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Il riflesso condizionato di Luciana Castellina

L’ormai celebre intervento di Luciana Castellina sul Manifesto dedicato a Potere al popolo, e la sua successiva replica alle critiche sulla stessa testata, aiutano a sviluppare qualche riflessione. Di quelle che servono più di mezza giornata.

Ora, per chi non conosca Luciana Castellina dobbiamo dire che, oltre ad essere una compagna storica, è anche una persona aperta, curiosa, capace di condividere esperienze straordinarie. Il punto è che, al momento in cui emergono delle criticità politiche la compagna Castellina manifesta il solito riflesso condizionato, tipico di quel genere di impostazione culturale. Il riflesso si concretizza nel consueto richiamo all’unità della sinistra, o di ciò che si suppone essere di sinistra, preludio ad una più complessiva difesa dei valori costituzionali. Uno schema anni ’50, togliattiano, un evergreen dei valori unitari che riemerge, appunto, ad ogni criticità politica.

Fino ad arrivare, con la zattera del tempo, fino a noi. Non è un caso, infatti, che Castellina, mettendo in campo i classici a suo avviso utili per legittimare il suo discorso, parli di Lenin, Gramsci e Togliatti. Lasciando perdere i primi due, anche per non finire in discussioni dottrinarie, rimane esemplare l’uso di Togliatti nell’argomentazione politica odierna. Già ma quale Togliatti? Quello antropologicamente rigido, per non dire cieco, per cui all’estensione dell’economia corrispondeva anche quella della democrazia? Certo, con questi metri la Germania prebellica di Hitler, quella che portò i disoccupati da sei milioni a zero in poche decine di mesi, sarebbe stato il paese più democratico del ‘900. Oppure quello che fece fuggire dal Pci la migliore leva intellettuale di sinistra dell’epoca, un salasso qualitativamente mai veramente colmato, tra la polemica con Vittorini e il sostegno all’invasione dell’Ungheria? Oppure colui che fu l’espressione massima di un gruppo dirigente che non vide proprio le trasformazioni tecnologiche dell’allora neocapitalismo italiano rimanendo inchiodato a una visione arcaica del capitalismo?

Sicuramente il Togliatti che interessa a Castellina, specie quando viene messo in causa Gramsci, è quello della rivoluzione passiva. Ovvero di quella strategia, mutuata dal comportamento delle classi dirigenti, di lento ma significativo ribaltamento dei rapporti di forza sociali e poi politici.

Senza entrare nel dettaglio, ovvero di quanto sia praticabile una rivoluzione passiva in società dove tutto cambia sempre in un lustro, ma quali sono gli uomini del cambiamento, della rivoluzione passiva, in Liberi Uguali? Ci si rende conto che la vera controriforma della costituzione, l’obbligo di pareggio di bilancio, l’ha fatta Bersani, con D’Alema e Monti, che ha abolito così le politiche di intervento pubblico in caso di forte crisi?
E’ chiaro che oggi siamo nella classica notte in cui le vacche sono sempre nere e che, oltretutto, si stanno usando, un pò troppo, le parole in libertà. Bersani, Grasso, D’Alema, il grosso dei fondatori di Liberi e Uguali, con la difesa della costituzione (e meno che mai con Gramsci), non c’entrano nulla, e non vediamo “nuovi inizi“. La costituzione l’hanno già “riformata”,  nel 2012, collocando l’economia liberista come l’unica costituzionale. Votando sotto dettatura delle governance europea e della banca centrale. Questa è gente che di passivo c’ha solo la subordinazione alla finanza non la rivoluzione di gramsciana memoria.

Il 4 dicembre 2016 le persone citate hanno semplicemente detto che poteva bastare così, che Renzi andava troppo oltre, e che il grosso del lavoro era stato fatto. Parlare, come fa Castellina di questi soggetti come la difesa di qualcosa, addirittura del nucleo progressista presente nella costituzione, è un’operazione di fantasia. Una fantasia dalla quale emergono Lenin, Gramsci, Togliatti e magari anche Dolores Ibarruri ma dalla quale, guarda caso, stanno ben lontani i nodi della realtà.

da Senza Soste.

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