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“Falce e pugnale”. La Questione Sarda e il socialismo di liberazione nazionale

Ad una iniziativa a Napoli, presso il Laboratorio ZERO ’81, nell’ambito di un ciclo di incontri sul Meridione d’Italia ho acquistato un libro di Cristiano Sabino e Omar Onnis “Falce e Pugnale – Per un socialismo di liberazione nazionale”.

Un testo – edito dalla casa editice “Catartica edizioni” – una piccola intrapresa meridionale attenta alla produzione che proviene dalle espressioni artistiche e letterarie delle periferie urbane e dalle variegate realtà sociali dei nostri territori.

Leggendo il libro e discutendo con Cristiano, presente a Napoli al seminario, si apprezza l’operazione di corretta ricostruzione storiografica della vicenda culturale e politica dell’Indipendentismo Sardo e del complesso delle discussioni che – a vario titolo – alludono ad una prospettiva di “liberazione nazionale nell’ambito di una trasformazione socialista della società”.

Una lettura, necessaria, che contribuisce a fare luce attorno ad un capitolo importante della storia politica e sociale della Sardegna su cui la comunicazione deviante mainstream ma, anche, la “storiografia della sinistra” hanno operato cesure, censure e vere e proprie falsificazioni sedimentando – nel corso del tempo – opacizzazione e distorsione delle ragioni sociali di una lotta secolare che vale la pena di essere conosciuta e, a mio parere, valorizzata politicamente anche per le battaglie dell’oggi.

Troppo spesso accade che – per molti quadranti geo/politici – le istanze di “liberazione nazionale” vengono, sbrigativamente, derubricate a mera “questione di rivendicazione territoriale” che la cosiddetta globalizzazione capitalistica si incaricherebbe di risolvere o di ricondurre ad inoffensivo “fenomeno endemico” compatibile con le moderne modalità di governance.

Invece è la stessa dinamica immanente del modo di produzione capitalistico (nella sua forma “diseguale e combinata”) che, continuamente, crea e ricrea squilibri, polarizzazioni divaricanti e faglie di rottura, storiche ed immediate, le quali andrebbero meglio scandagliate analiticamente per cogliere, in maniera dialettica e storicizzando le varie periodizzazioni temporali, il portato progressista e le eventuali spinte di emancipazione e liberazione dai vecchi rapporti sociali.

Un metodo di analisi creativo e duttile ma, profondamente incardinato, alla lezione leniniana dell’analisi concreta della situazione concreta!

Troppo spesso è accaduto – su tale punto il testo di Onnis e Sabino è ricco di una puntuale documentazione, almeno per la “questione Sarda” – che la “sinistra” o anche le formazioni comuniste agenti (in particolare il PCI post seconda guerra mondiale) si sono contrapposte a questi fenomeni sociali o hanno tentato (con una maldestra operazione dogmatica e scolastica) di incapsulare ogni peculiarietà in una cornice analitica generica ed astratta incapace di ulteriormente arricchirsi dal contributo teorico, culturale e politico che può arrivare, alla generale battaglia per il Socialismo, da queste “lotte/rivendicazioni nazionali”.

Certo – tenendo bene a mente che una adeguata politica comunista non si svolge nel chiuso di asettici laboratori ma dovrebbe alimentarsi e dipanarsi dentro la materialità dei variegati processi materiali e sociali – occorre “maneggiare con cura” la categoria della “liberazione nazionale” per sottrarla da interpretazioni reazionarie, micronazionaliste o apertamente antisociali.

Una avvertenza, questa, da prendere accuratamente nota in una fase politica contraddittoria come quella in cui siamo immersi dove prevalgono ideologie e politiche che tendono al dissolvimento ed alla dispersione della natura sociale di questa fenomenologia per accreditarla come fattore interclassista (magari anche attraverso un possibile scontro tra articolazioni del potere).

Per smentire tale volgarizzazione il libro “Falce e Pugnale” allega tre importanti documenti storici caduti nel dimenticatoio i quali andrebbero ripresi e riconfigurati alla nuova fase strategica del capitale, alle attuali e più sofisticate forme di dominio e comando ma, soprattutto, all’accentuarsi del neo/colonialismo, in primis, verso i popoli ed i paesi del Sud del mondo ma anche all’interno delle stesse “cittadelle imperialistiche” nei confronti di determinate aree geografiche.

I documenti sono: la Carta di Brest (1974) che sintetizzava il punto di vista di diverse organizzazioni indipendentiste tra cui anche il Moimentu de su Popolu Sardu; la Carta di Algeri (1976) che è la risultante di una assise di studiosi e militanti internazionalisti (tra cui Lelio Basso) in occasione dei duecento anni della Rivoluzione Americana; le Tesi di A Manca pro s’Indipendentzia (2013) che rappresantano l’ultima elaborazione di questa organizzazione prima dello scioglimento avvenuto nel maggio 2015.

Rifuggendo da qualsiasi tentazione di voler ascrivere la ricchezza del testo all’interno di in una breve recensione mi preme, però, sottolineare che, a mio avviso, nelle riflessioni di Sabino ed Onnis c’è una assenza (politica) che avrebbe meritato una adeguata trattazione.

Mi riferisco all’azione (centrifuga e centripeda) che la gabbia dell’Unione Europea alimenta,  contesto per contesto, quando affronta queste dinamiche le quali – di fatto – non impattano più, esclusivamente, con la forma/stato nazionale ma si scontrano con i dispositivi normativi, economici e politici che la borghesia continentale delinea nel processo di costruzione del polo imperialista europeo.

Da questo punto le vicende della lotta indipendentista in Catalogna sono state paradigmatiche di come i poteri forti dell’Unione Europea hanno dato sostegno esplicito alla monarchia (ed allo stato unitario di Spagna) ed alla pesante criminalizzazione dell’intero movimento comprese le sue “espressioni istituzionali” democraticamente elette.

Tale dato – questo ulteriore involucro politico della maturità imperialistica – deve iniziare ad essere percepito e metabolizzato, fino in fondo, dai movimenti di lotta, dal mondo culturale e da quei settori sociali che si battono per l’affermazione dell’autonomia e contro i tentacoli di una asfissiante statualità antipopolare.

L’opposizione all’imperialismo europeo, quindi, è – sempre più – materia sociale per riconnettere, nuovamente, ogni istanza di liberazione nazionale ad una prospettiva Socialista.

E’ questa la porta stretta, la vera e propria cruna dell’ago, attraverso cui far passare idee, istanze e protagonismo: in Sardegna come nel Meridione d’Italia, in Catalogna come nei Paesi Baschi….in ogni luogo dove le “questioni nazionali” stridono con i rapporti sociali capitalistici.

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