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Confindustria va all’incasso, pagano sempre i lavoratori

Il Governo Meloni è impegnato, fin dal suo insediamento, in una lotta senza quartiere a lavoratori, pensionati e sanità pubblica. In mezzo alle macerie c’è, però, chi si trova benissimo e perfettamente a suo agio e non esita a presentare al Governo i suoi desiderata, certo di trovare orecchie comprensive e disponibilità immediata all’azione.

Emanuele Orsini, appena insediatosi come presidente di Confindustria, ha avuto il merito di mostrare in tutta la sua evidenza la sintonia totale tra padronato ed Esecutivo, con una relazione all’Assemblea dell’associazione datoriale che colpisce per sfacciataggine e ingordigia, tra apprezzamenti espliciti a quanto fatto fino ad ora dal Governo e una lista di ulteriori richieste. Proviamo a vederne gli aspetti salienti.

La relazione inizia con il solito calderone di frasi fatte, apparentemente innocue ma funzionali a tratteggiare un mondo di armonia, in cui gli interessi di imprenditori, lavoratori e della società nel suo insieme coincidono, un mondo in cui vi è una “responsabilità collettiva, di tutti i soggetti sociali e politici del nostro Paese, quella di realizzare un deciso balzo in avanti della produttività italiana”.

In questo contesto, prosegue Orsini, ci sono “interessi generali” che non devono essere compromessi da scontri politici, interessi generali che, come vedremo, richiedono una serie di regalie da fare ai padroni.

Dopo aver preparato il terreno, Orsini passa senza indugi all’incasso. In maniera eloquente, la prima richiesta avanzata è di rendere permanente il taglio del cuneo fiscale. Come abbiamo avuto modo di scrivere in più occasioni, questa misura è una truffa ai danni dei lavoratori, che mette a carico della fiscalità generale, e quindi dei lavoratori stessi, la soluzione (peraltro illusoria) al problema di salari miseri e stagnanti.

Orsini ha il merito, quantomeno, di rendere esplicito ciò che già era ovvio, e cioè che tagliare il cuneo fiscale beneficia esclusivamente i padroni, come mostrato anche dall’entusiasmo dei Governi Draghi e Meloni per questo provvedimento. Con l’occasione, il presidente di Confindustria non rinuncia a mostrare una immancabile ciarlataneria di fondo, coniando il nonsenso “se le retribuzioni sono al di sotto della media europea il costo del lavoro è più elevato”.

La frase è, di per sé, priva di ogni logica ma anche emblematica, poiché attribuisce la piaga delle retribuzioni basse non all’avidità del padrone che non paga a sufficienza i suoi dipendenti, ma agli oneri (come ad esempio i contributi previdenziali) che renderebbero il costo del lavoro in Italia eccessivo (una cosa incidentalmente falsa) e obbligherebbero quindi i datori di lavoro a risparmiare sul salario effettivamente versato al lavoratore. E qual è la soluzione? Mettere gli oneri previdenziali a carico dello Stato e, quindi, dei lavoratori.

Orsini tocca poi il problema della disoccupazione e scarsa occupazione giovanile in Italia. La ricetta è semplice: “Abbiamo il dovere di trasmettere loro (ai giovani) la cultura del lavoro e la ricchezza di avere un’ambizione. Se continua a prevalere una cultura anti-impresa non facciamo il bene di nessuno”. Se sei un neolaureato e non trovi un lavoro o hai un contratto precario e con salario da fame, la colpa è la tua, della tua mancanza di ambizione e della fantomatica cultura anti-impresa, cioè del fatto che i padroni nostrani non ricevono sufficienti prebende.

Per fortuna il presidente di Confindustria ha diverse idee al riguardo. Si parte con la proposta di un Piano Straordinario di Edilizia per i lavoratori neoassunti. In un Paese in cui oltre 10 milioni di case sono inabitate (e si inasprisce la repressione verso i movimenti per il diritto all’abitare e le occupazioni), c’è comunque bisogno di riempire ulteriormente le tasche ai palazzinari, mettendo a carico della collettività le “garanzie finanziarie” necessarie a rendere priva di rischio l’ennesima ondata di speculazione edilizia privata (non si parla ovviamente di edilizia pubblica, nella relazione).

Si passa poi a domandare “colossali investimenti pubblici” – il keynesismo con i soldi degli altri – nell’ambito della fantomatica politica industriale europea, cioè sovvenzioni pubbliche ai profitti privati, con annesso plauso al cosiddetto Rapporto Draghi che ha “riportato con profondità e completezza le istanze delle nostre imprese, su cui da tempo richiamiamo l’attenzione”.

Sul punto, sia chiaro, occorre dire che gli investimenti pubblici sono uno degli strumenti principali per garantire la piena occupazione e l’ammodernamento tecnologico e infrastrutturale del Paese. Peccato, però, che Orsini stia palesemente bluffando. Tali investimenti, richiederebbero un incremento della spesa pubblica e del deficit, cosa che né il Governo né Confindustria caldeggiano.

C’è spazio, anzi, nel discorso del Presidente, per un esplicito apprezzamento – con ringraziamento annesso – per come il Governo sta tenendo la barra dritta sul sentiero dell’austerità, unito a un invito a tagliare ancora la spesa pubblica. Le parole di Orsini spiegano la questione in maniera limpida: “Ciò (tagliare la spesa pubblica) consentirebbe di non compromettere gli obiettivi di rientro del bilancio e contestualmente di finanziare le misure a favore della crescita, in modo strutturale e deciso”.

La dottrina dell’austerità e della scarsità delle risorse nella sua versione più violenta: tutto quello che lo Stato mette per tagliare il cuneo fiscale o fare regali ancora più diretti ai padroni sotto forma di sgravi o incentivi, lo deve prendere da qualche altra parte, andando magari a tartassare le vittime abituali: la sanità pubblica, le pensioni e così via.

Si prosegue, poi, con l’appello a scelte coraggiose, tra cui il ritorno al nucleare – visto come una straordinaria occasione di profitto, anche qui a carico dello Stato (alla faccia dei due referendum abrogativi del 1987 e del 2011, che hanno bocciato la soluzione) – e una apodittica alzata di spalle verso le rinnovabili (E pensate che solo l’utilizzo di energia proveniente da fonti rinnovabili possa soddisfare il nostro fabbisogno energetico? Noi no).

Ma la parte più corposa del bottino ancora deve venire. Servono, ci dice Orsini, “rilevanti incentivi agli investimenti”, e soprattutto è necessario “far convergere le risorse disponibili, immaginando una cornice pluriennale di finanziamenti pubblici e privati per difendere e potenziare le filiere industriali strategiche.

Non finisce qui, perché il passo successivo è chiedere sgravi fiscali, tra cui l’abolizione dell’IRAP (Imposta regionale sulle attività produttive, di fatto l’unica che si riesce ancora a far pagare alle imprese e i cui introiti sono destinati in massima parte al finanziamento del sistema sanitario), l’introduzione di scappatoie al pagamento dell’IRES (Imposta sul reddito delle società) e la reintroduzione dell’ACE.

Quest’ultimo è il cosiddetto Aiuto alla crescita economica, ovvero uno sgravio fiscale concesso alle imprese che aumentano la propria patrimonializzazione. In altre parole, l’investimento privato verrebbe di fatto finanziato, almeno parzialmente, dalla fiscalità generale. Conviene ricordare che l’ACE, nel suo periodo di vigenza, ha beneficiato soprattutto il settore finanziario (banche e assicurazioni), settori peraltro in cui la patrimonializzazione era imposta dai requisiti regolatori e di sorveglianza: in sostanza queste imprese erano “premiate” in virtù di un comportamento a cui erano obbligate dagli organi di sorveglianza.

Va poi sottolineato che le risorse risparmiate con l’eliminazione dell’ACE sono già tornate alle imprese attraverso la maxi-deduzione del costo del lavoro. Orsini, in pratica, chiede la reintroduzione dell’ACE, ma ovviamente (come risulta dalla sua prima richiesta) dà per scontato che continui pure la maxi-deduzione.

L’ennesima riproposizione di quale sia l’essenza ultima del fare il padrone, che chiede soldi al pubblico per poter “fare impresa” e arricchirsi.

Lo Stato però deve anche capire quali sono i suoi limiti e non immischiarsi in ciò che non gli compete. Da qui un no secco a ogni proposta di salario minimo stabilito per legge, poiché “Noi difendiamo il principio che il salario, in tutte le sue componenti, si stabilisca nei contratti, nazionali e aziendali, trattando con il sindacato”, un’affermazione che riecheggia gli argomenti con cui i sindacati confederali hanno a più riprese affossato ogni tentativo in questa direzione.

Uno Stato che, a quanto pare, non deve neanche darsi pensiero di provare a contrastare la piaga infame degli infortuni sul lavoro, problema da affrontare tramite “un tavolo permanente di monitoraggio e di verifica delle normative di sicurezza” tra sindacati e padroni. Un tavolo. Per 1200 morti all’anno.

Confindustria, insomma, per bocca del suo presidente, non ha problemi a dettare a chiare lettere la sua agenda al Governo. La tutela degli interessi della minoranza di privilegiati del nostro Paese è, d’altronde, la ragion d’essere di entrambi. La presenza della Presidente del Consiglio all’Assemblea dei padroni e l’entusiasmo con il quale è stata accolta ci restituiscono in maniera plastica il quadro della situazione: da un lato, i lavoratori con le loro legittime e sacrosante aspirazioni a una vita dignitosa, a salari più alti e a servizi pubblici funzionanti ed efficienti; dall’altro, i padroni e i loro lacchè, che vogliono soltanto aumentare i propri profitti, a scapito di chi lavora.

Occorre rilanciare in maniera prepotente il conflitto sociale, stando dalla parte di chi, soprattutto in questi ultimi anni, ha pagato più di tutti il prezzo dell’inflazione e dell’austerità: le lavoratrici e i lavoratori.

* Coniare Rivolta è un collettivo di economisti – https://coniarerivolta.org

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