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Cento anni dopo il massacro della Grande Guerra. Ci risiamo?

Sabato 21 settembre a Roma la Rete dei Comunisti organizza una conferenza dibattito (ore 10.00 alla Casa della Pace in via di Monte Testaccio 22) sul centenario del massacro della prima Guerra Mondiale con i contributi dello storico Giuseppe Aragno e dello storico dell’economia Giorgio Gattei. Un’occasione utilissima di conoscenza e confronto che verrà arricchita anche dai contributi di militanti, attivisti e studiosi.

Continuano infatti le iniziative dei governi europei che celebrano il centenario della Prima Guerra Mondiale. Su questa ricorrenza si sta consumando un’opera di mistificazione storica e ideologica funzionale all’attuale politica dell’Unione Europea. Si afferma infatti che la costruzione dell’Unione è la condizione necessaria per impedire la ripetizione degli eventi bellici della Prima e della Seconda Guerra Mondiale in Europa, insomma resarebbe una risposta progressiva ad un’epoca che non può ripetersi.

La realtà si sta incaricando, giorno per giorno, di smentire questa affermazione. Nel breve arco di pochi anni, non a caso dopo l’esplosione della crisi economico-finanziaria, ci siamo trovati tutto intorno proprio all’Unione Europea ad una serie di conflitti che, partendo quindici anni fa dalla Jugoslavia, oggi coinvolge l’Ucraina. Mentre a Sud sono arrivati fino alla Siria e, di nuovo, all’Iraq. E c’è stata l’eliminazione della Libia di Gheddafi, fino agli interventi militari nell’Africa ex francese. Senza mai dimenticare lo scontro tra i palestinesi e il progetto coloniale/sionista israeliano che in soli sei anni ha fatto migliaia di morti. Sembra effettivamente di essere nelle mani degli stessi apprendisti stregoni che cento anni fa scatenarono il massacro della Grande Guerra.

E’ doveroso poi sottolineare cosa avviene anche all’interno dell’Unione Europea, dove c’è da tempo una “guerra” di classe che vede i gruppi dominanti all’attacco contro le classi sociali subalterne, una guerra che punta alla riduzione del reddito diretto ed indiretto dei lavoratori, alla completa subordinazione dei lavoratori al sacro principio del profitto e della competizione, all’annichilimento politico degli spazi democratici.

L’ideologia dominante e l’informazione embedded ci sta rappresentando questi conflitti come ognuno a se stante, uno diverso dall’altro. Da una parte c’è il nazionalismo russo, dall’altra gli estremisti islamici oppure “feroci” dittatori che negano la democrazia. Questa lettura mistificante va rifiutata nettamente, perchè quello che sta avvenendo è il risultato di un unico processo che nasce dalla crisi sistemica che da alcuni anni sta spazzando i paesi imperialisti e che sta moltiplicando le spinte alla competizione globale in un mondo dove la “stella” unipolare degli USA è chiaramente in declino. Ma non è neanche una guerra “a pezzetti” come ha detto il Papa, ma è un conflitto trasversale che vede molti competitori a volte alleati ed a volte in competizione tra loro.

Ma se il problema, a cento anni dal massacro della Grande Guerra, è quello della guerra guerreggiata, basta volgere lo sguardo all’esterno per vedere la diretta smentita di una retorica istituzionale fatta ad uso e consumo delle classi dominanti. La guerra infatti non è mai stata così estesa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Esiste una “linea di fuoco” orizzontale che parte dall’Asia centrale ed arriva fino all’Africa atlantica ed una verticale che va dai paesi arabi fino all’Ucraina e, grazie alla NATO, forse fino ai paesi baltici. L’incrocio di queste due linee avviene proprio attorno alla Unione Europea. Tutto questo è un caso?

In uno scenario così inquietante, reso tale anche delle accelerazioni in corso, molto spesso nella sinistra italiana – in tutte le sue varianti – emerge la tendenza a schierarsi per l’uno o per l’altro. Magari sostenendo la Russia – confondendola con l’URSS, in termini negativi o positivi che siano – oppure tutte le “rivolte di piazza” quali che ne siano i promotori e i contenuti oppure con giudizi schematici sull’estremismo islamico rifiutandolo o giustificandolo. Ma soprattutto va contrastata quella ideologia eurocentrista che vede nella Unione Europea una possibilità di emancipazione per i suoi popoli, che ne ha ancora una visione edulcorata vedendo in essa la speranza di veder vincere elettoralmente le forze di sinistra. Purtroppo contano i dati strutturali di uno sviluppo capitalistico ultramaturo ed il carattere imperialista di quei paesi che ideologicamente in questi ultimi venti anni si sono proclamati storicamente i “ vincitori”. 

La tendenza alla guerra che sta crescendo da anni, è un effetto diretto della costruzione di quello che già negli anni ’90 abbiamo definito come la costruzione di un polo imperialista in Europa. Un concetto di “imperialismo” che spesso o viene ignorato o viene mistificato usandolo solo come espressione di una particolare politica “militare” o espansionista e non come livello sociale complessivo raggiunto da uno o, come nel caso europeo, da un gruppo di stati capitalisti. Su questo la Rete dei Comunisti intende fare una battaglia teorica per recuperare il pieno significato di questo termine.

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