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Milano. Lo sgretolamento di un mito?

E’ Franco Gabrielli il supereroe individuato da Beppe Sala per garantire la sicurezza della smart city.

Cinque anni capo della polizia e poi responsabile dei servizi segreti per il governo Draghi, è stato nominato dal sindaco di Milano delegato alla sicurezza e – farebbe ridere se non fosse vero – alla coesione sociale.

Dopo aver promesso “strade nuove in temi di sicurezza” – e possiamo facilmente immaginarle – è stato lo stesso Gabrielli a premurarsi comunque di difendere il buon nome del Modello Milano, rassicurando che Milano non è Gotham City.

Verrebbe quindi da chiedersi il perché di questa nomina esemplare dato che in effetti “l’emergenza” di cui tanto si parla consisterebbe in fin dei conti in un presunto aumento della microcriminalità e delle cosiddette baby gang.

Fenomeni, certo, buoni per il sempreverde dibattito sulla sicurezza nelle grandi città, ma che se affrontati davvero nella loro complessità (quali sono le condizioni sociali e “culturali” che eventualmente li producono?) richiederebbero risposte decisamente più articolate di qualche militare in più nelle strade.

E, invece, come il governo Meloni, ad altre latitudini, per il caso Caivano, anche la giunta Sala non sembra in grado di immaginarsi misure di diversa natura.

Forse perché parlare davvero di microcriminalità e baby gang vorrebbe dire parlare anche del peggioramento delle condizioni di vita di fasce sempre maggiori di popolazione, della frustrazione di nuove generazioni che si percepiscono ormai senza alcun futuro o ancora dei tanti costretti ad emigrare verso “il sogno americano” italiano per scoprire poi una realtà di lavoretti precari a fronte di un costo della vita, tempo libero compreso, ritagliato su misura per ricchi. E quindi di cosa offre davvero una città dove, per stare solamente alle ultime indagini, il 62% degli under 40 sono costretti a spendere più di quanto guadagnano o dove una stanza in affitto costa in media oltre seicento euro.

Le hanno denunciate queste condizioni gli studenti in mobilitazione dalla scorsa primavera contro il caro affitti e finché si trattava di rispondere agli studenti (a gratis, perché tanto “devono intervenire la Regione e il governo”) i vari Sala, Majorino e Maran hanno tenuta alta la bandiera della città modello.

Ma quando ancora gli studenti si sono accampati sotto Palazzo Marino in solidarietà con una famiglia sotto sfratto sono spariti, e non solo perché ad andare a guardare il bluff non c’era la volontà politica di trovare soluzioni, ma perché è evidente che soluzioni ormai non ce ne sono dentro un modello che ha fatto le proprie “fortune” proprio sulla speculazione privata e sulle mirabili sorti del libero mercato.

E così decide il mercato e una stanza singola (fuori dalla circonvallazione) costa in media 600€ mentre in zone più centrali va ben oltre i 700€.

Non denunciamo niente di nuovo, ma quando a farsi queste domande – e a porre il problema dei processi di gentrificazione! – cominciano ad essere anche personaggi come Selvaggia Lucarelli qualche mese fa, a prendere il caso più insospettabile, è il segno che qualcosa è successo.

Che anche nel senso comune ormai il Modello Milano non è più la città dell’eccellenza, ma quella dell’immagine delle centinaia di persone in coda per un pasto al pane quotidiano che si allungava iconicamente attorno al perimetro della fortezza della Bocconi.

Ed è successo nel giro di pochissimi anni, con la pandemia prima e oggi la guerra e tutte le sue conseguenze (prime fra tutte il carovita) a fare da banco di prova della tenuta effettiva di questo modello. Eventi che nel piegare il paese hanno evidenziato maggiori crepe – ricordiamo bene i primi mesi pandemici – proprio là dove “le cose funzionano”, dove doveva esserci l’eccellenza, Milano, ma in generale quel Nord “locomotiva” del paese.

Concentrazione di forza-lavoro, urbanizzazione, cementificazione, inquinamento… Durante la pandemia proprio i fattori che hanno caratterizzato storicamente lo sviluppo della fantomatica locomotiva del paese, in stretta connessione con le scelte strategiche che questo sviluppo lo hanno indirizzato (la privatizzazione dei servizi a cominciare dalla sanità), si sono rivelati come criticità strutturali che hanno demolito il mito dell’eccellenza e con lui un intero modello di sviluppo che su questo si era sempre costruito.

La questione era stata affrontata nell’autunno 2020, a valle della prima ondata pandemica, nel convegno organizzato dalla Rete dei Comunisti “Questione settentrionale, questione meridionale. Il prodotto di un modello distorto”, ribaltando il punto di vista della questione settentrionale intesa come necessità di dispiegare, nel segno del “meno Stato e più mercato”, le forze più “virtuose” del capitalismo italiano perché fossero motore per lo sviluppo di tutto il paese.

Adeguando, in posizione subalterna alla ristrutturazione produttiva in corso a livello continentale (ne vediamo qui e ora gli effetti nella “dipendenza” della crisi italiana da quella tedesca) quello che era già stato lo sviluppo storico a due velocità del nostro paese, con la centralità produttiva del nord, nelle diverse configurazioni assunte nei decenni, a fare da traino e, finché parzialmente ha retto, da compensazione al sotto-sviluppo programmato del meridione.

Dal caro affitti al costo della vita, alle condizioni del mondo del lavoro, oggi non facciamo che toccare con mano le conseguenze e il fallimento di questa progettualità senza prospettive che non solo ha continuato a penalizzare il meridione e le periferie produttive diffuse per tutta la penisola, ma si va dimostrando sempre più fragile e insostenibile negli stessi punti alti del suo sviluppo, con l’eccellenza Milano a rappresentare l’espressione “migliore” di questo fallimento.

Il fallimento di un’intera idea di paese che oggi, da nord a sud, non offre altra prospettiva che la sopravvivenza tra le macerie che ha lasciato.

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