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Elezioni UE: il bivio della paura

Si ritiene importante discutere degli esiti delle ultime elezioni europee in quanto costituiscono una sorta di termometro degli umori politici presenti nel vecchio continente, non perché si ritiene che il parlamento europeo conti qualcosa. È fondamentale specificare questo concetto onde evitare fraintendimenti.

Entrando nel merito, le ultime elezioni europee, pur lasciando intatta la maggioranza composta da popolari, liberali e “socialisti”, che nel corso dei decenni ha sostenuto la costruzione imperialista dell’Unione Europea, hanno sicuramente visto un’avanzata di varie espressioni dell’ultradestra conservatrice, post-fascista e post-nazista, che va oltre i paesi dell’est, dove è già tempo realtà consolidata.

Ovviamente, il paese capofila di quest’ondata è il nostro, dove Fratelli d’Italia e Lega raggiungono, insieme, circa il 38%, offrendo un quadro di piena stabilità e compatibilità sia rispetto al “pilota automatico” della rinnovata austerity economica, sia rispetto alla questione delle guerre in Ucraina e in Palestina.

L’altro paese in cui l’ultradestra avanza in maniera più vistosa è la Francia, dove il Rassemblement National (RN) raccoglie più del 30% dei consensi alle elezioni europee; tale consenso è stato poi confermato alle successive elezioni politiche anticipate. Tuttavia, grazie al meccanismo elettorale e al buon esito del “fronte repubblicano” antifascista, che ha visto ritirarsi al secondo turno molti candidati terzi classificati provenienti dalle file “macroniste” o dalle sinistre, in termini di seggi il RN è arrivato addirittura terzo.

La maggioranza relativa, davanti al partito del Presidente, è toccata al Nuovo Fronte Popolare, che comprende sia La France Insoumise, sia i partiti dell’”establishment”, come il Partito Socialista Francese ed i Verdi. La France Insoumise è un fronte che negli anni scorsi ha saputo realmente incarnare un’opzione politica anti-sistemica da sinistra: si ricorda, in particolare, quando Il Parti de Gauche di Melanchon chiese l’espulsione di Syriza dalla Sinistra Europea, in quanto, ormai, quest’ultima incarnava l’austerità europea in Grecia.

Tuttavia, per entrare nel Nuovo Fronte Popolare, è stato necessario accettare un programma politico di pesanti compromessi, che sul tema della guerra in Ucraina hanno partorito una posizione nettamente interventista e bellicista: “Difenderemo incrollabilmente la sovranità e la libertà del popolo ucraino e l’integrità dei suoi confini”, è scritto nel programma, anche “fornendo le armi necessarie”.

Una siffatta formulazione di questo programmatico non è totalmente inattesa, in quanto già in precedenza, da dopo i fatti del febbraio 2022, la posizione della France Insoumise non si è mai distaccata di molto rispetto al sostegno al regime liberal fascista ucraino. Nel senso che La France Insoumise in quanto tale non è mai arrivata nemmeno a sostenere la propria contrarietà all’invio di armi. Lo hanno fatto solo delle organizzazioni minoritarie ad essa appartenenti. Questo deficit sul tema della guerra riguarda anche altri partiti che hanno raccolto percentuali importanti alle elezioni europee, come il Parti du Travail belga.

In generale, fra le compagini di queste aree e di tutte quelle afferenti al gruppo parlamentare europeo “Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica” persistono fortissimi punti di arretratezza sulla guerra in Ucraina, tematica sulla quale sottrarsi alle tensioni bellicistiche risulta difficile. Se, in generale, si pronunciano formalmente a favore di una de-escalation e dei negoziati, vi sono, come visto con LFI, difficoltà a pronunciarsi chiaramente contro ogni invio di armi all’Ucraina, vi sono ambiguità rispetto il ruolo imperialista della NATO quale motivo scatenante del conflitto e sono in voga formule come: “chiediamo il ritiro delle truppe russe dall’intero territorio ucraino”. Queste posizioni risultano in ultima analisi contraddittorie rispetto alla richiesta di negoziati, perché proprio tali punti, la fine dell’espansione della NATO, nonché lo status di alcuni territori dell’est dell’Ucraina, sono alla base di possibili negoziati.
Tale terreno è, dunque, nella percezione di massa, percorso in maniera più coerente da alcuni partiti di estrema destra, fra cui quello di Orban il quale, al momento, appare come l’unico argine, in Europa, alle derive più belliciste.

Veniamo ora al caso tedesco, dove Alternative für Deutschland è diventato il secondo partito, dietro CDU/CSU, raccogliendo più voti di tutti e tre i partiti di governo della “coalizione semaforo”: SPD, Verdi, Liberal Democratici.

AfD, partito con l’essere un ristretto circolo di docenti universitari antieuro, è nel corso del tempo diventato una formazione politica dai forti tratti neonazisti, tanto da provocare la presa di distanza del RN francese e di altri partiti dell’estrema destra europea in relazione ad alcune dichiarazioni apertamente nostalgiche da parte di alcuni suoi esponenti.

Ebbene, AfD si sta progressivamente radicando, specialmente nei lander dell’ex-DDR, che permangono i più poveri dopo la disastrosa annessione del ’90-’91 e dove, evidentemente, albergano anche forti sentimenti di frustrazione. In tali lander, AfD è il primo partito.

A sinistra della SPD, si è approfondita una spaccatura politica che ha prodotto una novità. Il partito Die Linke non ha saputo sottrarsi in maniera adeguata alle derive belliciste, tanto da subire la scissione di “Bündnis Sahra Wagenknecht” (BDS). C’è da sottolineare che la divaricazione fra queste due componenti politiche riguarda, come vedremo, molti temi politici e culturali, ma è stato quello della guerra a dare fuoco alle polveri della scissione.
Die Linke è un partito socialdemocratico di sinistra nato negli anni ‘2000 dalla fusione di due componenti: una di fuoriusciti dalla SPD dell’ovest e una di eredi della SED dell’est che hanno accettato gli esiti dei fatti dell’’89-’91, pertanto non sono stati perseguiti e arrestati. BDS fa capo più a questa seconda componente.

Die Linke, negli anni, ha raggiunto percentuali a due cifre, prima di andare incontro ad un lento logoramento, che ha fatto emergere il dissenso interno. Ebbene, alle elezioni europee, la nuova formazione ha più che doppiato Die Linke (6.2% contro 2.7%).

Il fulcro del programma politico di BDS si basa sulla necessità di proteggere dagli effetti deleteri della globalizzazione un blocco sociale che, mutatis mutandis, è simile a quello che in Gran Bretagna decretò la Brexit: la classe operaia classica, proveniente soprattutto dai residui distretti industriali collocati nelle province, la classe media e i lavoratori del settore dei servizi a bassa scolarizzazione (ad esempio, i lavoratori delle imprese di pulizia. Per farlo, propone la rivitalizzazione dello stato nazione, come unico ente in grado di regolamentare imbrigliare i flussi finanziari, far sì che i grandi fondi non acquistino le piccole e medie aziende produttive delle province per smantellarle o esternalizzarle, ridare vigore agli strumenti del welfare lavorista classico, ecc. Il modello di stato immaginato è evidentemente quello keynesiano degli anni ’70.

Attorno a questo punto, ruotano tutte le prese di posizione di BDS, anche le più controverse.

Ad esempio, dato che tale blocco sociale subisce il dumping salariale e l’erosione degli ammortizzatori sociali causati dall’immigrazione, intra ed extra europea, BDS è contraria ad operazioni di apertura di massa come quella effettuata dal governo Merkel nel 2016 con i Siriani, e propone di regolarizzare i flussi. Tuttavia, e qui c’è un punto critico, non specifica con quali mezzi intenda limitare la migrazione e/o effettuare i respingimenti. Inoltre, è contraria a strumenti di Welfare universalistici, come il reddito di cittadinanza (che in Germania è costituito dall’indennità Hartz IV), che, per dare poco a tutti, immigrati compresi, penalizzano i lavoratori di lungo corso che si trovano disoccupati e li costringe, successivamente, ad accettare lavori molto meno remunerati rispetto al reddito precedente.

Un punto su cui calca molto BDS è quello culturale: un tratto costitutivo, infatti, è rappresentato dall’ostilità rispetto ai linguaggi e ai codici comunicativi tipici di molti movimenti “single issue” (movimento antirazzista, movimento antisessista, movimento ambientalista, ecc), che sono diventati nettamente egemonici a sinistra, sia nella Linke, che nell’SPD e nei Verdi.

Come scrive la leader Sahra Wagenckneckt nei suoi libri, la narrazione della sinistra “alla moda” degli ultimi 10 – 15 anni riflette la visione del mondo di un ceto sociale composto per lo più di persone laureate e che, a conti fatti, sono uscite vincitrici dai processi di globalizzazione; esse, quindi, dipingono tale periodo, segnato dal rafforzamento Unione Europea nei confronti degli stati-nazione e dall’avanzare dei diritti civili, come progressivo. Le classi uscite sconfitte dalla globalizzazione, invece, non vedono nulla di progressivo in questi processi storici; anzi, nel caso dei movimenti ambientalisti che vanno per la maggiore e dei Verdi, vedono in essi dei nemici, in quanto le loro proposte politiche vanno nella direzione di far aumentare i costi dei beni di consumo economicamente più accessibili, come le utilitarie a benzina e la carne proveniente dagli allevamenti intensivi.
Per tutti questi motivi, le classi popolari si sono allontanate dalla sinistra, per abbracciare l’astensionismo o l’estrema destra.

Sulla politica estera, Bundis Sahra Wagenknecht ha un profilo politico più condivisibile delle sinistre europee di cui si è parlato in precedenza, in quanto propone, per la Germnaia, un ruolo di aperta neutralità attiva nei conflitti internazionali, compreso quello russo-ucraino, rispetto al quale è netta non solo la contrarietà all’invio di armi, ma anche quella anche all’allargamento dell’Unione Europea a Georgia, Moldavia e Ucraina, in quanto foriera di tensioni geopolitiche.

Sull’Unione Europea, più in generale, la si concepisce come non più di un coordinamento fra stati-nazione. Pertanto si propone una radicale riduzione delle sue competenze a favore degli stati membri, appannaggio dei quali dovrebbero rimanere le politiche di bilancio, la regolazione dei flussi migratori anche intra-europei e le politiche ambientali, in luogo delle antidemocratiche e poco trasparenti burocrazie europee che stanno sottraendo sovranità.

Premesso che per tutte le “sinistre” di cui qui si è parlato, in nessun caso si tratta dell’organizzazione dei comunisti in quanto tale, bensì del fronte della rappresentanza politica, è necessario dibattere i temi qui tracciati ed i vari spunti che ne conseguono in maniera laica e facendo le dovute contestualizzazioni, senza squalifiche aprioristiche o atteggiamenti moralistici.
Riflettere su tematiche come il ruolo dello stato-nazione e sue eventuali alterative, la funzione dell’Unione Europea, la protezione del blocco sociale di riferimento dagli effetti provocati dalla scomposizione su base internazionale della catena del valore, l’egemonia culturale attualmente vigente a sinistra, dovrebbe essere di nuovo al centro della relazione fra le varie espressioni della sinistra di classe che si propongono di organizzare e rappresentare il moderno proletariato.

La situazione che si profila in Europa, con il ritorno generalizzato del bipolarismo, dopo anni di turbolenze politiche conseguenti alla crisi del 2008, non è ottimale: ci riporta, infatti, indietro alla fase dei centrosinistra di metà anni ’90 – anni 2000, i quali sono stati gli esecutori materiali della deregulation economica che ha provocato effetti devastanti sulle condizioni materiali dei lavoratori europei e sono stati, di pari passo, fautori di politiche imperialiste e di guerra.

Contrapporsi a tali derive diviene imperativo categorico.

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