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Lidia Menapace, partigiana, comunista, femminista

Aver ripercorso senza rigore ma addirittura a capriccio il tratto della mia vita fino a qui a me ha fatto pensare quanto sia stata fortunata a nascere quando e dove nacqui, si da poter partecipare nel corso di una sola vita alla Resistenza, al Sessantotto, alla crisi del capitalismo”.

Queste sono le parole che Lidia Menapace scrisse sulla copertina del “romanzo della mia vita” (Canta il merlo sul frumento, San Cesareo di Lecce, Manni, 2015).

Forse proprio le sue stesse parole possono aiutarci a ricordare, ricostruendone pur sommariamente la vita, questa compagna che in quasi un secolo ha attraversato con intelligenza e sensibilità, forza e passione, i momenti decisivi della storia del nostro paese.

Il suo impegno non è mai venuto meno, nemmeno in tarda età. Solo due anni fa accettò di candidarsi al Senato nelle liste di Potere al Popolo.

Nata a Novara nel 1924, Lidia Menapace fu una giovane staffetta partigiana nella gloriosa quanto terribilmente contesa Val d’Ossola, sede di una Repubblica Partigiana. Ha testimoniato la sua esperienza in un libro che andrebbe letto nelle scuole, per la semplicità con cui si spiega la scelta partigiana, per la libertà, di una giovane donna e per la modestia con cui si descrive il suo contributo alla Resistenza (Io, partigiana. La mia Resistenza, San Cesareo di Lecce, Manni, 2014).

Lidia Brisca Menapace (questo secondo cognome era quello del marito, con cui condivise la vita), fu la prima donna eletta nel consiglio provinciale di Bolzano, poi assessore alla sanità e ai servizi sociali. Il suo partito era allora la Democrazia Cristiana, che lasciò nel 1968.

Dai primi anni sessanta aveva avuto un incarico di Metodologia degli Studi Letterari all’Università Cattolica di Milano e il sessantotto rappresentò per quella università e per il mondo cattolico un vero terremoto.

La Cattolica fu la culla del Movimento Studentesco a Milano e in quell’università si formarono diversi dirigenti del movimento, tutti presto espulsi dalle loro facoltà. Fu uno dei segnali della scomposizione dell’unità politica del mondo cattolico, generalmente sino ad allora sottomesso alla DC e dell’emancipazione dei suoi settori più vivi da quel partito.

A Lidia Menapace, autrice di un documento dal titolo Una scelta marxista non fu rinnovato l’incarico d’insegnamento presso la Cattolica.

Fu proprio l’anno seguente che Lidia Menapace s’incontrò con il gruppo del Manifesto, radiato dal PCI, con cui iniziò un sodalizio politico che, pur tra diverse occasioni di dissenso, continuò sino al marzo 1984.

Infatti, in quel momento, non condivise la scelta congressuale del PDUP per il Comunismo, i cui dirigenti provenivano in gran parte dal gruppo del Manifesto, di confluire nel PCI, e fondò il Movimento Politico per l’Alternativa.

Si ritroveranno, con quei compagni, dopo il 1989, in Rifondazione Comunista. Sarebbe grave non ricordare, facendo un passo indietro, che nel 1973 Lidia Menapace aveva contribuito alla fondazione del movimento dei “Cristiani per il Socialismo” che ebbe un ruolo importante in quella frattura del mondo cattolico a cui ho già accennato che trovò espressione nella vittoria progressista nel referendum sul divorzio del maggio 1974.

E’ proprio del 1974 un libro di Menapace dal titolo La Democrazia Cristiana. Natura, struttura e organizzazione, che contribuì a formare molti militanti sulla natura del sistema di potere democristiano (Milano, Mazzotta, 1974)

Nel 2006 Lidia Menapace fu eletta senatrice per Rifondazione Comunista e proposta per la carica di presidente della commissione Difesa. Certamente sarebbe stato interessante vedere come una pacifista quanto lei avrebbe gestito tale commissione, ma le fu preferito Di Gregorio, dell’Italia dei Valori, che poi passò al campo avverso quando Berlusconi gli versò tre milioni di euro.

Purtroppo, di quel mandato senatoriale restano le ombre di quando una pacifista come Menapace, non si sa se per convinzione o per disciplina di partito (Rifondazione faceva parte della maggioranza), votò a favore del finanziamento della missione militare in Afganistan, Un atto che le fu ripetutamente contestato.

Lidia Menapace è stata un militante femminista, riferimento per diverse generazioni di donne. Esiste un aneddoto divertente sulla discussione della sua tesi di laurea, quando un componente della commissione definì il suo elaborato “frutto di un ingegno davvero virile” provocando una risposta irata della giovane candidata.

Più seriamente, Menapace ha contribuito al movimento femminista, dal suo punto di vista marxista, sottolineando che l’indipendenza economica è il fattore decisivo della liberazione della donna. Non è un caso che uno dei suoi molti contributi significativi al movimento femminista sia proprio Economia poltica della differenza sessuale (Roma, Felina, 1987).

Dal punto di vista culturale, Menapace fu una decisa sostenitrice della necessità di rinnovare il linguaggio e l’espressione in direzione non sessista.

Negli ultimi anni della sua vita si impegnò nella campagna referendaria contro le modifiche costituzionali proposte da Renzi nel 2016 e, come ho scritto, fu candidata al Senato per Potere al Popolo. Fu proposta per la nomina a senatrice a vita, ma questa non arrivò.

Forse meglio così, per noi senatrice a vita lo era già, nel movimento e nelle lotte e non nelle istituzioni.

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