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Il Pd di Renzi prova a ripartire dal Lingotto

Il PD (R) tenta di ripartire dal Lingotto di Torino dopo la severa bastonata del referendum. In vista delle primarie il clan che dirige quello che fu un “partito personale”e che ormai appare come in piena crisi di identità, ritiene di dover avviare l’itinerario della propria rivincita da un luogo che ritiene “evocativo”: lo stesso dal quale nel 2007 fu lanciata l’idea di un partito riformista che raccogliesse le residue forze di quelli che si ritenevano epigoni delle più forti tradizioni politiche nella recente storia dì’Italia: quella del Partito Comunista e quella della Democrazia Cristiana, intesa quest’ultima come luogo dell’unità dei cattolici in politica. Qualcuno parlò di “amalgama mal riuscita”.

In effetti l’idea di ripartire dal Lingotto non è evocativa di nulla: se si pensa di utilizzare questo tipo di richiamo si deve già parlare di analisi sbagliata perfino dal punto di vista della costruzione di un ipotetico “immaginario”.

Anzi, dal punto di vista dell’impatto simbolico l’effetto è esattamente contrario: il Lingotto evoca, prima di tutto, una clamorosa sconfitta (quella del 17 a 11 inflitto nel 2008 da Berlusconi a Veltroni), e poi una serie di illusioni gettate al popolo perché vi credesse allo scopo di fargli seguire pedissequamente il capo puntando a realizzare il metodo che è stato definito “dell’uomo solo al comando”.

In tempo di  crisi l’antica risposta dell’uomo forte. Il PD, poi trasformatosi in PD (R) (il solco di questa trasformazione però era già stato tracciato ben prima dell’avvento di Renzi) si è rivelato un partito che ha finito con lo svolgere una funzione drammaticamente letale per la credibilità del sistema politico italiano attraverso l’esaltazione della “vocazione maggioritaria” e la forma – politica dettata dalle primarie dell’individualismo competitivo.

Soprattutto il PD ha fallito la propria vocazione governista attuando il tentativo più oscuro di manomissione dell’identità repubblicana del nostro Paese (quella fragile identità ereditata dall’unico vero fatto storico di coinvolgimento di popolo: la Resistenza).

Un tentativo di manomissione per fortuna respinto dalla volontà popolare proprio nel momento in cui ci si stava avviando a compiere un pericoloso salto nel buio.

Si è verificato uno scontro brutale quando, saltata l’intermediazione partitica, si è cercato di imporre un’ulteriore processo di  verticalizzazione del potere a fronte, invece, di una organizzazione sociale sempre più orizzontale.

Si è così smarrito il senso comune dell’agire politico e il PD si è trasformato nel campione di questo smarrimento, mentre altri procedevano per strada della semplificazione delle risposte rivolte ad una sempre più complessa articolazione della domanda.
La risposta nel referendum è stata chiara, ma la lezione pare non sia stata ben appresa: il 4 Dicembre PD e alleati partivano dai 12.706.169 voti (PD-NCD-Scelta Civica-SVP) raccolti alle elezioni europee del 2015 che avevano fatto registrare 27.371.747 voti validi.

Il 4 Dicembre si è registrato un massiccio ritorno alle urne con 32.851.715 voti validi. Il SI’ ha incrementato il proprio numero di voti di sole 726. 039 unità, mentre il NO è salito di 4.753.929 voti: un vero e proprio “plebiscito alla rovescia” (alla fine il NO ha registrato 19.419.507 suffragi) che ha fornito una indicazione politica fortissima riguardo la “pars destruens” del sistema politico. IL PD ha dunque fornito un formidabile contributo al processo in atto di distruzione del sistema.

Tutto ciò è avvenuto mentre si aprivano le porte a opzioni politiche molto pericolose, dichiaratamente di destra nei contenuti anche se ammantate di molteplici dimensioni pre – politiche: il vaffa, il giustizialismo, il prevalere di una falsa democrazia diretta.

Nel mentre, la destra  espressamente “dichiarata” riprendeva fiato poggiando sull’altro pilastro del fallimento storico delle classi dirigenti; quello riguardante l’Europa (sulla questione europea pesano le maggiori responsabilità di un establishment dimostratosi, prima di tutto, incapace di analisi politica e succube dell’economia) con il relativo – drammatico – corollario delle guerre e dei relativi flussi migratori.

Queste sono le ragioni sommariamente esposte per le quali manca al sistema politico italiano la “forza evocativa”.

 Nessun Lingotto, ma neppure nessun ipotetico Teatro San Marco  potrà restituire credibilità a un quadro esausto, laddove la capacità di rappresentanza politica si è esaurita in un gioco sterile che ignora le contraddizioni reali di una società sfrangiata all’interno della quale le persone comuni faticano a trovare ragioni di convivenza quotidiana.

Troppi appuntamenti annunciati sono stati mancati nel degradare progressivo della possibilità di espressione collettiva delle istanze sociali come ha dimostrato la complessiva qualità di governo dimostrata nel corso degli anni avanzando un vero e proprio “arretramento etico” che, tra pranzi, cene, autopromozioni milionarie, intrecci di bassa leghe, che coinvolge anche i nuovi arrivati al banchetto del potere.

La sinistra si è smarrita da tempo dentro questo dedalo oscuro. Uno smarrimento iniziato  almeno da quando, venticinque anni fa, non  si trovò la forza per innestare un processo di innovazione che tenesse conto della storia e della realtà rappresentata dai soggetti sociali di effettivo riferimento.

Al momento dello scioglimento del PCI non c’era nessun “gorgo” ad attendere i naviganti, soltanto la tristezza di un esercizio dell’autonomia del politico fondato sulla ricerca di consenso in via plebiscitaria di elezione in elezione, senza cultura, senza pedagogia, senza aggregazione civile e sociale.

La grande incognita rimane quella del quando e del dove una sinistra coerente troverà la strada per ricostruirsi e presentarsi seriamente sulla scena politica: difficile riuscirci però senza aver cercato almeno il bandolo della matassa delle grandi e inedite fratture che oggi agitano la scena mondiale.

Altro che la riscoperta della “gentilezza”: sarà il duro confronto con le grandi contraddizioni sociali del nuovo medioevo il banco di prova per ritrovare la strada di una sinistra coerente con la propria storia.

 

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1 Commento


  • Daniele

    Fatevene una ragione: di comunismo si parlerà "FORSE" tra una cinquantina d'anni, sperando di non ripetere gli errori del passato, tipo Primavera di Praga e Foresta di Katyn, inoltre la cosiddetta "sinistra" è un'evocazione berlusconiana priva di esistenza reale.

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