Mentre insegnanti, studenti e famiglie attendono parole chiare su come avverrà la riapertura delle scuole a settembre, dal Ministero arrivano poche certezze, purtroppo negative, e molte idee confuse.
In effetti, la sola certezza è che i precari resteranno precari. Dopo l’infinita polemica nella maggioranza sulla questione del concorso agostano, il governo ha deciso di non decidere, vale dire di stabilire che i precari tali saranno ancora e che la loro assunzione si discuterà in un concorso nel prossimo inverno, naturalmente meritocratico e selettivo.
Il rifiuto, da parte del governo, di indire un concorso per titoli e servizio mette evidentemente a rischio la presenza, all’inizio di settembre, di tutti gli insegnanti che sarebbero necessari per formare classi più ridotte e per una gestione più sicura delle scuole.
Vale la pena ricordare che il concorso per titoli di cui si parla sarebbe stato riservato a insegnanti che hanno almeno tre anni di lavoro nella scuola, quindi già sperimentati sul campo e che avrebbero comunque diritto all’assunzione a tempo indeterminato solo in ragione della loro esperienza.
Sulle altre questioni che attengono alla riapertura delle scuole, il “comitato di esperti” nominato dalla ministra Azzolina sembra muoversi nella nebbia. Si parla di rientri a “scacchiera”, “a reticolo”, ma nessuno capisce esattamente cosa si farà, anche perché sulle questioni più propriamente sanitarie il Comitato di esperti del MIUR si rimpalla le responsabilità con il Comitato di esperti della Presidenza del Consiglio.
Insomma, tra esperti non ci s’intende, o forse ci sono troppi comitati.
Amanda Ferrario, dirigente scolastica e componente del Comitato di esperti del MIUR ha dichiarato, in un’intervista al Corriere della sera, che a settembre ci dovrà essere il rientro in aula per le scuole dell’infanzia, primarie e secondarie inferiori. Questo perché – dice – gli alunni di quelle scuole hanno bisogno di socialità. É vero, ma non si comprende come realizzare tale progetto.
La dott. Ferrario parla di utilizzare – in mancanza di aule – strutture comunali, oratori, persino parchi e giardini. Ma questi ultimi non potranno certo essere usati né in caso di cattivo tempo né, al massimo, dopo il mese d’ottobre. Inoltre, si fa riferimento al rapporto con associazioni del “terzo settore”.
Non vorremmo che dietro al rapporto con le stesse si celasse un piano di esternalizzazione di alcuni servizi scolastici che sarebbero gestiti, comunque. da privati, al di là della natura di tali associazioni, come già avviene purtroppo, in molte regioni, per i nidi d’infanzia.
Quanto alle attività che la dott. Ferrario ipotizza si possano potenziare per migliorare il servizio, ella cita la musica, lo sport, il cinema e il teatro, le arti. Intenzione interessante e condivisibile, tuttavia, si tratta di attività che richiedono spazi attrezzati, strumenti e tecnologie, se non si vuole risolvere tutto con qualche coretto, recitina o disegnino su foglio A4.
Per un progetto del genere ci vogliono finanziamenti importanti, su cui ovviamente il Comitato di esperti non si pronuncia perché non gli compete.
Inoltre, la dott. Ferrario afferma che “l’unità oraria” non deve essere necessariamente di 60 minuti. In pratica, se si fanno periodi di lezione di 45 minuti, anziché di 60, si riduce il tempo scuola rendendo possibile un avvicendamento delle classi negli edifici.
Purtroppo, il Ministero, sino a quest’anno, ha sempre mostrato rigidità in tal senso, imponendo, per esempio, agli insegnanti che lavorano in scuole dove la lezione dura 55 minuti, di recuperare anche quei miseri cinque minuti con supplenze, compresenze ecc.
Con questo metodo, fare tempi di lezione di 45 minuti comporterebbe che ogni tre lezioni ciascun insegnante ne dovrebbe recuperare una. Un “buon” modo per caricare i docenti in servizio di un maggior numero di classi, con aggravio della programmazione, dei consigli di classe, degli adempimenti burocratici e limitare il numero dei possibili nuovi assunti.
Resta poi aperta la questione delle scuole superiori, per le quali il Comitato di esperti ipotizza una ripresa con un massiccio impiego della didattica a distanza, poiché, si sostiene, gli studenti di quel livello d’istruzione sarebbero più padroni delle nuove tecnologie e indipendenti dalle famiglie.
Ciò contrasta con l’esperienza di questi ultimi tre mesi, poiché sono emerse le grandi differenze nel seguire la didattica a distanza che si verificano tra licei, istituti tecnici e professionali, dove l’appartenenza a classi sociali diverse, quindi a situazioni economiche e abitative più o meno favorevoli, provoca discriminazioni importanti.
Non basta quindi fare riferimento all’età più matura degli allievi per immaginare un’efficienza della didattica a distanza che, si è dimostrato, è fortemente discriminante tra scuole e singoli. Ci chiediamo poi se anche un quindicenne non abbia bisogno di quella socialità invocata per i suoi più giovani colleghi.
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