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Genova. Obbligo di firma e dimora per 13 manifestanti per uno striscione e gli ombrelli

Genova. Il tribunale del Riesame ha deciso: gli imbrattamenti sulle facciate dei palazzi dei Rolli, alcune vetrine infrante e le telecamere di sorveglianza danneggiate durante il corteo del 5 maggio 2024 non integrano il reato di “devastazione” ma costituiscono una serie di “danneggiamenti aggravati”.

Il Riesame inoltre, dopo aver valutato una ad una le posizioni dei singoli, ha anche di fatto scagionato 13 dei 26 indagati perché non c’è la prova del “concorso”. Per gli altri 13 il Riesame ha tuttavia disposto l‘obbligo di dimora a Genova con permanenza notturna a casa e l’obbligo di firma quotidiana alla Digos, rilevando le esigenze cautelari, vale a dire il rischio di reiterazione del reato indipendentemente dal fatto che fossero incensurati o meno.

E’ questa in sintesi la decisione del “collegio  di secondo grado” presieduto dal giudice Massimo Cusatti dopo che il gip Giorgio Morando aveva respinto in toto le richieste della Procura, contestando sia il reato sia l’esistenza delle esigenze cautelari.

La Procura, ricordiamo aveva chiesto l’arresto di 26 manifestanti, in gran parte anarchici, che non sono gli autori dei blitz vandalici, bensì coloro che con striscioni od ombrelli avrebbero “coperto” le azioni, agevolando di fatto il reato. Per i 13 per cui sono stati disposti gli obblighi il tribunale del Riesame ha rilevato il concorso o il favoreggiamento nel reato commesso da manifestanti rimasti ignoti.

Il corteo era nato in risposta agli arresti per resistenza compiuti la notte precedente da parte dei carabinieri di 8 persone davanti all’ex Latteria occupata in centro storico. In piazza erano scese oltre 600 persone e nel corso della manifestazione erano stati compiuti imbrattamenti e vari danneggiamenti: telecamere di sorveglianza spaccate, scritte su numerosi palazzi dei Rolli e altri danni ad auto. In base alla relazione della Digos i danni quantificati ammontano a 98mila euro.

Per la procura quei danneggiamenti plurimi sono configurabili come “devastazione”, reato punito con pene altissime (da 8 a 15 anni di carcere) mentre per il giudice Giorgio Morando e adesso anche per il tribunale del Riesame  per configurare quel reato mancano gli elementi costitutivi.

I danneggiamenti – scrivono i giudici – non sono stati “profondi e vasti” perché sono consistiti di fatto in 18 telecamere, 4 autovetture e 3 vetrine di banche. Inoltre, “le azioni vandaliche non sono state cieche e indiscriminate“, bensì condotte verso obiettivi specifici. Inoltre, come avevano sottolineato i difensori degli indagati, “non ci sono stati scontri con le forze dell’ordine” e, al contrario di quanto aveva evidenziato la Procura “le 17 chiamate al Nue non sono risultate “particolarmente allarmanti”.

Non si può quindi parlare, dicono i giudici del Riesame di una “grave compromissione dell’ordinato vivere civile” come richiede il reato di devastazione.

Ora i pm dovranno valutare un eventuale ricorso in Cassazione – nel frattempo per gli indagati le misure non diventano effettive – e lo stesso potranno fare gli avvocati (i 26 sono difesi fra gli altri da Fabio Sommovigo e Laura Tartarini) che dovranno confrontarsi con i loro assistiti tenendo conto che, a differenza di una ricorso presentato dalla pubblica accusa, nel caso degli indagati l’eventuale inammissibilità del ricorso comporterebbe anche una spesa di circa 3mila euro di sanzione per ciascun indagato.

* da Genova24

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Le “perplessità” – chiamiamole così… – che solleva questa ordinanza sono parecchie. E riguardano tutte l’uso della “giustizia” e delle pene a scopi chiaramente politici. Di governo, però, non “contro”.

Intanto perché i reati contestati inizialmente erano di fatto delle invenzioni poliziesche trasformate in accuse giuridiche. In pratica nessuno dei 26 indagati – 13 condannati, 13 assolti – aveva fatto materialmente nulla configurabile come “devastazione” (accusa poi caduta) o come “danneggiamento”.

La loro unica colpa era quella di esser presenti nei pressi e di aver – involontariamente o meno – “ostacolato le riprese” della polizia mentre qualcuno danneggiava una vetrina di una banca, qualche telecamera di sorveglianza e un paio di auto. Portavano, come in ogni manifestazione, uno striscione e avevano aperto gli ombrelli (pare che quando piove ci sia questa pericolosa abitudine…).

Tanto è bastato alla polizia, inizialmente, per contestare a tutti loro le “azioni criminose” che hanno provocato meno di 100.000 euro di danni. Cifra che non basterebbe a comprare una jeep militare nel programma di riarmo del governo e della UE.

La sproporzione tra fatto (presenza sul posto) ed accuse (concorso in…) è tale che, sensatamente, il tribunale di primo grado aveva assolto tutti.

Non sia mai detto! Ricorso immediato al Riesame e nuova ordinanza “salamonica”: metà prosciolti e metà da condannare, forse perché avevano ombrelli più grandi…

Unica resipiscienza: beh, in carcere non è proprio possibile mandarli (quel reato non lo prevede nemmeno), ridererebbero tutti e si perderebbero tutti i ricorsi successivi (Appello, Cassazione ed eventualmente Corte europea). Però “obbligo di firma e di dimora” sono “ricavabili dalla norma”, così da complicargli q.b. la vita per qualche tempo…

Per chi conosce la storia di questo Paese e soprattutto quella delle manifestazioni di piazza tutto ciò segna il passaggio al regno dell’arbitrio, anziché della “legge”. Che si possa condannare qualcuno per aver portato uno striscione o un ombrello – “dietro il quale chissà che succedeva” – va parecchio oltre le fantasie autoritarie più scalmanate.

Persino oltre lo spirito dell’ultimo “decreto sicurezza”…

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