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Il conflitto di interessi di Casaleggio

La notizia riguarda la presenza di Davide Casaleggio nel palazzo di vetro dell’ONU a New York come relatore di un convegno sulla “cittadinanza digitale” organizzato dalla rappresentanza italiana presso le Nazioni Unite.

Molti commentatori hanno posto l’accento sul conflitto d’interessi che si sarebbe posto, in questo caso, tra la presenza del titolare della Casaleggio Associati ideatore della piattaforma Rousseau direttamente finanziata dai parlamentari 5 stelle 3 e l’esercizio di un ruolo all’interno di una iniziativa a quel livello organizzata direttamente dal governo italiano.

L’irrisolto conflitto d’interessi raccolto attorno a Silvio Berlusconi dominò per decenni la scena politica italiana ma questo caso che riguarda Casaleggio e il M5S è molto diverso.

Il caso della presenza di Casaleggio all’ONU pone però per intero la questione della concezione della politica e l’occupazione del potere ed è evidente l’importanza che assume l’aver permesso una ribalta di questo genere ad un imprenditore in conflitto d’interessi con la democrazia.

Appare evidente che sorti dal versante dell’antipolitica i 5 stelle si siano rapidamente convertiti ad una idea totalizzante del potere, esercitato con arroganza senza alcuna mediazione possibile, con grande disinvoltura sia rispetto alla politica delle alleanze sia rispetto all’esercizio della decisionalità all’interno del movimento oppure proiettata verso l’esterno (si ricorda il voto di ratifica della nuova formazione di governo con il PD).

A quanti a sinistra pensano al consolidamento di un “blocco politico” con il M5S anche a livello regionale e locale questo episodio della presenza di Casaleggio all’ONU e di esaltazione del conflitto d’interesse pone alcuni questioni .

Ciò che è avvenuto nell’agosto 2019 è apparso a prima vista catalogabile nella categoria dell’eterno trasformismo all’italiana.
Non bisogna però limitarci a quest’osservazione peraltro banale e scontata.
Alla categoria dell’antipolitica trasformata prima in governo e poi approdata alla “casta” infatti debbono essere dedicati alcuni maggiormente approfonditi punti di analisi.
Da diversi anni, infatti, proclamata l’obsolescenza dei concetti di destra e sinistra, era stata imposta un’agenda di discussione limitata al “politica versus antipolitica”.
Erano così emersi in misura massiccia orientamenti dell’opinione pubblica di pressoché totale sfiducia nelle istituzioni, nel Parlamento e nel governo: in questo modo si erano aggregate in tempi rapidissimi vaste aree di consenso.
Era così emerso un fenomeno assolutamente inedito di volatilità elettorale almeno per quel che aveva fino a quel punto riguardato le vicende italiane.

Ricordiamo come si era determinato quel fenomeno della volatità elettorale: la politica e l’antipolitica apparivano fino a qualche anno fadue termini quasi complementari, di cui era difficile fornire una definizione.
A quel tempo nella vulgata allora corrente i due termini parevano appoggiarsi entrambi l’uno all’altro per sopravvivere nel gran circo mediatico: perché questo appariva essere il punto, quello delle visibilità nel gran calderone dell’immagine.
All’altare dell’immagine furono sacrificati i principi di fondo sui quali si basava la politica, come concezione del governo della “res publica” nelle sue diverse forme.
Forme diverse per ideologie e schieramenti differenti: questo è stato lo schema definitivamente saltato con il “contratto” giallo verde e su questa base si realizzava l’indifferenza delle scelte elettorali.
Politica e antipolitica potevano essere votate di volta in volta perché si trovavano rinchiuse assieme nel circuito dell’autoreferenzialità dell’autonomia del politico: un ulteriore passo in avanti nell’indebolimento complessivo del sistema nell’anticamera di una risoluzione autoritaria della crisi della democrazia occidentale.

La formazione del governo PD- 5 stelle ha provvisoriamente (e apparentemente) allontanato il pericolo di un ulteriore scivolamento a destra, almeno per quel che riguarda il sistema politico italiano.

Questa vicenda riguardante la presenza di Casaleggio all’ONU pone in evidenza come si sia di fronte ad un ulteriore passaggio della crisi del sistema basato sulla divisione dei poteri e sulla democrazia rappresentativa.

La sinistra nel determinare le proprie scelte tenga conto che siamo a una crisi più profonda di quanto anche i politologi più accorti stiano avvertendo: una crisi di prospettiva, di valori, di concezione del futuro non certo affrontabile attraverso la formazione di un governo purchessia.

Il tema da porre è sicuramente quello del rapporto tra utilizzo della tecnologia e rappresentatività politica.

Un tema non risolvibile semplicisticamente attraverso la scorciatoia di una app come segno di una visione subalterna della modernità.
Se si pensa a una sinistra coerente e determinata sarà necessario, usando il massimo possibile di pessimismo dell’intelligenza, cercare di muoverci sul terreno della ricerca senza farci ingannare da scadenze apparentemente più vicine e invitanti, ma in realtà illusorie.

Non fermiamoci alla logica del potere seguendo semplicisticamente una modernità priva di valori e di capacità di educazione collettiva.

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