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Il 12 aprile 1973: per conoscere i fatti ma soprattutto il contesto

L’ultima fatica di Saverio Ferrari, da anni impegnato nello studio e nella documentazione dei movimenti e dei gruppi neofascisti, è il libro 12 aprile 1973. Il “giovedì nero” di Milano (Redstarpress, pag 207, 16€). Nella data ricordata dal titolo, si svolse a Milano una manifestazione promossa dal Movimento Sociale Italiano (MSI) che degenerò in violentissimi scontri che portarono alla morte di un agente della celere, Antonio Marino, ucciso da una bomba a mano SRCM lanciata dal fascista Vittorio Loi contro i reparti della polizia. I fatti che avvennero il 12 aprile 1973 sono descritti con attenzione nel libro di Ferrari; tuttavia ciò che è più interessante è la ricostruzione, proposta dall’autore, del contesto storico e politico in cui essi s’inquadrarono.

Nel 1973, il MSI era un partito che, benché avesse ottenuto un certo successo elettorale nelle elezioni dell’anno precedente, non aveva agibilità politica nella città di Milano. Seppure l’attività squadrista in città fosse intensa, da anni il MSI non riusciva a tenere una manifestazione e tutte le sue iniziative erano impedite dalle forze democratiche. Probabilmente proprio per reagire a questa situazione, in quel 12 aprile 1973, i dirigenti missini milanesi ma anche nazionali vollero tentare un grande rilancio di piazza, avvalendosi del supporto di squadristi affluiti da tutta Italia e segnatamente da Reggio Calabria, con la presenza nel programma del comizio di Ciccio Franco, noto demagogo della rivolta di quella città, eletto in seguito parlamentare per il MSI.

La manifestazione, nei progetti missini, doveva essere preceduta da un attentato a un treno, organizzato dai fascisti ma da attribuire ai comunisti, che fu effettivamente messo in pratica, ma che fallì. Tale attentato, attuato il 7 aprile, vale a dire cinque giorni prima della manifestazione di Milano, fallì perché il terrorista nero Nico Azzi si fece esplodere tra le mani la bomba, sul treno Torino-Roma, mentre la innescava. Azzi rimase ferito e fu arrestato, quindi l’attribuzione dell’attentato fu chiara e questo fece fallire il progetto di indire la manifestazione del 12 aprile come riposta a un presunto terrorismo rosso.

Nonostante il divieto giunto dalla questura deciso anche in seguito alle pressioni delle forze democratiche dopo il fallito attentato, il MSI confermò la sua manifestazione del 12 aprile contro la violenza comunista “nelle città e nelle scuole”. I fascisti si scatenarono nel quartiere Monforte-Venezia di Milano in una serie di violenze contro circoli culturali, sedi di giornali e associazioni democratiche e persino contro singoli passanti intimiditi e malmenati, sino al lancio di tre bombe a mano contro la polizia.

Queste azioni squadriste sono inquadrate da Saverio Ferrari seguendo alcuni filoni politici precisi.

Anzitutto il rapporto tra il MSI, partito neofascista ma che si dichiarava difensore dell’”ordine” e della “legalità” e i gruppi più dichiaratamente estremisti come La Fenice, di fatto sezione milanese di Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale e altri. Sebbene pubblicamente il MSI dichiarasse di essere lontano dai gruppi più estremisti ed eversivi, i rapporti che intratteneva con essi, in termini di organizzazione, collaborazione politica e infine di comunione di militanti risultano evidenti. Il tutto mascherato da reticenze e “dimissioni” tattiche dal MSI, come quelle che presentarono, alla vigilia del 12 aprile, diversi dirigenti delle organizzazioni giovanili per essere liberi di agire senza coinvolgere il partito.

In realtà tra il MSI e i gruppi dichiaratamente eversivi si attuava il famoso gioco del doppiopetto che nascondeva il manganello, ben rappresentato, quel 12 aprile, dalla delegazione di parlamentari missini che si reca in prefettura per avviare un contatto istituzionale mentre i giovani fascisti mettono a soqquadro interi quartieri. La politica del MSI di offrire unimmagine legalitaria e rispettabile ma di avere, al suo interno, squadristi e a volte delle vere organizzazione paramilitari iniziò con la sua stessa fondazione. Infatti, già al momento della sua nascita, nel 1946, il MSI incorporò gran parte dellEsercito Clandestino Anticomunista, coordinato in un direttorio nazionale, alla cui formazione contribuirono soprattutto Pino Romualdi e Giorgio Almirante. Per esempio, a Milano, il più importante gruppo di tale esercito furono i Fasci dAzione Rivoluzionaria (FAR) che dipendevano dallex generale della Milizia Ferruccio Gatti, uno dei fondatori del MSI.

Una seconda traccia è quella del tentativo costante dei fascisti di attribuire ai comunisti e agli anarchici la responsabilità di attentati in realtà di matrice nera come nel caso più noto, quello di Piazza Fontana. Nel libro di Ferrari si rileva come l’attentato del 7 aprile 1973 dovesse essere fatto ricadere sulla sinistra e anche su come i dirigenti missini tentarono più volte, attraverso la stampa di partito, di attribuire a “elementi provocatori” comunisti la responsabilità degli incidenti del 12 aprile e l’uccisione dell’agente Marino. Il MSI arrivò grottescamente a mettere una taglia su chi avesse permesso l’identificazione dell’assassino dell’agente Marino. Un castello di menzogne che cadde miseramente quando furono chiare le responsabilità politiche ma soprattutto personali di alcuni noti squadristi che furono anche accertate per via giudiziaria.

Infine, la questione più inquietante che emerge da questo libro è quella dei rapporti tra i fascisti, sia del MSI sia degli altri gruppi e una parte consistente degli apparati dello stato, che fu evidente anche in questo caso. L’uso delle bombe a mano non fu un caso limitato al 12 aprile; il loro impiego nelle azioni terroriste e squadriste era abbastanza frequente, basti pensare che un paio d’anni prima a Catanzaro i fascisti avevano lanciato una bomba a mano contro un concentramento di antifascisti uccidendo l’operaio Giuseppe Malacaria.

Anche in occasione del 12 aprile 1973 è certo che i fascisti disponessero di un numero di bombe SRCM ben superiore alle tre che furono poi effettivamente lanciate. Tali bombe erano in dotazione all’esercito e furono consegnate agli squadristi da militari simpatizzanti dell’estrema destra. Tuttavia, il fatto ancora più grave fu la gestione dei processi che seguìrono i fatti dell’aprile 1973. Infatti, si tennero due distinti processi.

Nel primo dei due furono processati e condannati diversi giovani squadristi, primi tra tutti Vittorio Loi e Maurizio Murelli, responsabili del lancio delle bombe a mano, mentre i promotori della manifestazione, vale a dire i dirigenti e parlamentari missini, primo tra tutti il segretario milanese del MSI Franco Maria Servello, furono processati quasi cinque anni più tardi. Certamente a questo ritardo contribuirono le lungaggini dell’autorizzazione parlamentare a processare Servello, ma la separazione dei processi fu soprattutto un espediente per separare il destino dei giovani squadristi da quello dei dirigenti del MSI, che furono tutti assolti in uno sbrigativo procedimento finitosi in tre giorni. Una situazione che fece infuriare Vittorio Loi, principale imputato nel primo processo, che ebbe a dichiarare di essere stato “scaricato” dai dirigenti missini.

Infine, si consideri che tra le numerose e già evocate azioni squadriste di quegli anni nella città di Milano, una tra le più gravi fu il sequestro e la violenza sullattrice militante Franca Rame che, secondo la testimonianza dello squadrista di estrema destra Biagio Pitarresi, resa nel 1995, fu eseguito da fascisti ma ideato da ufficiali della divisione Pastrengo dei carabinieri.

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