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Numero Undici. Storie che testimoniano la follia

“In un’altra parte del pianeta ci sono solo ombra e buio”. Questa frase venne pronunciata da Tony Blair il 17 luglio 2003, davanti al Congresso statunitense, riferendosi alla situazione politica medio-orientale in contrapposizione alle democrazie occidentali.

Il giorno successivo il cadavere di David Kelly, ex ispettore Onu in Iraq, venne ritrovato in una foresta inglese. Per le autorità fu un suicidio, per molti altri, la vicenda resta oscura.

Jonathan Coe, nel suo ultimo romanzo, “Numero undici”, prende le mosse proprio da questo fatto di cronaca: Kelly fu il primo a denunciare l’assoluta mancanza di prove sulle presunte armi di distruzione di massa  possedute da Saddam Hussein.

L’attualità politica e culturale gioca un ruolo fondamentale ed entra in contatto con i personaggi e le storie del romanzo, spesso in modo paradossale. La scrittura è corrosiva, “acida”, di un cinismo estremo, nello sbattere in faccia al lettore,  la realtà inaccettabile che però viene digerita ogni giorno. Così la morte dei lavoratori cinesi a Morecambe Bay, mentre raccolgono molluschi lavorando in nero, nasconde l’indifferenza del senso comune, per cui in fondo “quelli” se la sono cercata e se fossero rimasti a casa loro, non sarebbero morti; oppure in fondo l’importante è lavorare, da Schiavi ma lavorare.

Il romanzo è percorso da atmosfere sinistre, a metà tra storia del terrore e fantasia allucinatoria. Non si capisce fino in fondo quale parte dell’intreccio sia effettivamente invenzione romanzesca e quale sia realtà. Forse non c’è alcuna differenza. Il cortocircuito è dato proprio dal ribaltamento dell’accettabile, del consueto, in una sorta di visione speculare che rende ciò che credevamo impossibile, reale. Questo scambio dei piani è segnalato dal numero 11: percorre il romanzo come una spia luminosa, di strappo, a indicarci un’anomalia o qualche mostruosità. Al numero 11 di Downing Street vive il Ministro inglese delle finanze, l’artefice della  precaria situazione economica della Gran Bretagna; tutti i ministri, negli anni, hanno continuato sulla strada dei tagli al welfare inaugurati dalle Thatcher negli anni ’80.

Il bus numero 11 gira ossessivamente e circolarmente intorno alla città; come questo romanzo di Coe che chiude idelamente un ciclo artistico (è il suo undicesimo romanzo) ma anche politico. Ritornano infatti i personaggi di un romanzo precedente “La famiglia Winshaw”: ritornano da protagonisti di una stagione politica che ha accolto la loro eredità. Rappresentano il peggio del passato e di cosa siamo diventati seguendo la via del neo-liberismo.

E mentre la gente fa la fila a testa bassa per ritirare il cibo dal Banco alimentare, i nuovi ricchi sono diventati ricchissimi; costruiscono gigantesche ville dalle sembianze mostruose: si espandono ormai anche verso il sottosuolo avendo rubato ogni centimetro d’aria al cielo. Undici piani sotterranei di piscine, campi da tennis e giganteschi televisori che trasmettono reality e altro ciarpame camuffato dal luccichio delle luci.

Ma Jonathan Coe non si accontenta di mostrare il brutto. Non è possibile per nessuno pensarsi superiore alle storture attuali; è sempre più difficile attraversare la follia e riconoscerla. Perché la follia è nascosta ovunque ma sa camuffarsi benissimo. Perché non basta sbeffeggiare la società occidentale contemporanea accontentandosi delle battute satiriche di qualche comico televisivo: il potere ha inglobato nei suoi ingranaggi qualsiasi forma di critica.

Eppure alla fine del romanzo, qualcuno decide di trasformarsi in Rabbia e agire: lo fa rischiando di passare per un essere mostruoso, come quello che vive all’undicesimo piano interrato di una delle ville. Un mostro che si prepara a invadere la città, a divorare tutto quello che siamo diventati. Non ci sarà spazio per la clemenza verso i complici, verso gli ignavi silenziosi.

Il romanzo ci punta un dito contro e ci accusa, perché “Alla fine, siamo tutti liberi di scegliere”, scegliere di tollerare la rapacità e la follia capitalista o scegliere di essere il mostro vendicatore.

Il lettore è avvisato; l’inferno o il paradiso stanno oltre il romanzo, in un futuro tremendamente vicino o fantasticamente irraggiungibile. Tutto dipende da ciò che decideremo di volere.

Pina Zechini

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