Menu

L’Occidente è un accidente

Cosa sta succedendo? Questa domanda è sempre più diffusa perché l’insicurezza e il disorientamento hanno oramai raggiunto un livello impressionante: alla precarizzazione della vita che ci ha imposto per decenni il liberismo si è infatti aggiunta la possibilità concreta della guerra. L’insicurezza sociale, la precarietà, la distruzione del welfare, uniti alla vicenda della pandemia del Covid e oggi al clima di guerra determinano un vero e proprio spaesamento, uno diffuso stato di choc.

L’insicurezza si nutre anche di una forte di perdita di credibilità delle narrazioni pubbliche: com’è del tutto evidente buona parte della comunicazione non è finalizzata a informare i cittadini ma a manipolare l’opinione pubblica. Pensate solo a come viene rappresentato dai media il genocidio del popolo palestinese a Gaza. Nell’insicurezza matura la sfiducia ma anche la ricerca spasmodica di certezze a cui aggrapparsi come a un salvagente.

Nel difficile compito di evitare sia le bugie di regime che quelle complottiste, abbiamo realizzato questo numero di “Su la Testa”, cercando di capire cosa c’è dentro e dietro questa situazione nebulosa connotata dal clima di guerra. Lo facciamo puntando l’attenzione sull’Occidente. Non solo perché ci viviamo ma perché è l’Occidente che più di ogni altro aggregato mondiale sta puntando sulla guerra. Giova ricordare, per sottolineare un solo elemento, che l’Occidente ha l’unica alleanza militare a largo raggio oggi esistente al mondo – la NATO – e nel 2023 ha speso 1.341 miliardi di dollari, pari al 55% della spesa militare mondiale pur avendo meno del 23% della popolazione.

Attorno ai nodi della guerra e dell’Occidente ruota questo numero della rivista che confido vi aiuterà ad inquadrare il problema e spero venga letto e discusso collettivamente: perché la rifondazione del comunismo e il rilancio dell’alternativa si fondano necessariamente su una corretta analisi di fase.
Abbiamo intitolato questo numero “L’Occidente è un accidente”, riprendendo il titolo di un libro di Roger Garaudy, che nel 1977 pubblicò “Pour un dialogue des civilisations: l’Occident est un accident”, perché il tema della guerra non è un incidente o il puro esito di dinamiche economiche ma è profondamente intrecciato alla crisi dell’Occidente.

La fine di tre grandi cicli storici

Sappiamo che la tendenza alla guerra è un aspetto centrale nel funzionamento del modo di produzione capitalistico: sono due facce della stessa medaglia e la guerra non di rado è stata lo strumento per risolvere i problemi di accumulazione del capitale non risolvibili per via economica. Basti pensare al ruolo della spesa militare. Dentro questa tendenza generale, alcune variabili economiche, come la contraddizione tra debitori e creditori, determinano una grande spinta sistemica verso il dramma della guerra. L’enorme situazione debitoria degli USA lì a parlarci di questi squilibri devastanti.
Queste tendenze le vogliamo analizzare insieme alle dinamiche politiche, culturali, sociali, geopolitiche perché proprio quest’intreccio spiega come mai il tema della guerra si presenti oggi con questa forza. Solo la capacità di connettere le tendenze di fondo del modo di produzione capitalistico con il complesso dei rapporti sociali permette, a mio parere, di capire il capitalismo come una “totalità concreta” e di evitare di cadere nell’economicismo, errore fatale per chi, come noi, cerchi di analizzare la realtà in modo materialista ma non meccanicista.

L’intreccio tra la tendenza alla guerra e il declino dell’Occidente si evidenzia nella chiusura di tre cicli storici che avevano determinato il ruolo centrale dell’Occidente nel mondo. Si tratta di fasi temporali diverse per lunghezza e per importanza strutturale, ma la cui fine converge nel produrre la “tempesta perfetta” in cui viviamo.

1. La Geopolitica: è finito il ciclo cominciato con il crollo del muro di Berlino

Dopo il crollo del muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica è rimasta una unica superpotenza: gli Stati Uniti. E’ cominciata l’epoca del mondo unipolare in cui la volontà degli USA si è imposta come vero e proprio potere sovrano e costituente. La globalizzazione, pensata in questo contesto dagli USA ha però prodotto, contro le aspettative, la nascita di nuove superpotenze come la Cina e una condizione di maggior equilibrio economico a livello mondiale. Per questo nell’ultimo decennio gli USA hanno deciso di contrastare la globalizzazione a partire dall’attivazione di misure protezioniste.

La mia opinione è che la globalizzazione neo-liberista abbia eroso le basi su cui si reggeva questo dominio unipolare e che la guerra in Ucraina e le sanzioni economiche ad essa connessa, ne abbiano sancito la fine.
Come ci ha spiegato il Segretario Generale della NATO Stoltenberg, la guerra in Ucraina è il frutto di una strategia messa in atto dagli Stati Uniti e dalla UE nella fase del dominio unipolare del mondo. In primo luogo, a partire dal 2000 con l’allargamento della NATO a est.

In secondo luogo nel 2014 con il golpe di Piazza Maidan in Ucraina e la scelta di non rispettare gli accordi di Minsk sulla tutela dei diritti della popolazione Russa residente in Ucraina. In terzo luogo usando questi anni per potenziare grandemente l’esercito Ucraino sotto l’egida della NATO e nel 2021/22 impedendo ogni accordo pacifico che evitasse la guerra.
L’obiettivo della NATO era quello di attirare la Russia in un conflitto di lunga durata, una sorta di Afganistan europeo che ne dissanguasse risorse finanziarie e umane fino ad arrivare all’implosione della Russia stessa puntando al suo smembramento in tante piccole nazioni.
Le cose sono andate in modo assai diverso.

Le sanzioni economiche non solo non hanno piegato la Russia, ma hanno avuto effetti opposti a quelli attesi in Occidente. In particolare, la Russia ha rapidamente realizzato con i BRICS canali commerciali alternativi per non parlare della forte spinta a rilanciare produzioni direttamente in Russia. Inoltre le sanzioni finanziarie, nella loro completa arbitrarietà ed illegalità dal punto di vista del diritto internazionale, hanno spaventato le classi dirigenti di tutto il mondo, allargando grandemente il numero di paesi interessati ad unirsi ai BRICS al fine di costruire scambi al di fuori del dominio del dollaro, mettendolo in discussione il suo potere.

Sul piano militare, la tanto sbandierata superiorità tecnologica occidentale si è rivelata un bluff. Nel settore missilistico, nella guerra elettronica e nella capacità di riorganizzare le forme del conflitto, la Russia non si è mostrata seconda a nessuno. Questo fatto è stato notato in tutto il mondo e ha cambiato completamente la percezione dei rapporti di forza globali. Lo si vede bene in Africa ma non solo.

In terzo luogo l’arrogante politica statunitense ha prodotto un avvicinamento tra Cina e Russia che non ha precedenti storici. Emblematico il manifesto del governo cinese affisso nelle vie di Pechino durante la visita di Putin nel maggio scorso che ritrae i due leader sorridenti mentre si stringono la mano e recita testualmente: “Due paesi, due leader, una strada”.

In altri termini, le sanzioni economiche e il conflitto militare, non solo non hanno piegato e disgregato la Russia ma hanno determinato una forte accelerazione nella costruzione di relazioni tra le nazioni del “Sud globale” a partire dallo sviluppo dei BRICS. Si tratta di un fatto enorme perché significa che il mondo oggi non è più unipolare ma multipolare.

Evitando ogni illusione che scambi quanto sta succedendo con una vittoria del socialismo, registriamo positivamente la secca sconfitta subita dalla volontà di potenza unipolare che l’imperialismo statunitense ha ricercato e praticato dopo il crollo dell’Unione Sovietica: bene!

Che questa nuova situazione venga accettata dall’Occidente e si dia così luogo ad un mondo multipolare cooperante e in pace, oppure che questa nuova situazione venga rifiutata dall’Occidente e questo scateni la terza guerra mondiale, è il bivio che abbiamo dinnanzi e su cui possiamo e dobbiamo incidere con la nostra azione politica.

2. La finanza. È finito il ciclo cominciato nel ‘44 con Bretton Woods.

Nel luglio 1944 si tenne a Bretton Woods una conferenza tra tutti gli alleati che stabilì il nuovo sistema monetario internazionale, basato sul ruolo centrale del dollaro di cui veniva sancita la convertibilità in oro: un dollaro per 35 once d’oro. Dalla conferenza uscì sconfitta la proposta avanzata da Keynes a nome della Gran Bretagna che proponeva al contrario di dar vita ad una stanza di compensazione del commercio mondiale prevedendo una compensazione tra debiti e crediti attraverso una moneta denominata Bancor. Keynes proponeva cioè un sistema rivoluzionario, indipendente dal dollaro e con meccanismi di autoregolazione tra debiti e crediti e quindi tra importazioni ed esportazioni: un sistema che superasse gli squilibri che erano alla base dello scoppio delle guerre.
Questo sistema finì nel 1971 quando il presidente Nixon sospese unilateralmente la convertibilità del dollaro in oro: al suo posto non ne venne però costruito un altro sullo schema proposto da Keynes ma, al contrario, il ruolo del dollaro come moneta di riferimento del sistema internazionale continuò senza che gli Stati Uniti ne garantissero più la convertibilità in oro. Dal ‘71 il dollaro è quindi diventato la moneta fiduciaria del mondo, senza più alcun onere per gli USA: un vero strumento di dominio, l’esatto opposto di cosa proponeva Keynes. Come ebbe a dire Nixon: “Il dollaro è la nostra valuta e il vostro problema”.

In ultima analisi – e passando attraverso l’operazione dei petrodollari – da quel momento tutti i paesi e gli operatori commerciali del mondo ebbero interesse a mantenere la stabilità del dollaro in modo da garantire un efficace sistema di scambi internazionali. Il governo statunitense cominciò così ad usare questo potere indebitandosi in modo abnorme con l’estero. In pratica gli USA in questi decenni hanno vissuto molto al di sopra delle loro possibilità, hanno consumato molto più di quanto hanno prodotto: per dirla volgarmente invece di pagare i propri debiti hanno stampato dollari il cui valore è stato sostenuto dal resto del mondo. L’imperialismo statunitense si è appropriato di una grandissima rendita economica e finanziaria.

Questa situazione sta finendo: sono cambiati i rapporti di forza
Il crescere di altri potenze economiche come la Cina, i comportamenti arbitrari degli Stati Uniti e la conseguente costruzione di canali alternativi al dollaro nel commercio internazionale posti in essere soprattutto dai BRICS, hanno minato pesantemente la condizione di fiducia: non è più vero che tutti nel resto del mondo sono interessati alla stabilità del dollaro.

Parallelamente si è ridotto pesantemente il ricorso al dollaro come valuta di riserva. È in corso un processo di sostituzione del dollaro con l’oro nelle riserve delle banche centrali di molti paesi a partire dalla Cina. Non a caso il prezzo dell’oro è andato alle stelle e questa tendenza alla sostituzione del dollaro sia nel commercio che come valuta di riserva porrà seri problemi agli USA nel rifinanziamento del proprio debito. In pratica gli USA dovranno cominciare a pagare i propri debiti.

La grande maggioranza degli economisti pensa che questo sarà un processo lento e quindi non molto rilevante perché è solo all’inizio e non esiste un’altra valuta che possa sostituire il dollaro. Io penso al contrario che essendo il valore del dollaro sostenuto da un elemento fiduciario, nella misura in cui questo non è più largamente condiviso, la perdita di ruolo del dollaro è destinata a procedere a salti e non con una lenta planata. In altri termini non è necessario avere una valuta che sostituisca compiutamente il dollaro affinché avvenga la crisi del dollaro stesso e gli USA ne paghino le conseguenze. Nel capitalismo esistono le crisi e questa si preannuncia rilevante.

La spinta alla guerra degli USA
Quanto sopra riportato ridurrà pesantemente la ricchezza del paese, il livello di vita della popolazione statunitense e aumenterà esponenzialmente le contraddizioni sociali. In un paese in cui vi sono 270 milioni di armi – 89 armi ogni 100 abitanti – e che ha rischiato la guerra civile per il contenzioso sulle elezioni presidenziali nel 2021, le contraddizioni possono diventare “esplosive”.
In altre parole la perdita di centralità del dollaro nel sistema mondiale è destinata a produrre un impatto pesante sul livello di vita e sulla crisi sociale negli USA: per questo le elites capitalistiche statunitensi cercano in tutti i modi di evitare questo esito. Lo stanno facendo con il protezionismo e ricattando e cercando di disciplinare il maggior numero di paesi mondiali, a partire dagli “alleati”, ma è del tutto evidente che si tratta di misure insufficienti per evitare la catastrofe.
La verità è che la guerra è la strada principale che le elites statunitensi hanno scelto per cercare di mantenere la propria posizione di assoluto privilegio nel campo mondiale. Sono divise sulla tattica ma unite sul problema di fondo: quello militare è l’unico terreno in cui gli USA conservano una posizione di superiorità rispetto alle altre potenze.

Ho detto prima dell’enorme spesa militare ma questa si compendia con il numero di basi militari all’estero (oltre 900 a fronte della decina di basi militari russe e dell’unica base militare estera cinese). Mentre sul piano economico e tecnologico gli USA non sono più primi e rischiano di perdere la sovranità sul piano finanziario, quello militare è l’unico terreno su cui sono in vantaggio.

Così mentre la Cina, la Russia, l’India, il Brasile avrebbero tutto da guadagnare dal mantenimento della pace perché nella pace potrebbero crescere e migliorare la propria situazione sul piano mondiale, gli USA hanno tutta da perdere dalla prosecuzione della situazione attuale perché li porta al declino e al conflitto interno. Gli USA con la guerra cercano di portare fuori di sé contraddizioni che altrimenti gli esploderebbero in casa. Per questo stanno allargando la NATO anche ad oriente ed individuano nella Cina il nemico principale.

3. L’ Economia. È finito il ciclo iniziato con la nascita del capitalismo e del colonialismo

In un lungo arco di tempo tra l’età dei comuni in Italia e il 1700 in Inghilterra è nato il capitalismo. Nel 1492 Colombo scoprì l’America e a da quella conquista coloniale la storiografia situa la nascita dell’età moderna. Senza addentrarci sulle ragioni che hanno determinato il passaggio dal modo di produzione tributario al capitalismo proprio in Europa, è necessario sottolineare un elemento: nell’età moderna, il capitalismo si è affermato come modo di produzione dominante in un intreccio indissolubile con il colonialismo e questo ha determinato la supremazia dell’Europa sul resto del mondo.

Dopo la seconda guerra mondiale il centro imperialista si è spostato da Londra a Washington ma non sono cambiate qualitativamente le cose: il vertice è rimasto in Occidente, lungo un asse atlantico, in mano ad uomini bianchi di tradizione giudaico cristiana.

Il dominio occidentale si è consolidato in centinaia di anni e anche quando il capitalismo si è sviluppato in altre parti del mondo le redini sono sempre state saldamente in mano al comando occidentale: pensiamo a come i piani di aggiustamento strutturale abbiano in Africa sostituito le vecchie forme del colonialismo o come le tigri asiatiche e il Giappone siano stati piegati alla fine del secolo scorso quando hanno espresso velleità oltre il consentito.
Anche questo ciclo economico e di potere è arrivato al termine. Il terremoto finanziario di cui ho parlato nel paragrafo precedente non è che la punta dell’iceberg di un rovesciamento di rapporti di forza tra nord e sud che è avvenuto sul piano economico, produttivo e tecnologico. La Cina sta diventando la principale potenza economica e per questo, non per altro, è considerata il nemico strategico da parte degli Stati Uniti.

Il baricentro del mondo si è spostato dall’Occidente al Sud del mondo.
Questo non significa che il “Sud globale” costituisca una soggettività compatta in grado di sostituire la leadership degli Stati Uniti. Significa che gli Stati Uniti non sono più in grado di esercitare la leadership: il centro del mondo non è più in Occidente e quest’ultimo non ha più abbastanza potere economico e finanziario per impedire questo passaggio.
Stiamo quindi vivendo un passaggio storico in cui l’Occidente, che per secoli ha dominato il mondo, è in declino, non più in grado di continuare a svolgere una funzione egemonica. Da qui deriva, come abbiamo visto, la tendenza ad usare la forza militare – campo in cui l’Occidente mantiene una relativa superiorità – per cercare di restaurare un’impossibile gerarchia che non ha più le basi materiali su cui poggiare. Questa strategia occidentale ha determinato una grande alleanza tra Russia e Cina che aggrava ulteriormente la crisi delle elites occidentali (….)

*Il testo integrale del saggio compare come editoriale sul nuovo numero della rivista Su la testa

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *