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Hera e la favola del pubblico a Bologna

 E’ chiaramente sotto gli occhi di tutti che le risposte ai quesiti posti sono Si,acqua aria,sole e tempo che tutti noi crediamo essere beni comuni sono di fatto giornalmente trasformati in merce e venduti a noi stessi sotto varie forme.

Qualcuno potrà obbiettare che questa “trasformazione in merce” e il suo conseguente profitto sono al servizio dei cittadini o per meglio adeguarsi al loro pensiero a gli Utenti, potremmo semplificargli le cose chiamandoci cittadini-consumatori.

Profitti che ,naturalmente, verranno reinvestiti in qualità e sviluppo del servizio, in ampliamento di strutture per la conservazione ed un più oculato sfruttamento della risorsa a cui verranno addizionati manager, politici di riciclo trombaggio, vari e stressati burocrati ed infine qualche soggetto umano, da sfruttare più del bene comune ,anticamente denominato “operaio” possibilmente precario.

Questi “qualcuno” sono i soliti ed ormai conosciuti (quanto distruttivi) “tutori dell’interesse generale”, fantastici ideatori e promotori di quello che possiamo definire “capitalismo dei servizi di stampo comunale”, i famigerati Centro-Sinistri ( Pd e codine varie).

Novelli “idioti”, non si offendano perchè già gli antichi greci di essi ne davano una definizione ben precisa del termine ovvero :

” Uomo che bada solo a sè e al suo particolare mondo privato, che ignora qualsiasi idea di interesse collettivo e quindi di compatibilità tra diritti e doveri, colui che nella migliore delle ipotesi pensa che il bene comune sia la semplice addizione del bene di tutti”(1), che non si rendono conto che il bene comune è invece il risultato di una storia e di una operazione complessa, di un dare e un togliere, è una sintesi che tutela la libertà di tutti, anche in quanto chiede ai liberi cittadini delle prestazioni, impone oneri e sacrifici.

Qual’è l’oggetto che meglio si presta a speculazione per una necessita impellente del nostro corpo umano se non l’acqua? E quale miglior capitale-laboratorio di questi novelli alchimisti può essere se non Bologna?

Bologna, ed allargando all’ Emilia-Romagna il discorso, fù ,negli anni della social-democrazia del dopo guerra, eccellenza nella gestione dei Beni Comuni, oggi si trova a fare i conti con amministratori che, come descriviamo sopra, non amministrano più per i cittadini ma per il libero mercato, per se stessi e per i loro accoliti.

Campione esempio di questa trasformazione economico-politica è Hera s.p.a, perla dell’amministrazione comunale.

Hera s.p.a è un gruppo con un fatturato di oltre un miliardo di euro, con più di 4000 dipendenti e un bacino di utenza di circa 2 milioni di abitanti serviti e che punta ad espandersi nei territori confinanti ed ad una internazionalizzazione del gruppo tramite Eos Energia (gruppo Hera) alla costituzione di una nuova società,GALSI, per lo studio e la promozione del progetto “Gasdotto Algeria-Italia, una holding che opera nei comparti di energia(gas,energiaelettrica,teleriscaldamento),acqua(acquedotto,fognatura, depurazione) e ambiente(raccolta e smaltimento rifiuti).

La multiutility bolognese è figlia di quel processo che negli anni 90 porta a liberalizzare il mercato interno dell’energia elettrica e del gas (decreto legislativo Bersani e decreto letta ,PD entrambi) e che porta i comuni con la crisi della finanza locale e la necessita di fare cassa ad una accelerazione del processo di aggregazione fra le varie ex-municipalizzate al fine di raggiunger una massa critica ritenuta sufficiente per competere sul mercato.

Hera s.p.a è una società pubblica teoricamente ma privata nella realtà in cui realizza perfettamente il modello di capitalismo finanziario pur operando in ferreo monopolio e per stessa ammissione del proprio menagement risponde direttamente al mercato con la scusa della quotazione in borsa. I comuni associati chiudono gli occhi per spartirsi gli utili che utilizzano per interventi che niente hanno a che vedere con i servizi ambientali o idrici.

Come una scure il 14 giugno 2011 è piombato l’esito del referendum nella sede di viale Berti Pichat e immediati si sono sentiti gli effetti del mercato borsistico, Hera ha perso in borsa circa il 10% del suo valore perdendo per strada 187 milioni di capitalizzazione pari ai conti in rossi presentati nell’ultimo periodo.

Una flessione che vale circa 25,5 milioni di euro per il comune di Bologna(13,6% delle azioni) e circa il 35 milioni per i comuni della provincia (18,8% delle azioni).

Hera è corsa subito al riparo dichiarando di voler rinunciare agli investimenti programmati ed aumentando le bollette del 3,5% cosi quel 7% sul capitale investito, che la consultazione referendaria ha tolto, recuperando dalle tasche dei cittadini-consumatori, puniti per i “loro bassi consumi”(visto che l’acqua è una merce da profitto). Tutto questo seguito da azioni del suo braccio politico, a cui appartengono tutti i manager hera, il PD (ed accoliti che votarono la messa in borsa prc, idv e sel) che sembra voglia presentare immediatamente una legge all’abrogato del D.L 152/2006 che di fatto sostituisca una norma secondo cui un 4% della tariffa venga assegnata all’azienda erogatrice nella forma della copertura d’impresa.

 

Adesso non sappiamo se la lettera che il comitato referendario con garbata protesta ha spedito alla ATO5 con la richiesta di “non aumentare le tariffe” possa funzionare, ma siamo sicuri che per contrastare questo tipo di politiche occorra mettere in campo energie e azioni che colleghino i movimenti per i beni comuni con tutte quelle forme di sindacalismo conflittuale che mettono al centro gli interessi collettivi a scapito del privato. Per fare questo è necessario assumere un punto di vista indipendente, capace di sbarazzarsi della gabbia –bipolarista- perché dentro questa gabbia gli interessi sono i medesimi. La ripresa delle mobilitazioni a settembre sarà il banco di prova rispetto ha tutto questo, dove la lotta per i beni comuni è parte integrante di quel movimento che metterà la democrazia reale e gli interessi collettivi al primo posto.

 

*Rete dei Comunisti di Bologna

 

(1) “homus civicus” la ragionevole folllia dei beni comuni, franco cassano ed. dedalo

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