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I nodi e il pettine

Alcune note sul responso delle urne nelle ultime elezioni politiche ed amministrative

I recenti risultati elettorali hanno evidenziato così nettamente le responsabilità dirette del PD nella sua débâcle e nell’avanzata apparentemente inarrestabile della Lega che insistervi rischia di divenire pedante, ma soprattutto poco utile per l’analisi del presente e del futuro politico del paese e delle forze di classe in campo.

Con il voto del 4 marzo, al quale è seguito l’ancora più pesante messaggio delle elezioni amministrative, conclusesi con i ballottaggi del 24 giugno scorso, si è materializzato quel “rancore sociale” evidenziato dall’Istat.

La “sinistra di governo” è stata spazzata via, a partire dalle sue presunte “casematte” in terra toscana. Chi si sorprende di questi risultati non ha seguito la vicenda sociale degli ultimi anni dal punto di vista di chi oggi vota “per vendetta” oppure si tiene lontano dalle urne.  I centri storici opulenti ed esclusivi, grazie a investimenti economici e di polizia garantiti dal PD, sono assediati da periferie abbandonate a sé stesse. I benestanti votano “a sinistra”, i poveri si affidano alla demagogia securitaria e populista della Lega.

Il termine sinistra si è trasformato in un epiteto, che allontana il popolo, persino dalla disponibilità a prendere un volantino in un presidio o in un banchetto.

Evidentemente, il responso delle urne ha fatto emergere un livore verso una intera cultura politica, che negli ultimi 25 anni ha sacrificato il legame di massa alle alleanze con il PD e le sue propaggini sindacali e socio/culturali, quelle stesse che in tempi recentissimi si sono opposte alla manifestazione antifascista di Macerata e poi si sono coagulate intorno al democristianissimo Mattarella, ventriloquo di una Unione Europea che ha imposto al governo legastellato un ministro dell’economia consono ai voleri di Bruxelles.

La strada perseguita dalla sinistra in tutti questi anni ha trovato quindi il suo punto di implosione, che impone ai più accorti di misurarsi finalmente con la concretezza della realtà sociale e politica prodotta da una crisi sistemica del capitalismo senza precedenti, che produce crisi di egemonia delle classi dominanti, scuotendo dalle fondamenta il vecchio sistema di accordi e alleanze a livello internazionale. Nel ridotto continentale la crisi mette in fibrillazione tutta l’Unione Europea, dove più che gli esecutivi nazionali governa il cosiddetto “pilota automatico”, imponendo la solita e unica ricetta possibile per classi dominanti divise sulla gestione delle emergenze (migranti, debito pubblico), ma unite nella difesa del sistema e degli interessi del padronato.

Il governo Conte incarna la rivalsa della piccola e media borghesia di fronte alla sua pauperizzazione, indotta dalle politiche recessive della UE. Un esecutivo che ha i numeri, man non un progetto in grado di rispondere ai processi di centralizzazione economica a livello planetario i quali, come idrovore, risucchiano interi paesi ed aree economiche. La risposta è un populismo reazionario senza prospettive, se non quelle di adattarsi entro i margini imposti dall’Unione Europea stessa, come dimostrano le prime dichiarazioni del Ministro dell’Economia Tria.

L’alternativa a questo vuoto di prospettive è stata messa in campo dal decadente imperialismo statunitense rappresentato dall’amministrazione Trump: guerra commerciale (i dazi) e guerre guerreggiate.

Oggi Salvini parla alle pance, domani dovrà riempirle, e la prospettiva di ulteriore crisi che si apre, determinata anche dall’offensiva statunitense contro le economie della UE e degli altri colossi economici mondiali, dà veramente poche o nessuna chance a questo secondo tempo della politica dell’esecutivo appena insediatosi.

Venendo al ridotto locale, il risultato pisano disvela in maniera brutale quanto questi processi abbiamo scavato a fondo nel corpo sociale di periferie colpite duramente dalla disoccupazione, dalla precarietà del lavoro e del vivere. Nei quartieri popolari la lega ha raggiunto percentuali che vanno dal 28 al 40 %, conquistando insediamenti una volta a stretta egemonia PCI. Più che il tema immigrazione, che ha indubbiamente una sua valenza in termini di condizionamento ideologico e psicologico, è la condizione materiale che ha spostato a destra parti consistenti dell’elettorato popolare.

Di fronte a questa nuova situazione, che formalizza una condizione maturata in anni e anni di politiche antipopolari, occorre mantenere la barra dritta sull’intervento politico nel nostro blocco sociale di riferimento. Il tempo delle coalizioni politiciste “a sinistra” come panacea di tutti i mali si è concluso da oltre 10 anni.

Solo da una nuova internità alla classe potrà emergere una soggettività collettiva in grado di rafforzare delle fondamenta che ancora esistono nel paese, come ci ha dimostrato l’ultima manifestazione nazionale del 16 giugno scorso a Roma, indetta dal sindacalismo di classe e sostenuta da organizzazioni comuniste e anticapitaliste.

Una strada che ha iniziato ad intraprendere Potere al Popolo!, coalizione di forze e di soggettività unite intorno all’obiettivo di costruire un soggetto politico autonomo e indipendente dall’intero quadro politico nazionale.

Occorre preservare e rafforzare questa spinta indipendente, dandogli gambe politiche, organizzative e un programma in grado di far radicare Potere al Popolo! in ogni città, contro gli esecutivi che si alternano alla guida di un paese e contro il polo imperialista europeo, incarnato dall’Unione Europea e dai suoi trattati, vera e propria gabbia da rompere, per riaprire una prospettiva generale di cambiamento in senso socialista della società, a livello nazionale e continentale.

I comunisti hanno il compito di sostenere questo percorso, mettendo a disposizione energie intellettuali e materiali. La Rete dei Comunisti ed i suoi militanti, a Pisa come in tutto il paese, ha sin da subito partecipato con entusiasmo a Potere al Popolo!, contribuendo fattivamente alle sue attività sui territori.

Continueremo con determinazione su questa strada

 

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