Eddy ist tot. Così mi è apparso sullo schermo. Scritto in tedesco. Eddy è morto, è successo il 30 marzo scorso. Un’impressione di crudeltà fredda e senza freni. Scoprire la scomparsa d’un caro amico da una ricerca Google.
Eddy Arnaldi è stato un militante comunista, figlio di Edoardo che si suicidò piuttosto di arrendersi ai carabinieri quando vennero ad arrestare «l’avvocato delle Brigate Rosse».
Era il 1980, era Genova e con Eddy eravamo amicissimi. Ci eravamo conosciuti nel 1976, ero ancora proprio un ragazzino e lui aveva appena varcato la ventina. Un adolescente che si affaccia alla politica e un ragazzo che a ventun anni ha già la reputazione di un compagno combattivo e d’esperienza.
Fu un bell’incontro, un incontro importante. All’inizio una spontanea e reciproca simpatia che ci trascinava in discussioni infinite dove si vagava fra la storia della Rivoluzione d’ottobre e la Lunga marcia per poi imbattersi, all’improvviso e senza transizioni, nella prosa spontanea della Beat generation quando si srotolava nei lunghi e frenetici viaggi di Jack Kerouac.
Leggevamo tanto ed Eddy, compagno più grande, mi suggeriva libri. Certi testi politici, certi grandi classici, li studiavamo proprio. E passavamo poi pomeriggi interi a commentare, analizzare, immaginare. E… Non era proprio difficile, immaginare.
Era scoppiato il `77 e la testa piena dei capelli rossi di Eddy che si agitavano spettinati e anarchici, sembrava una luce rossa, accesa nel mezzo di un corteo. Una macchia rossa che diveniva il punto di richiamo e coesione di tutti coloro che sentivano, dentro alla manifestazione pubblica, come il vasto movimento che stava percorrendo il Paese si muovesse, e a passi sempre più certi e concreti, su un terreno comune che era… la Lotta Armata.
Eravamo qui, a Genova, alla fine degli anni Settanta, dentro una rivolta sociale che, contrariamente ad altre città, non ostentava grandi scontri di piazza, mentre, col passar dei mesi, i cortei si affermavano, invece, e sempre più, come una vasta cassa di risonanza che scandiva “Rosse, rosse, rosse!” Le Brigate Rosse erano d’altronde l’unica organizzazione rivoluzionaria visibile ed efficacemente operativa nella più bella città del mondo.
«Per noi, i cortei genovesi erano un po’ come l’espressione della ‘FGCI delle B.R.’» anni dopo, a Parigi, Oreste Scalzone, mi dipinse così, da non genovese e da non brigatista, i suoi ricordi di quei momenti, in quei lontani anni.
Anni densi, che sembravano lunghissimi. Con Eddy, eravamo diventati intimi. Frequentavo spesso casa sua in via Palestro. Ero accolto con affetto da sua mamma, Anna, e da suo papà.
Ero invitato a pranzo e succedeva che a tavola l’Avvocato raccontasse dei «compagni dentro», il nucleo storico, che aveva appena visto all’Asinara. Non si dilungava certo sui particolari, ma rispondeva alla domanda: come stanno? Morale d’acciaio…
A pensarci e ci pensai non poco negli anni, non doveva per nulla essere semplice di esistere in quanto figlio dell’«Avvocato delle Brigate Rosse». E non doveva esserlo proprio, semplice, per lui, in quegli anni e a Genova, dove tutti si conoscono, e nella città che per di più venne eletta, dai titoli di stampa, come «La capitale delle B. R.»… No, non doveva essere facile per Eddy.
Era come se si sentisse sempre costretto, da una forza invisibile, a dimostrare e a dimostrarsi qualche cosa. Malgrado il suo istinto libertario, anarcoide, il suo essere disordinato, la sua passione per la musica il piacere che provava a cantare, in ristretto pubblico, «Gioia e rivoluzione», imitando benissimo Stratos a squarciagola, era come se questo suo spontaneo slancio che d’istinto lo portava verso espressioni creative, artistiche, era come se tutto ciò dovesse, ad un certo punto, essere contenuto, se non proprio represso, nel nome di una militanza che esigeva rigidità e precisione e disciplina.
Volle lo stesso entrare nella «Ditta», anche se non era «cosa» fatta per lui. Ed infatti dopo qualche mese ne uscì.
Era perfettamente a suo agio invece, un vero pesce nell’acqua, dentro alle realtà di «movimento»…. E però, che gli piacesse o meno, rappresentava ben lui, con i suoi inconfondibili capelli rossi e i suoi interventi sulla falsariga dell’ultima «Direzione strategica» e dentro quella straordinaria dimensione di «semiclandestinità» in cui vivevano le Brigate Rosse genovesi, un punto di riferimento indiscutibile. Posizione veramente difficile quella di Eddy.
Il 1980 fu un anno terribile. Il 28 marzo la strage di via Fracchia, quattro compagni uccisi a bruciapelo, a freddo, un’esecuzione e poco dopo, il 19 aprile, quando i carabinieri vengono per arrestarlo, l’avvocato Edoardo Arnaldi non accetta le manette e si suicida. Il fatto accade nella casa di famiglia, in via Palestro. Eddy e sua mamma Anna sono presenti. E l’anno prosegue senza respiro, qualche mese dopo, a settembre, una nuova raffica d’arresti. Anche Eddy finisce dietro le sbarre. Due collaboratori di giustizia lo inchiodano sulla sua ormai passata, quanto brevissima, militanza nella «Ditta».
Nei mesi immediatamente successivi alla morte di suo Padre, si sentiva sotto controllo, ci incontravamo poco e di fretta. Lo vedevo distrutto. Proprio allo sbando. E quando fu arrestato, prima ammise e poi, senza dilungarsi su nessun particolare, finì per firmare la dissociazione.
E mai se lo perdonò.
Uscito dal carcere non restò più molto in città. Si esiliò infine in Germania, dove si condannò a naufragare nell’eroina.
Passarono gli anni, passarono i decenni e nel 2018, per caso, riuscii ad avere un suo contatto. Viveva a Norimberga. Lo chiamai. Eravamo emozionati tutti e due sentendo le nostre voci al telefono.
«In tutti questi anni ho sempre creduto che tu mi avessi odiato», mi disse».
«Hai creduto male», gli risposi. «Ti mando un abbraccio, Eddy.»
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Gianpaolo
Ho appreso ora della morte del caro amico Edgardo….Non l’ho più visto né sentito dal mese di agosto 1983…Triste notizia.Spero vivamente che possa incontrare gli spiriti di sua madre e del suo papà …