni oltranziste, interessate a strumentalizzare vertenze e situazioni di tensione, hanno continuato ad incontrare difficoltà a proporsi come efficace alternativa ai sindacati tradizionali, fatta eccezione per gli ambiti lavorativi meno strutturati o connotati da una dimensione di estrema precarietà”.
Dunque il sindacalismo conflittuale non ha trovato spazio nei settori lavorativi stabili ma è cresciuto in quelli più precari. Scrive ancora la relazione: “Tra i settori più permeabili alle dinamiche contrappositive hanno continuato ad evidenziarsi quelli dei call center e delle cooperative operanti nel comparto della logistica, ove viene impiegata manodopera in prevalenza straniera. In tale ultimo settore il blocco delle merci e la conseguente paralisi dell’attività sono stati ciclicamente “agitati” come il migliore strumento di lotta, da adoperarsi in maniera sistematica per innescare il confitto”.
Interessante la radiografia sul movimento No Tav, quello forse più attenzionato dai servizi e colpito dalla repressione giudiziaria/poliziesca. “Sul versante delle lotte ambientaliste, la campagna contro l’Alta Velocità in Val di Susa, considerata emblema delle lotte di resistenza popolare contro le imposizioni dello Stato, ha attraversato una fase di minor vigore, anche a causa del persistere delle divergenze strategico-operative tra gli attivisti anarchici e le altre componenti valligiane che animano la protesta”.
Una parte della relazione dei servizi di sicurezza è dedicata però anche al movimento contro la guerra e antimilitarista. Forte preoccupazione per la crescita delle proteste contro le basi militari in Sicilia e in Sardegna, vengono attenzionati i movimenti che sviluppano solidarietà con le lotte del popolo palestinese, con le repubbliche del Donbass e con i curdi del Rojava.
Sul piano dell’analisi però i servizi colgono una novità relativa all’imperialismo europeo prima assente dalle loro osservazioni. In un riquadro dedicato proprio al fronte antagonista contro la guerra, scrivono che “L’attivismo in chiave antimilitarista si è tradotto in un’intensificazione della propaganda controinformativa, diffusa sia in rete che nei circuiti d’area, che ha stigmatizzato, tra gli altri aspetti, la percepita intensificazione delle politiche autoritarie e repressive in ambito nazionale e il protagonismo dell’Unione Europea, indicata come nuovo polo delloimperialismo capitalista, potenzialmente alternativo e autonomo rispetto a quello statunitense”.
Altre osservazioni interessanti sulla relazione annuale relative al “fronte interno”, leggibili nella sezione “Scenari e tendenze: una sintesi”. Qui c’è finalmente un tentativo di analisi delle contraddizioni crescenti nella situazione europea. Ne riportiamo integralmente uno stralcio:
“Il 2016 ha fatto registrare due sviluppi in grado di influire sugli equilibri geopolitici su scala mondiale e cioè il voto referendario, in Gran Bretagna, a sostegno della Brexit e l’affermazione, negli USA, di un’Amministrazione con un’agenda fortemente innovativa nel segno di un profondo cambiamento. Molti analisti, sullo sfondo di tali risultati, hanno evocato il tema di una graduale erosione del ruolo e dello stile di vita delle classi medie rispetto a un processo di globalizzazione percepito da segmenti delle società economicamente più avanzate come causa di disuguaglianze e, conseguentemente, di una dilatata base di disagio, disoccupazione e povertà.
La tendenza ad un progressivo ripiegamento sulla dimensione interna declinatasi, a livello europeo, anche in una strisciante disaffezione verso il progetto di integrazione politica, si è accompagnata, più in generale, a segnali di un accresciuto protagonismo degli Stati-nazione in termini di reciproca, intensificata competizione, di assertività sulla scena internazionale e di emancipazione rispetto all’influenza delle istituzioni sovranazionali.
È andata inoltre consolidandosi la percezione di una insufficiente incisività della Comunità internazionale a fronte delle perduranti situazioni di conflitto in numerose aree del mondo e soprattutto nella regione mediterranea
Nell’incertezza e nella fluidità degli scenari, un dato certo è che le vicende che hanno attraversato il 2016 e, soprattutto, le interconnessioni dinamiche tra sviluppi politici, linee di tendenza e sfide securitarie trovano nel continente europeo un significativo catalizzatore sul piano strategico.
La presa d’atto di una realtà complessa e in rapido mutamento ha concorso ad animare il dibattito sull’Europa: ci attende una stagione di riflessione e confronto peraltro in concomitanza con tornate elettorali in Paesi fondatori della UE su correttivi, rimodulazioni e rinnovate architetture funzionali a imprimere reiterato impulso al percorso di integrazione europea.
L’appuntamento della celebrazione, a Roma, del 60° anniversario della firma dei Trattati europei fornirà l’occasione per verificare orientamenti, opportunità e linee di convergenza.
Il nostro Paese guarda alle evoluzioni in atto con una duplice consapevolezza: da un lato, la pronunciata esposizione dell’Italia alle sfide rappresentate dal terrorismo jihadista, dai massicci flussi migratori irregolari e da una non ancora piena ripresa economica e, dall’altro, la necessità di perseverare nelle tradizionali linee di politica estera, fondate sul solido rapporto transatlantico, sulla convinta adesione al progetto europeo e sulla tradizionale funzione di cerniera geostrategica tra Nord e Sud del Mediterraneo.
Il rafforzamento dell’Unione Europea con gli opportuni ribilanciamenti che tengano in debito conto le peculiarità degli Stati membri – rappresenta un obiettivo ineludibile, non solo perché nell’attuale contesto globalizzato la dimensione europea di un mercato unico di circa 500 milioni di consumatori assicura potere negoziale, massa critica, attrattiva per gli investimenti e capacità di resilienza, ma anche e soprattutto per i riflessi sul piano della sicurezza”.
E’ in questo capitolo che viene finalmente analizzato il nesso tra crisi sociale e problemi della sicurezza. “La crescita, in numerosi Paesi, di ampie fasce di disagio e bisogno ed il ridimensionamento di molti sistemi di welfare, renderanno peraltro la competizione economica sempre più vitale anche tra Stati tradizionalmente allineati e membri degli stessi consessi internazionali. Anche la tutela degli asset nazionali di pubblico interesse ha assunto ulteriore valenza negli ultimi anni e si consoliderà nel tempo, in quanto la crescente circolazione di flussi finanziari rende più difficile distinguere tra investimenti strettamente finanziari ed azioni ostili come acquisizioni di controllo con finalità strategiche. Di assoluto rilievo per l’anno a venire è anche l’azione informativa a tutela del sistema bancario e finanziario. Andranno inoltre seguite con immutata attenzione le tematiche attinenti ai mercati internazionali dell’energia, fondamentali per la stabilità stessa del nostro Paese”.
Un preambolo questo che segnala anche la vulnerabilità del sistema economico italiano rispetto alle incursioni delle muiltinazionali e della finanza straniera, un dettaglio ormai chiaramente leggibile con il saccheggio di industrie, risorse e brevetti da parte di gruppi capitalistici di altri paesi, in particolare tedeschi e francesi. Ma è qui che i servizi segreti individuano le possibili minacce che possono derivare dalla connessione tra il perdurare della crisi e della recessione con i conflitti sociali.
Scrivono infatti che: “Anche l’Italia, come molti Paesi, continuerà nel 2017, nonostante l’avviata ripresa, a risentire delle conseguenze della lunga crisi iniziata nel 2008. È un clima economico che molte famiglie vivono con difficoltà e disagio, che potrebbe favorire l’insorgere di una maggiore conflittualità sociale a sua volta alimentata e strumentalizzata da parte di componenti antagoniste per riportare attenzione e attualità alle loro istanze, di cui potrebbe essere corollario una accresciuta mobilitazione di frange estremiste di opposto orientamento. Sono fenomeni da monitorare anche a fini preventivi nelle loro varie espressioni e manifestazioni, tenuto anche conto del fatto che l’Italia ospiterà numerosi eventi internazionali di rilievo, tra cui quelli legati alla Presidenza di turno del G7. Parallelamente, ristretti circuiti che si richiamano all’esperienza degli "anni di piombo" continuano a ricercare spunti teorici per attualizzare il messaggio rivoluzionario”.
Infine, ma non certo per importanza, c’è un capitoletto di estremo interesse sul reclutamento nei servizi segreti, con un rilievo particolare alle università che assume, secondo i nuovi criteri dell’intelligence, il valore di una alleanza strategica sul versante delle conoscenze e dell’expertise.
Nella relazione, e vale la pena di leggerlo con attenzione, è scritto che :”Da un lato, l’intelligence – strumento non convenzionale, che opera sulla linea più avanzata per la difesa delle Istituzioni democratiche – attraverso la relazione con l’Accademia si pone in condizione di offrire ai decisori pubblici e agli operatori privati un prodotto informativo arricchito dal patrimonio di conoscenze elaborate in sede scientifico-accademica; dall’altro, l’Università trova nel Sistema per la sicurezza della Repubblica – a tutto vantaggio dell’interesse nazionale – un importante terminale della propria attività di ricerca, concorrendo nell’interpretazione di dinamiche sociali, culturali e politiche in continua evoluzione, e nel predisporre modelli e strategie efficaci ai fini della protezione degli interessi politici, militari, economici, scientifici ed industriali dell’Italia.
L’alleanza intelligence-università è particolarmente feconda in tema di sicurezza cibernetica. Tra le numerose iniziative in corso, riveste rilievo la collaborazione strutturata con il Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica (CINI) – cui partecipano centinaia di accademici e ricercatori appartenenti a decine di Università Italiane – che ha dato vita al Laboratorio Nazionale in tema di cybersecurity finalizzato allo sviluppo di progetti di ricerca e capace di erogare formazione di livello avanzato nel settore di riferimento”.
Tutta la parte finale della relazione annuale è invece dedicata alla prevenzione del cybercrime, del cyberterrorismo e all’enfasi con cui viene chiesto al parlamento e al governo di dedicare a questo settore maggiori risorse (il via è stato dato nel 2013 e poi sancito con apposito provvedimento nel 2016), magari evitando sparate avventuristiche e sgradite come quella di Renzi che a capo di questo settore (in espansione e lucroso) voleva mettere il suo compagno di merende Carrai. E’ per questo motivo che la relazione annuale dei servizi segreti al Parlamento ci sembra molto ma molto funzionale ai propri interessi di bottega e meno “di spessore” degli anni scorsi.
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