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Fine vita. La Corte Costituzionale supplisce ad un Parlamento vile

La Corte Costituzionale con una sentenza decisamente rilevante, ha aperto al suicidio assistito, stabilendo che non è punibile chi agevola il suicidio nei casi come quelli del Dj Fabo, rimasto cieco e tetraplegico dopo un incidente stradale, vittima di atroci sofferenze per la sua patologia, ma pienamente consapevole della sua volontà di considerare quelle condizioni di vita non compatibili con la sua dignità.

Ho aiutato Fabiano perché ho considerato un mio dovere farlo. La Corte costituzionale ha chiarito che era anche un suo diritto costituzionale per non dover subire sofferenze atroci” ha dichiarato Marco Cappato, incriminato e processato per aver aiutato il suo amico a morire. Il suo caso giudiziario ha consentito di far arrivare alla Corte Costituzionale una questione non più rinviabile.

Ma nel suo pronunciamento la Corte ha ribadito come rimanga “indispensabile” l’intervento del Parlamento, già sollecitato inutilmente l’anno scorso a produrre una legge in materia. La Corte aveva sospeso per 11 mesi la sua decisione sulla costituzionalità dell’articolo 580 del codice penale, una norma introdotta 90 anni fa e che pone sullo stesso piano aiuto e istigazione al suicidio, con la reclusione sino a 12 anni. Il Parlamento, con una vigliaccheria che rivela molto di una trasversale subalternità culturale, ideologica, etica dei suoi membri, non si è voluto prendere la responsabilità di discutere e decidere nel merito.

La Corte Costituzionale ha posto però anche dei paletti. In attesa dell’ indispensabile intervento del Parlamento, ha subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della legge 219/2017). Non solo: la verifica delle condizioni richieste (come la irreversibilità della patologia e la natura intollerabile delle sofferenze) e delle modalità di esecuzione deve essere compiuta da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente. Si tratta di cautele adottate “per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili”, un’esigenza già sottolineata nell’ordinanza 207 con cui un anno fa aveva sospeso la sua decisione.

Secondo l’Associazione Luca Coscioni, fino ad oggi sono 761 le persone che, dal 2015, si sono rivolte all’associazione per chiedere informazioni su come ottenere il suicidio assistito all’estero. Almeno 115 di esse si sono poi effettivamente rivolte a cliniche in Svizzera che praticano il suicidio assistito. Ce ne sono anche alcune tra che hanno successivamente cambiato idea.

Ma il numero di richieste di suicidio assistito secondo l’Associazione Exit-Italia è in aumento. In media, ogni sono circa un centinaio gli italiani che chiedono e in vari casi ottengono il suicidio assistito in Svizzera.

Secondo la legge svizzera i requisiti fondamentali per potere accedere al suicidio assistito sono cinque: la presenza di una malattia grave, irreversibile, clinicamente accertata, senza possibilità di guarigione e la capacità di intendere e volere da parte del paziente. Il primo passo prevede l’attivazione dei contatti con la struttura sul territorio svizzero e l’invio della documentazione medica che attesti la patologia da cui la persona è affetta. Dopo l’accettazione da parte della struttura è previsto un colloquio con il medico che accompagnerà il soggetto al fine vita.

Appare evidente come non tutti, anzi pochissimi, possano pagarsi e recarsi in Svizzera per poter usufruire di una fine vita dignitosa. Era tempo che questa possibilità venisse contemplata nella legislazione del nostro paese, anche pestando i calli ai dogmi e alle visioni religiose che continuano ad avere la testa e la mente rivolte all’indietro.

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