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Egitto, un Parlamento Islamico per un governo aperto ai laici

E’ la rinnovata Assemblea del popolo (la Camera bassa) riunitasi dopo le elezioni e costituita per due terzi da deputati islamici. 235 (127 eletti nella lista, 108 come indipendenti) nel Partito della Libertà e Giustizia trionfatore alle urne con oltre il 47% . 121 nel Partito salafita Al-Nour, vera sorpresa delle consultazioni con oltre il 24% dei consensi, più una quarantina fra gli islamici moderati del Wasat. 399 seggi su 498 mettono all’angolo la componente laica che può contare sui 36 seggi del Wafd e i 33 del Blocco Egiziano. Una manciata di scranni (11) vanno ai nostalgici di Mubarak i cui tentativi d’infiltrazione in altre liste hanno pagato meno di quanto loro stessi avevano previsto. Dopo 84 anni, di cui molti costellati di persecuzioni, galera, torture e condanne a morte per lotte anche violente, i Fratelli Musulmani si ritroveranno a guidare una futura maggioranza. Con quali forze politiche è il nodo da sciogliere. Intanto un loro uomo, Saad Al Katatni, s’è insediato come speaker dell’Assemblea che avrà come primo impegno la scelta dei cento membri che disegneranno i contenuti della nuova Costituzione. Una parte dei membri arriverà dalla Camera Alta per la quale nei prossimi giorni inizieranno le restanti consultazioni. Per la carica di presidente le candidature dovranno pervenire entro metà aprile. L’elezione è fissata per giugno.

Da giorni le due maggiori questioni dibattute per strada, sui media e dagli analisti riguardano la partnership della Fratellanza e il disimpegno politico dello Scaf. Il maggior partito islamico, moderato esso stesso, deve trovare un’alleanza di governo con cui affrontare non pochi problemi d’ordine innanzitutto economico. L’unica certezza è che sarà una componente conservatrice, tali risultano sia i liberali di destra sia gli uomini di Sawiris, e sul fronte opposto i salafiti. Solo che quest’ultimi suscitano timori per quello che potrebbero sostenere in ambito religioso attraverso l’applicazione di taluni princìpi di Shari’a. Nonostante i leader di Al-Nour si prodighino a smentire queste voci forse i Fratelli politicamente guarderanno altrove. Il fronte interno contrario ai salafiti è composito e raccoglie laicisti reazionari e pro Esercito, laicisti tout-court, progressisti e i giovani ribelli di Tahrir che finora sono stati  numerosi in piazza e assenti alle urne ritrovandosi ora ai margini dalla scena politica. Una scelta ponderata e non inattesa. Anche di recente diversi attivisti hanno ribadito la non volontà di entrare in qualsivoglia partito, però la politica del futuro potrebbe chiudere loro ulteriormente gli spazi. Specie se la via governativa del Freedom and Justice Party, unendosi a uno o a entrambi i raggruppamenti laici, tenderà a evitare spaccature con le Forze Armate. A costoro il nuovo ceto politico chiede di fare un passo indietro nella rappresentanza della nazione, azione peraltro promessa dagli stessi militari. E chiede che sia il Parlamento a stabilire il budget per il settore, questione che alla casta di Tantawi piace poco.

La contropartita offerta è quella di non minare il prestigio dell’istituzione militare, simbolo e difesa anche per l’Egitto del futuro, islamico e laico al tempo stesso. La pianificazione non è ancora stilata ma vaga nell’aria come una delle opzioni più logiche e praticabili. Perché le cento e più caserme del Cairo non si svuoteranno né nei prossimi mesi né nei prossimi anni e la via del mutuo soccorso può diventare la soluzione più praticabile e utile per tutti. Naturalmente i graduati dovranno cedere su alcuni punti, sulla destinazione delle quote per i loro Corpi abbiamo detto mentre per diluire l’odioso ricordo della durissima repressione antipopolare dovranno accettare allontanamenti e pensionamenti, e risarcire economicamente le famiglie dei martiri di Tahrir. Sul tema il movimento giovanile darà battaglia perché vorrebbe pene esemplari e non s’accontenta della libertà restituita in queste ore a 1.300 dei suoi attivisti. I contrasti potranno tornare duri, ma è il terreno economico ciò che può maggiormente preoccupare il prossimo governo egiziano. Il caso dell’altro Islam politico dirompente – l’Ennahda tunisino – è emblematico e allarmante. Il partito di Gannouchi, stravincitore delle elezioni d’ottobre, s’è trovato a gestire un’emergenza finanziaria terribile. Alla strabordante disoccupazione, per nulla lenita dalla fuga dei migranti rintuzzata dal ghigno securitario italiano ed europeo, i cambiamenti non hanno giovato al Paese. I centri turistici restano deserti, gli investitori si tengono alla larga da quel tipo di governo che si ritrova schiacciato dal malcontento più pericoloso: quello della fame. Egualmente il popoloso Egitto deve fare i conti con una palese flessione delle sue chances affaristiche legate anch’esse al turismo. E accanto a investimenti esteri sempre frenati dall’incertezza politica i rilanci d’aiuto internazionale, soprattutto d’Oltreoceano, porranno non poche richieste agli uomini della svolta coranica appena insediati in Parlamento.

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