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Studenti in piazza a Livorno, con un occhio all’esempio francese

A Livorno, dalla ripresa delle lezioni, si stanno ripetendo mobilitazioni ed assemblee all’interno delle scuole. Manifestazioni di oltre 2.500 persone, come non se ne vedevano da anni, hanno attraversato la città, fermandosi sotto la sede della provincia, chiedendo scuole non pericolanti, aule adeguate e nuovi investimenti sugli studenti e sulla scuola pubblica.

La protesta è nata da un liceo scientifico del territorio, l’Enriques, in cui agli studenti era stata imposta – per sovraffollamento e conseguente mancanza di aule – una turnazione sulle lezioni che comprendeva anche il pomeriggio. Inoltre alcune classi erano state trasferite in spazi commerciali nel centro della città, dove mancavano persino materiale didattico e personale. Addirittura i ragazzi erano costretti ad avere un bagno in classe, con assenza di igene e privacy. 

Se da questa situazione è scoccata la scintilla, oramai la fiamma è accesa e sempre più scuole stanno aderendo alla protesta, tanto che giovedì, il 10 gennaio, si è vista la prima manifestazione che comprendeva, oltre all’Enriques, anche altre scuole del territorio. Alle promesse vaghe delle istituzioni, i manifestanti – studenti, docenti, genitori e collaboratori scolastici – hanno risposto con forza, proseguendo le loro lotte, scendendo in massa per le strade della città. 

La composizione di questo movimento è molto particolare, e dà la misura di un radicale cambiamento nelle forme di mobilitazione che ha probabilmente qualcosa da insegnare alle organizzazioni conflittuali odierne. Coloro che scendono in strada non sono solamente i militanti delle “organizzazioni”, ma sono soprattutto persone che non hanno mai fatto attivismo politico.

In questo, ed in molte altri dettagli, la situazione livornese può essere paragonata alla Francia dei “Gilet Gialli”: una folla di persone – magari senza una omogenea identità politica, ma con una grande rabbia e precise rivendicazioni – si riversa nelle strade da ormai 3 mesi; ed in Francia, come a Livorno, è essenziale – per una realtà che ha l’obiettivo di portare avanti le lotte degli sfruttati – interpretare le proteste e stabilire come intervenire,. 

Per capire questo processo tuttavia bisogna andare un po’ indietro nel tempo, all’inizio degli anni 2000, quando la prospettiva dell’Europa sembrava finalmente porre fine a tutti i conflitti. La situazione allora era di grande speranza; l’eco persistente della propaganda di fine “guerra fredda” portava all’illusione che, con il crollo dell’URSS, si fosse arrivati alla fine della Storia.

Il sogno di “un’Europa come tutela di pace e diritti”, tuttavia, si è infranto in poco tempo, con l’arrivo della crisi economica e, con il crollo di questo sogno, hanno perso credibilità quei partiti di centro-destra e centro-sinistra che si erano fatti portavoce del progetto europeo.

Nel vuoto politico, e nella crisi della democrazia rappresentativa, che si basava sulla piccola borghesia distrutta dalle nuove liberalizzazioni, si è andato espandendo il fenomeno del “populismo”, favorito dal mondo digitale che dà a tutti la possibilità, o almeno l’illusione, di sentirsi sicuri delle proprie idee senza che queste necessitino di qualche conferma circa la loro credibilità.

A sinistra questo processo fa sì che, oggi, le persone – sentendosi tradite da quei corpi sociali che le dovevano rappresentare (e che invece oggi sono avanguardia del liberismo) – oramai si sentano in grado di auto-rappresentarsi davanti al mondo. Ed è proprio a questo fenomeno che stiamo assistendo – in Francia come a Livorno – dove i manifestanti hanno chiesto alle organizzazioni aderenti, per non essere etichettati politicamente, di non esporre le bandiere.

Se il secolo scorso è stato segnato dalle figure dei “partiti”, questo, nel bene o nel male, non può che essere indicato, almeno finora, come il secolo del Popolo.

Cosa significhi, oggi, il termine “Popolo”, è ovviamente una questione aperta e di grande interesse. Non si parla certo di quel Popolo come insieme indistinto, magma sociale come se tutte le persone fossero davvero uguali, senza schiavi né padroni; ma piuttosto ci si riferisce ad una complessissima massa di sfruttati contro i loro sfruttatori. Si tratta di proletari, disoccupati, contadini, piccolo-borghesi oppressi dalla crisi, ed una miriade tra lavoratori alla giornata e nuovi lavoratori digitali.

Sta anche nella complessità della definizione delle classi e del lavoro la difficoltà nel rappresentare gli sfruttati odierni, ed anche per questo la possibilità che essi si possano auto-rappresentare è una grande opportunità.

A Livorno, ad esempio, il rapporto tra i manifestanti e le organizzazioni ha assunto la forma di una collaborazione interna alla manifestazione stessa, dove ogni struttura contribuiva in termini di numeri, spazi e linea politica, ed ascoltava le esigenze delle persone, mentre queste, collaborando, a loro volta stringevano legami, innovavano l’organizzazione e la rinforzavano.

Il grande vantaggio sta nel fatto che, non dipendendo strettamente dalla struttura con cui si rapporta, il movimento può sopravvivere anche ad un’organizzazione in declino o con una linea politica che cambia, mantenendosi vicino alle necessità delle persone, perché sono le persone stesse a comporlo, mentre le organizzazioni – anche se il movimento muore – sono comunque strutture che reggono e possono contribuire a sviluppare nuove proteste.

È interessante paragonare questa differenziazione delle funzioni di organizzazione e movimento alla teoria leninista sul rapporto sindacato-partito, di cui rappresenta, in qualche modo, una ripresa, e che, oltre ad essere stata fondamentale nella storia del ‘900, è ancora oggi importantissima nel definire la prassi politica di molte realtà in tutto il mondo.

Ci auguriamo che a Livorno i compagni e le compagne ottengano ciò che chiedano, e vadano avanti nelle loro lotte in ogni caso. Forza livornesi!

* Ultime notizie *

Mentre stavamo scrivendo questo articolo (sabato 12 gennaio) una manifestazione unitaria con la partecipazione degli studenti  di Arezzo, Pontedera, Elba, Firenze e Pisa sta attraversando la città. Si parla di quasi 4.000 persone, in una città dove la popolazione complessiva non supera i 160.000 abitanti.

Il comunicato di adesione a questo corteo, trasmesso digitalmente via social, è stato ampiamente condiviso ed ha ricevuto supporto da tutta Italia. Aspettiamo con interesse ulteriori sviluppi, e come OSA diamo la nostra completa solidarietà alla protesta.

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