Non ci aveva convinto fin dall’inizio, e lo avevamo scritto subito. Troppo evidente il tentativo di creare una specie di “isola dei quasi famosi” – per motivi anche lodevolmente diversi – che avesse come punto di approdo una lista elettorale “competitiva col Pd, ma non chiusa a eventuali collaborazioni” con i miliziani di Renzi.
Cero, i discorsi erano stati più elevati, le critiche al renzismo quasi definitive, gli obiettivi ben più lontani nel tempo (ben oltre, insomma, l’orizzonte elettorale). Ma – conoscendo certa “sinistra italiana” (nel senso di sciagura, ovviamente) – non avevamo molti dubbi che la lista elettorale sarebbe stato l’alfa e l’omega intorno a cui questo ennesimo tentativo di evocare la mitica “società civile” si sarebbe inevitabilmente infranto.
Adesso ne ha dato l’annuncio ufficiale Tomaso Montanari, che apprezziamo sinceramente molto come critico e storico dell’arte ma poco credibile nella parte di “rifondatore” di quella melma impresentabile fatta di ex ministri che hanno privatizzato Telecom e fatto la guerra alla Jugoslavia (D’Alema), che hanno steso “lenzuolate” agli appetiti di imprenditori pronti a rivendere a pezzi il patrimonio industriale edificato con i soldi pubblici (Bersani), che hanno affossato scientemente l’immagine stessa dei comunisti (Vendola, Fratoianni, on alle spalle l’onda lunga di Bertinotti), che non hanno mai opposto una minima opposizione a “pacchetto Treu”, riforma delle pensioni (dalla Dini alla Fornero), Jobs Act, decontribuzione per i nuovi assunti (significa riduzione del salario “lordo”, per la parte “differita), decreti fascistoidi da stato di polizia (quelli a firma Orlando e Minniti) e chi più ne ricorda aggiunga pure.
E’ una buona notizia, insomma. Si sgombra il campo da un’ipotesi altamente confusa, ma – in questi tempi poveri di idee – capace di confondere ulteriormente un “popolo di sinistra” che merita sinceramente qualcosa di meglio. Del resto, fina dalla prima assemblea, quel pasticcio si era mostrato chiuso e indifferente alle istanze “popolari”, guadagnandosi da subito fischi e contestazioni palesi…
Nel “manifesto del Brancaccio” c’erano molte singole cose che, prese singolarmente, potevano dare l’impressione di una visione programmatica. Ma questa visione non arrivava mai. Tutto veniva sempre e comunque subordinato alla prospettiva della mitica “lista”.
Come dovrebbe essere noto, i comunisti non hanno preclusioni ideologiche, né pro né contro la partecipazione alle elezioni. In fondo veniamo tutti da una storia ormai centenaria per cui ci si poteva presentare alle elezioni a febbraio, fuggire in clandestinità a luglio e conquistare il potere in Ottobre.
Per la presunta “sinistra” italica, invece, queste sono diventate da decenni l’unica ragione a supporto dell’attività politica. Banalmente, e l’ha capito per primo proprio il popolo che votava quella “sinistra”, l’arrivismo dei potenziali candidati diventava pressoché l’unica ragione di “concorrere”. L’unica altra motivazione, decisamente più nobile, era conquistare qualche sostegno economico al “partito”, fin quando c’è stato un finanziamento pubblico consistente.
La fine del Brancaccio libera, forse, qualche energia positiva che rischiava ancora una volta di lavorare per il re di Prussia. Ma non ci facciamo molte illusioni… Il problema della rappresentanza politica è molto reale, ma richiede il supporto e la verifica di pratiche sociali che ben pochi (tra i soggetti interessati a quel tentativo) possono vantare.
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Il Brancaccio si ferma. Per ripartire.
L’assemblea generale del percorso del Brancaccio convocata a Roma per sabato prossimo, 18 novembre, è annullata. Mi scuso personalmente con tutti coloro che, non di rado con sacrificio, hanno già acquistato il biglietto del treno o dell’aereo.
E mi scuso con tutti i cittadini che sarebbero venuti a discutere la redazione finale del progetto di Paese che è uscito dalle Cento Piazze per il Programma.
Il fatto è che sono sparite una ad una, nelle ultime ore, le condizioni minime per tenere un’assemblea democratica e per pensare che l’itinerario del Brancaccio possa arrivare a raggiungere il suo scopo.
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Ricordo quale fosse il progetto del Brancaccio, nelle parole della relazione di apertura che ho pronucniato nell’assemblea del 18 giugno: «Se fossimo convinti che la forma partito è sufficiente, oggi non saremmo qua: non si tratta di rifare una lista arcobaleno con una spruzzata di società civile. C’è forte l’esigenza di qualcosa di nuovo, e di qualcosa di più grande. Lo diciamo con le parole di Gustavo Zagrebelsky: è necessaria la “più vasta possibile unione che sorga fuori dei confini dei partiti tradizionali tra persone che avvertano l’urgenza del momento e non siano mosse da interessi, né tantomeno, da risentimenti personali: come servizio nei confronti dei tanti sfiduciati nella politica e nella democrazia”». Un’alleanza tra cittadini e partiti, dunque. Ma oggi sento il dovere di denunciare pubblicamente che i vertici dei partiti della Sinistra hanno deciso che, semplicemente, non vogliono questa unione più vasta possibile. Non vogliono questa alleanza con chi sta fuori dal loro controllo.
I segretari di Mdp, Possibile e Sinistra italiana hanno scelto un leader. E questo ha ‘risolto’ tutti i problemi: nella migliore tradizione messianica italiana.
Poi hanno lanciato un’assemblea, che si sta costruendo come una spartizione di delegati tra partiti, con equilibri attentamente predeterminati. E per di più un’assemblea che potrà decidere, sì e no, il nome e il simbolo della lista: ma non certo la leadership (scelta a priori, dall’alto e dal dentro), non il programma (collage di quelli dei partiti), non le liste (saldamente in mano alle segreterie). Un teatro, che copre l’obiettivo reale: rieleggere la fetta più grande possibile degli attuali gruppi parlamentari. Vorrei molto essere smentito: ma ho fortissimi argomenti per credere che, quando saranno note le liste, tutti potranno constatare che le cose stanno proprio così.
Certo non me lo auguro, ma temo che questa inerziale riedizione nazionale della coalizione che in Sicilia ha sostenuto Claudio Fava (per di più senza Rifondazione Comunista) non avrà un enorme successo elettorale.
È anche per questo che quella dei vertici di Mdp, Possibile e Sinistra italiana a me pare una scelta drammaticamente miope. Non è nemmeno più questione di ‘alto e basso’, o di ‘vecchio e nuovo’: la logica è quella per cui chi è ‘dentro’ il sistema della politica professionale si chiude ermeticamente verso chi è ‘fuori’.
È la logica del partito che garantisce se stesso. E il partito che è stato lasciato fuori dall’accordo, Rifondazione Comunista, ha reagito in modo identico. Dopo aver sostanzialmente preso in ostaggio l’assemblea provinciale del Brancaccio a Torino, Rifondazione ha fatto capire di voler fare altrettanto con quella del 18 a Roma: «prendiamoci il Brancaccio», si è letto sui social.
Non ci sono, dunque, le condizioni minime di lealtà e serenità per garantirvi che l’assemblea non si trasformi in un campo di battaglia tra iscritti a diversi partiti.
In quella assemblea avremmo voluto chiedere, pubblicamente e con forza, come ultima possibilità di una unione più vasta fuori dai confini dei partiti, l’adozione di un percorso veramente democratico (in cui fossero contendibili la leadership, il programma, i criteri di innovazione per le liste): quel percorso dettagliato che avevamo mandato ai responsabili di Mdp, Possibile e Sinistra italiana, senza peraltro ottenere risposta. Rifondazione Comunista (l’unico partito che a questo punto avrebbe partecipato all’assemblea) ci ha annunciato che, invece, avrebbe preteso di votare su una proposta incompatibile con il senso stesso del Brancaccio: e cioè quella di porre condizioni agli altri partiti, come se fossimo un’altra forza politica in cerca di alleanze.
E invece no: il Brancaccio non è una componente. È uno stile, un metodo, un modo di fare politica. Avrebbe avuto successo se fosse riuscito ad essere il motore di un’alleanza tra partiti e forze civiche, tra iscritti a partiti e cittadini senza tessera, non uno strumento per fare alleanze
A questo punto lo scopo del Brancaccio, lo scopo per cui vi avevamo convocati a Roma, è irraggiungibile in ogni caso: e non saremmo responsabili se non dicessimo che un’assemblea senza più nulla da decidere sarebbe solo un rissoso palcoscenico offerto all’impeto autodistruttivo dell’ultimo partito rimasto. L’unica cosa che potrebbe essere partorita ora, infatti, sarebbe una piccola lista di Rifondazione, riverniciata di civismo: ma il Brancaccio era un percorso per una vasta alleanza civica che tenesse insieme i partiti e andasse ben oltre. Qualunque risultato diverso da questo tradirebbe il mandato condiviso da tutti noi: non può e non deve finire con una seconda lista improvvisata, destinata all’irrilevanza e alla coltivazione del risentimento.
È per questo che oggi scendo dal famoso ‘autobus’. Lo avevo promesso a tutti voi, il 18 giugno: «questa ‘cosa’ nasce per ambire a percentuali a due cifre: perché ambisce a recuperare una parte dell’astensione di sinistra. E se dovesse ridursi a una lista arcobaleno con davanti le sagome della cosiddetta ‘società civile’ saremo i primi a dire che il tentativo è fallito». Ecco: oggi, lealmente, vi dico che è così.
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Se almeno un successo possiamo riconoscerci è stato quello di aver parlato una lingua nuova, radicale, diretta.
Di aver saputo indicare con forza le contraddizioni insanabili del progetto che partì da Piazza Santi Apostoli il 1° luglio. Di aver denunciato la follia di un centrosinistra composto con il Pd; e di aver indicato con forza la necessità di un quarto polo di sinistra radicalmente alternativo a tutto il resto.
Ebbene, questa prospettiva è stata vincente: anche per merito della presenza inedita e indiscreta del Brancaccio. A dimostrarlo è il testo della ‘lettera di intenti’ che è stata sostanzialmente ‘imposta’ a Mdp, e alla cui redazione abbiamo contribuito in modo decisivo (nel pieno rispetto del mandato del 18 giugno: quello di verificare le condizioni per una lista unica e credibile).
Quel testo demolisce tutti i ‘risultati’ del centrosinistra, e anzi impegna a ribaltarli: delineando il profilo di una sinistra radicale in Italia.
Dopo questo indiscutibile successo, è però subito arrivata la totale chiusura sul percorso democratico e sull’innovazione delle liste.
E questo è per noi inaccettabile. Perché in un’assemblea costituita con metodo democratico, cioè veramente libera dal controllo dei partiti, avremmo chiesto con forza 4 vincoli: la presenza nei posti concretamente eleggibili della lista proporzionale di un 50% di donne; di un 30 % di under 40; di un 50% di candidati mai stati in Parlamento; e infine la non candidabilità di chi ha avuto ruoli di governo.
Sono sicuro che un’assemblea libera avrebbe considerato con interesse queste minime prove di credibilità. Prove di credibilità necessarie, perché se versi il vino nuovo in otri vecchi, e compromessi, accade quel che accade in queste ore: mentre si annuncia una forza politica di Sinistra alternativa al Pd, si legge che Bersani tratta in segreto con Renzi un’alleanza di fatto. Vero, falso? Un dilemma che non esisterebbe se la guida fosse rinnovata, e democraticamente scelta.
Ma non ci arrendiamo: la forza del manifesto su cui avrebbe potuto fondarsi una lista davvero nuova era la forza del progetto di Italia che è venuto fuori dalle cento assemblee del programma.
Quello che, nella nostra ingenuità, avremmo voluto discutere e approvare il 18: prima di essere travolti dall’onda del cinismo del ceto politico.
È per questo che ci impegniamo a restituirvi tutti i materiali che ci avete inviato, rifusi in un progetto unitario che potremo discutere pubblicamente, insieme, in un incontro che fisseremo nei prossimi mesi: per misurare su quel metro radicale i programmi delle liste che andranno alle elezioni.
E per ripartire da lì.
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Perché vogliamo ripartire. Innanzitutto comprendendo fino in fondo i nostri errori.
Lo diciamo con sincerità: se non siamo riusciti a condurre in porto il nostro progetto non è solo a causa del cieco egoismo dei partiti.
Il 18 giugno avevamo detto: «C’è chi teme che i partiti controllino questo processo, come burattinai da dietro le quinte. Questo rischio esiste. E l’esito di questo processo dipende tutto da quanti saremo, e da quanto determinati saremo. Vogliamo costruire una vera ‘azione popolare’. Ma ci riusciremo solo se la partecipazione senza tessere sarà così ampia da superare di molte volte quella degli iscritti ai partiti. Una lista di cittadinanza a sinistra: questo vogliamo costruire».
Ebbene: non è stato così. Le nostre assemblee in tutta Italia sono state tante, bellissime, importanti. E non abbiamo parole per ringraziare tutti coloro che hanno investito il loro tempo e la loro passione in questa breve stagione di entusiasmo civico e politico.
Ma – noi due per primi – non siamo stati capaci di ‘travolgere’ i partiti suscitando un’ondata di partecipazione nuova e senza etichette. Se nessuno dei segretari di partito cui ci siamo rivolti ha compreso minimamente la vitale importanza di cedere sovranità a un progetto più grande, è stato perché il popolo della sinistra non li ha costretti a farlo con la forza della partecipazione.
Eppure – nonostante tutti questi fatali limiti – in questi mesi abbiamo sentito spirare un vento nuovo: in quanti ce lo avete detto, e scritto!
Ebbene, vorremmo che questo spirito, questo entusiasmo che non si vedeva da tanto tempo, continui a soffiare. Anzi vorremmo riuscire a contagiare più cittadini possibile.
Per questo abbiamo Anna ed io abbiamo costituito un’associazione, che si chiama Democrazia ed Eguaglianza, ed è in quella associazione che, subito dopo le elezioni, vogliamo riprendere il cammino, organizzandoci e moltiplicandoci.
Accogliendo tutti coloro che vorranno partecipare: donne e uomini, con o senza tessere politiche o associative in tasca. Ma senza un ruolo dei partiti come tali, e senza i loro apparati, questa volta: perché sbagliando si impara. Intendiamoci: tanti, anche nei partiti, si sono impegnati con generosità in questo percorso, convinti che la funzione delle proprie forze politiche fosse quella di convergere insieme a tutti gli altri in un unico spazio comune e democratico. Ma queste aspirazioni sono state tradite dai vertici di quegli stessi partiti.
Come dicono parole antiche, piene di saggezza profetica: «non apparteniamo oggi ad una città stabile: lavoriamo per costruire la città futura».
È dunque l’ora di costruire una Sinistra dal basso, una coalizione sociale e civica. Per costruirla sulle strade, nelle periferie, nelle povertà. Attraverso la reciprocità e la cooperazione. Per costruirla con la conoscenza, la critica, la capacità di accendere e collegare tanti fuochi di azione popolare. Per metterla in grado, quando sarà il momento, di riportare nei comuni e in Parlamento il popolo italiano. Per attuare la Costituzione, per rovesciare il tavolo delle diseguaglianze, per invertire la rotta.
Ora serve inevitabilmente un impegno di medio periodo: per questo c’è l’associazione, e ci sarà un nuovo cammino da affrontare insieme.
Ma il percorso, così come lo avevamo proposto al Brancaccio e discusso insieme, non c’è più. Questo non vuol dire che si debba cedere alla rassegnazione. Nonostante la situazione in cui siamo, in tante e tanti non hanno alcuna intenzione di mollare. Lo abbiamo capito dalla pioggia di messaggi queste ultime, difficili, ore: e anche di questa vi ringraziamo.
Dopo aver promosso assemblee, dato battaglia nei propri partiti, coinvolto esperienze civiche e comitati o lavorato con determinazione a far collaborare persone diverse in nome di un obiettivo comune, l’impegno di tante e tanti continua: perché solo le spinte dal basso possono modificare uno spartito già scritto, e sorprendere tutti.
Mentre la sinistra che già c’è continua il proprio cammino, purtroppo solitario, in tanti continueranno a dare battaglia nella società, nelle associazioni e anche nei partiti per invertire la rotta, e iniziare dar corpo e forza alla sinistra che non c’è ancora, e di cui questo Paese ha tremendamente bisogno.
Grazie a voi tutti, e scusatemi per tutti i miei errori e i miei limiti,
Tomaso Montanari
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Mariuccio
VADANO A QUEL PAESE I RACCOGLITORI DI POLTRONE VACANTI… LA SINISTRA “VERA”, IN ITALIA, NON E’ PIU’ RINATA… sempre che fosse tale il PCI di Berlinguer….