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La funzione de La Repubblica, un giornale che vuole essere “totale”

Nelle ultime settimane, è giunta la richiesta dall’Unione Europea di una ulteriore cessione di sovranità da parte degli stati agli organi dell’Unione stessa al fine di poter fare più in fretta e meglio le riforme strutturali. Tale richiesta, rivolta con formula ampia a tutti gli Stati dell’Unione (come si sgola a ripetere Renzi), ma fin troppo chiaramente, dato il contesto in cui è stata formulata, diretta in particolare all’Italia, rappresenta la semplice enunciazione in forma palese del piano politico perseguito e delle modalità della sua attuazione. È importante quindi continuare ad approfondire una visione di classe che sappia leggere questo piano ed individuarne gli agenti principali delegati a renderlo digeribile all’opinione pubblica, per poter immaginare una risposta all’altezza dell’attacco che stiamo subendo. 

Ciò che qui ci interessa non è quindi proporre considerazioni generali sul ruolo dell’UE e sui suoi fini, ma un’analisi della funzione del quotidiano La Repubblica, che da anni è ormai lo strumento fondamentale di costruzione e diffusione della “weltanschauung” dominante. Recentemente anche su Contropiano si è evidenziata la pericolosità dei deliri proposti dai domenicali del suo fondatore, Eugenio Scalfari, e ad inizio estate diverse sono state le mobilitazioni che da Napoli a Bologna si sono mosse contro questa testata, ad evidenziare una presa di coscienza che lentamente ma con costanza si sta diffondendo a settori sempre più ampi. Troviamo assai riduttive quelle affermazioni che definiscono La Repubblica come “il giornale di Renzi”, “il giornale dei padroni”, “uno strumento di distrazione di massa” e via dicendo. La Repubblica è, certamente, tutto questo, ma è anche molto di più. Queste definizioni sono limitanti, e finiscono per minimizzare il ruolo del quotidiano, perché ne colgono solamente un aspetto particolare, e non riescono ad afferrarne la funzione generale. Se pensiamo alla Repubblica come il giornale di Renzi, collochiamo la sua “azione” solo nell’ultimo ristretto periodo temporale: essa operava invece anche prima, ed opererà anche dopo Renzi; sarebbe più corretto dire che essa è il giornale di ciò che Renzi rappresenta. Definirla solo come “il giornale dei padroni”, cosa che senz’altro è, ne appiattisce le specificità rispetto agli altri quotidiani (sono più o meno tutti giornali dei padroni). Attribuirle soltanto la funzione di distrazione, che sicuramente ha, rischia di lasciare in secondo piano la funzione costruttiva, altrettanto se non ancor più pericolosa. 

Partendo dalla constatazione della potenza dell’informazione, e della sua assoluta essenzialità per un sistema di potere sempre più oligarchico ed inegualitario, potremmo dire, in senso ampio, che La Repubblica è il quotidiano che sostiene e giustifica il progetto politico dell’Unione Europea. Essa ne propone, mitizzandoli, sia gli assiomi economici (e circa questi esprime il massimo della propria potenza mistificatoria, superando di gran lunga il limite della decenza), sia i dogmi politici e culturali. La Repubblica non è solamente il vassallo del rappresentante del Potere di turno, essa ha e realizza un progetto che è complesso e “totale”, vuole toccare tutti gli aspetti della nuova coscienza “progressista”, forgiare coscienze amanti del politicamente corretto, della competitività, della produttività, della legalità, dello sviluppo, eccetera, eccetera, eccetera… ma andiamo con ordine. 

L’universo valoriale che si cerca di introiettare è quello tipicamente liberal-liberista su cui si fonda l’UE, come emerge troppo chiaramente dai suoi trattati e dalle decisioni della Corte di Giustizia, parte integrante del diritto dell’Unione. Tra i diritti fondamentali e le libertà economiche, sono le seconde a prevalere sempre e comunque; il che potrebbe aprire il dibattito sul carattere conservatore e strumentale delle affermazioni dei diritti fondamentali, ma che qui non ci interessa. Ci limitiamo invece a segnalare una particolarità linguistica estremamente significativa: né la lingua francese, né l’inglese conoscono la distinzione tra liberalismo e liberismo; crediamo si possa dire che tale distinzione non c’è perché il profitto e le libertà economiche sono l’assoluto padrone dell’impianto ideologico, sono misura di tutto il resto; le altre libertà esistono e si esplicano solo in funzione delle prime. 

Se partiamo da qui possiamo meglio comprendere sia l’avversione de La Repubblica per Berlusconi, specie nell’ultimo periodo del suo governo, sia il conseguente amore per Napolitano, Monti, Letta, Renzi e i prossimi a venire.

L’avversione per Silvio non si traduceva infatti in una critica serrata a quella “rivoluzione liberale” che egli affermava di voler fare, né, tanto meno, alla criminale legge Biagi (d’altronde sulla scia della legge Treu), o alla riforma Gelmini, che tanto piace agli atenei più competitivi. Essa si rivolgeva invece ai caratteri del personaggio che facevano riferimento ad un tipo di borghesia clientelar-mafiosa che non può sopravvivere all’interno del progetto di ristrutturazione dell’UE e del ruolo da assegnare all’Italia. Non che scompaiano le mafie, le tangenti e via dicendo (si vedano Tav, Mose, Expo…), semplicemente il rapporto del Potere con questi meccanismi deve essere diverso. Non a caso l’attacco costante e continuo a Berlusconi veniva portato con toni moraleggianti soprattutto sulla questione dello sfruttamento della prostituzione, e, da qui, il quotidiano voleva proporre un’istanza di “emancipazione femminile”. Di quelle belle parole contro le donne-oggetto, le donne-immagine e della loro strumentalità parlano chiaramente le pubblicità (che portano molti soldi a tutte le pubblicazioni del gruppo Rcs) che propongono la stessa immagine della donna a suo tempo criticata negli articoli, gli insulti maschilisti e non politici a Carfagna e Minetti, i servizi sul sedere di Kate Middleton, l’adorazione (si veda la palese incongruenza coi giudizi sulla Minetti) per le nuove vallette renziane, i continui servizi fotografici sulle sportive delle olimpiadi e dei mondiali (le giocatrici di pallamano della Croazia sono splendide…). Con le vallette renziane il modello delle ministre berlusconiane, intriso sicuramente di un maschilismo più volgare, non è stato abolito, ma semplicemente superato, senza che vi sia stato un cambio di rotta reale.

A tutto questo si aggiungano le continue sparate, ormai davvero farneticanti, di Scalfari, maschilista fino all’inverosimile, che vuole farsi portavoce del nuovo “femminismo”, che, a suo avviso, non rifiuta il ruolo familiare della donna o il suo servilismo nei confronti dell’uomo, e vuole invece solo la fantomatica “parità dei diritti”. Aggiungo soltanto che nei vari anni in cui le prime pagine del quotidiano erano occupate da attacchi a Berlusconi, l’unico articolo serio e feroce contro il sistema berlusconiano, che coglieva nella commistione tra privato e pubblico il vero nocciolo della questione, sia stato scritto da Zagrebelski. Risulta quindi ancora più evidente la mancanza di contenuti della campagna “Se non ora quando?”, che ripeteva solamente slogan antiberlusconiani senza cogliere assolutamente il punto nodale del problema. 

Se questo era l’aspetto centrale della critica a Berlusconi, con le incongruenze evidenziate, se ne capisce la assoluta strumentalità e si comprende invece la attuale morbidezza del quotidiano verso il Cavaliere, ora che egli è, con i propri parlamentari, stampella fondamentale di tutti i governi che sono seguiti: ora che le redini sono saldamente tenute da Bruxelles, da dove vengono tutti i diktat politici, il Cavaliere non solo non deve più essere attaccato, ma è, obbligatoriamente, un soggetto politico con cui confrontarsi, a patto che aiuti a fare le riforme necessarie (il bravo lettore di Repubblica sa che le riforme strutturali rilanceranno il paese e lo faranno crescere, che poi gli studi economici smentiscano le teorie sugli effetti salvifici della “flessibilità” sul lavoro e tutto il resto non lo riguarda, nessuna di quelle parolacce giunge al suo orecchio). 

Se questo è il ruolo del quotidiano, è facile allora comprendere lo smisurato amore per Napolitano; fin dall’inizio del suo mandato il Presidente della Repubblica è uscito dalle proprie prerogative istituzionali per rendere chiara e stabile la linea politica: quella dettata da Bruxelles. Mentre i governi sono instabili a causa delle varie tornate elettorali, che mostrano un paese incerto e confuso (e infatti si è deciso di smettere di farle, le elezioni), e dei tiramenti dei singoli parlamentari, che oltre agli interessi di Bruxelles sono molto affezionati ai propri, Napolitano rappresenta l’architrave del progetto politico e per questo va incensato e sostenuto in ogni modo; anche quando fa eliminare registrazioni scomodissime sulla trattativa stato-mafia, anche quando viola palesemente la Costituzione. Si rassegni chi pensava che le pratiche di Berlusconi fossero incostituzionali e per questo andassero contrastate: nel giro di pochissimo tempo la Costituzione è diventata obsoleta (anche se è piuttosto giovane, sarà l’età biologica…) e da cambiare ad ogni costo. Non si possono dunque che riservare applausi a questo Presidente, anche se pare che tra non troppo vorrà ritirarsi. Il solo pensiero del successore fa venire i brividi…

E così a seguire il sostegno a Monti (dipinto come un santo, sembrava splendesse di luce propria), Letta (minore, perché meno efficiente nell’attuazione dei diktat) e Renzi, amatissimo nonostante abbia moltissimo in comune con l’odiatissimo Berlusconi (tra cui una cena ad Arcore quando ancora vi avvenivano quelle cose terribili di cui, con gusto da voyeurs, ci informavano prontamente). 

Il progetto non si limita però al sostegno pressoché incondizionato al presidente di turno, ma è anche un progetto di “costruzione” culturale. Per comprenderlo dobbiamo capire il soggetto-tipo a cui è indirizzato il quotidiano, che presenta già delle specificità proprie, sulle quali poi esso agirà come un tamburo martellante. Il soggetto di riferimento è quello che mediamente si autodefinisce liberal “di sinistra”, in piena linea con il pensiero mainstream, ma che non rinuncia ad alcuni elementi “progressisti”. Normalmente non si ritiene né razzista, né omofobo, né fascista, è contro la violenza, per il dialogo, per i diritti delle donne e i diritti civili, semi-pacifista. Su tutti questi attributi il quotidiano agisce creandone un’immagine surrettizia, come una patina dorata, introiettando al tempo stesso pensieri e modi di ragionare che, se analizzati, si rivelano essere tutto il contrario.

Ad esempio, se il quotidiano è apertamente contro gli insulti razzisti (ultimo caso: Tavecchio), al tempo stesso giustifica e considera come un dato di fatto assolutamente normale la presenza dei Cie, attaccando le manifestazioni di dissenso di coloro che vi si oppongono. Ancora, gli articoli di cronaca nera, nel caso in cui riguardino extra-comunitari, portano già nel titolo l’indicazione della nazionalità del terribile “criminale”, che fa così assurgere al rango di notizia degna di nota anche una semplice lite.

Ci si proclama per i diritti delle donne, interpretati però solo come un’esigenza di visibilità che si esplica nelle quote rosa e il desiderio di conformarsi agli standard di successo maschili (carriera dirigenziale, imprenditoriale…).

Si è contro l’omofobia, ma al tempo stesso non abbandona tutte le cautele dovute all’influenza del potere temporale del Vaticano.

Contro la violenza, ma solo se viene da pericolosi antagonisti o ultras, quando proviene dalle forze dell’ordine diviene gestione impeccabile della piazza.

Il dialogo e la libertà di pensiero sono tenuti in estrema considerazione, a patto però di pensarla come loro. Sono ammesse solo piccole varianti sul tema, la piena e totale condivisione dell’impianto ideologico è necessaria affinché si possa dialogare.

La guerra è una cosa brutta, ma che qualcuno contrasti gli interessi Occidentali è ancora peggio: sempre antifascisti, ma i nazisti ucraini piacciono moltissimo, i sionisti israeliani forse ancora di più.

Il Ventennio è stato un periodo orribile, ma anche i partigiani non scherzavano; e allora il quotidiano procede al completo sdoganamento dell’interpretazione fascista delle foibe e sostegno alla meravigliosa giornata che è stata dedicata a quei presunti martiri.

Si propongono, con un misto di invidia ed ammirazione da piccolo-borghese provinciale, i paesi del Nord-Europa come modelli di produttività e competitività, senza mai interrogarsi né su cosa sorregga le loro strutture produttive, né su quegli aspetti delle loro legislazioni che, invece, sono sempre al centro della discussione quando si parla delle norme italiane. Nessuno discute il fatto che la Bundesbank affermi che i salari (dei tedeschi, si badi bene) debbano essere alzati, o che Hollande abbia appena limitato i tirocini gratuiti o l’utilizzo del contratto di apprendistato. Da noi si incensano il decreto Poletti e lo Youth Guarantee… L’ammirazione per i paesi del Nord sembra allora essere riservata non al loro welfare-state, ma al fatto che il bunga-bunga altrove non sarebbe mai stato accettato (e che soddisfazione scoprire delle scappatelle notturne di Hollande, tra il romantico-decadente e il ridicolo!). La costruzione dell’immaginario atto a sostenere l’emigrazione dei giovani disoccupati italiani, che dovrebbero fuggire all’estero piuttosto che pretendere un cambio di rotta a casa propria, passa anche attraverso le pagine di questo giornale.

Interrompiamo qui la carrellata di esempi, anche se potremmo andare avanti ancora decine di pagine, perché ci sembra che già questi bastino ad affermare che La Repubblica riprende elementi culturali e politici tipici della “sinistra” per svuotarli completamente di senso, reinterpretandoli come stupide etichette sotto le quali invece si nascondono, neanche troppo bene, basi di pensiero reazionarie ed insopportabili. 

Concludiamo riaffermando il ruolo strumentale del quotidiano rispetto al potere dominante, che deve essere individuato nelle mani di quella frazione di borghesia transnazionale che si sta consolidando coerentemente con le logiche politiche di Bruxelles. Questa funzione ci sembra emergere chiaramente da un’analisi delle parole d’ordine del quotidiano rafforzatesi negli ultimi anni del governo berlusconiano, ma che erano già presenti sin dagli albori della sua fondazione, come ben sanno i compagni che sostenevano le mobilitazioni della nuova sinistra in quegli anni. Tale ruolo non si esplica solo nel sostegno alle tesi economiche del blocco europeista, ma al tempo stesso si propone di riprendere e ribaltare elementi tipici della sinistra come l’antirazzismo, l’antifascismo, il femminismo etc. reinterpretandoli in chiave reazionaria e riaffermando i valori e gli atteggiamenti a cui questi invece si oppongono, creando così una corrente di pensiero “totale”.

* Noi Restiamo

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1 Commento


  • Gabriele

    Repubblica è il giornale della borghesia liberal, tant’è che nella sezione annunci si trovano le ferrari, le mercedes e tanta altra roba di lusso che non dovrebbe essere presente su un quotidiano di sinistra letto da lavoratori, disoccupati e disperati in genere…… Repubblica è un quotidiano che deve chiudere e vedrete che chiuderà.

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