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Piacenza e i divieti di dimora ai facchini che rivendicano diritti. Dietro la sicurezza, solo repressione?

Mercoledi mattina, a Piacenza, sono stati comminati 12  divieti di dimora ad altrettanti facchini del magazzino Tnt di Piacenza, iscritti dell’USB. Ieri si è tenuta una conferenza stampa dell’avvocato e dei dirigenti sindacali dell’Usb per denunciare la gravità di quanto accaduto.

I divieti di dimora ai facchini di Piacenza, sono esemplificativi di cosa implichi, oggi, lottare per i propri diritti sul lavoro. Da anni ormai i facchini stanno alzando la testa e chiunque sappia e voglia vedere la realtà può riconoscere chiaramente il grado di ingiustizia e sfruttamento imperante nel settore della logistica. Un sistema che, grazie al sistema di appalti privati e alla catena infinita di subappalti, amplifica da un lato il ricatto dei lavoratori, e dall’altro lo sfruttamento del lavoro stesso.

Questa ordinanza, pur non essendo un effetto diretto del dl Salvini, testimonia l’esistenza di un clima avvelenato sempre di più da esso. Una lettura dialettica delle dinamiche, infatti, fa capire che nessun fatto di questo tipo avviene senza un contesto politico che lo permette e lo legittima. Dal decreto Minniti al d.l. Salvini, le norme in materia di quella che viene definita “sicurezza” nascondono in modo nemmeno così ambiguo, un piano repressivo delle lotte sociali che nel nostro Paese non si vedevano da decenni.

Quello che il dl Salvini afferma, in continuità con il Dl Minniti, è il potere di reprimere con misure volte ad una presunta “sicurezza”, chi come nel caso dei 12 lavoratori della TNT di Piacenza, stava lottando contro l’ingiusto licenziamento del loro collega e compagno Saad. Dietro all’argomento propagandistico dei migranti, infatti, il dl Salvini prevede sanzioni pesantissime per le azioni di protesta come quelle che finora hanno rappresentato gli strumenti di lotta più importanti, tra cui i blocchi. Parole come ordine e sicurezza nascondono in realtà misure volte a stroncare chi si organizza per rivendicare i diritti che gli vengono negati.

I governi che si susseguono non hanno mai messo all’ordine del giorno politiche sociali che migliorino le condizioni di vita dei lavoratori, perchè questo presupporrebbe andare contro i vincoli di bilancio, rompere con le politiche di austerità, stare dalla parte dei lavoratori e non dei padroni, sostenere una politica contrattuale e salariale a tutela dei lavoratori e non dei padroni, ecc.  

Esistono fasce sociali che soffrono, e che come nella logistica stanno alzando la testa, organizzandosi e lottando. Ma ciò che rimane a uno Stato che non si cura di dare vere risposte sociali, è il potere dell’imposizione e della repressione, limitando le libertà, come scritto nero su bianco nella relazione della commissione parlamentare sulle periferie, ultima opera di Minniti, concepita per dare indicazioni al successivo governo.

È in questo contesto politico, in cui il Daspo urbano è sdoganato, che le questure sono legitimate a espellere da una città dei lavoratori che hanno mostrato pubblicamente la realtà di schiavitú nella logistica. È lo stesso contesto politico in cui pochi giorni fa a Empoli Arafet, un lavoratore anch’esso iscritto a USB, moriva “misteriosamente” durante un fermo di polizia, con mani e piedi legati.

Se è vero tutto questo, e se è vero che la libertà collettiva e individuale è di giorno in giorno più ristretta, occorre un fronte comune contro questo processo incalzante, che rivendica pieni spazi di democrazia formale e sostanziale, e amnistia per i reati politici e sociali, azioni che rispondono a una privazione di diritti e a condizioni di disuguaglianza, dunque non perseguibili secondo un diritto asettico, che non tiene conto della gravità della privazione e delle condizioni di disuguaglianza che stanno alla base.

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