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Il nuovo novembre russo

Una volta , il 7 novembre, si celebrava in Unione Sovietica l’anniversario della Rivoluzione Socialista; era forse, accanto al Capodanno, la festa più importante del paese. Quei balordi di comunisti si ostinano tuttora a celebrarla, anche in Russia, come possono, nonostante il 7 novembre sia stato sostituito, forse per uno scrupolo “temporale”, per allontanarsi per gradi dalla tradizione, con la data del 4 novembre, istituita nel 2005. Dunque in Russia il 7 novembre è giorno lavorativo e si sta invece a casa tre giorni prima, a celebrazione della giornata dell’Unità nazionale e a ricordare la liberazione della Russia dagli invasori polacchi e lituani, nel 1612.
Ma ora c’è chi si ostina ancor più dei comunisti, a voler ricordare il 7 novembre: per carità, non come anniversario della Rivoluzione socialista, bensì quale Giornata in ricordo della dinastia dei Romanov, la casa regnante zarista che dominò la Russia per trecento anni e che, nel marzo 1917, cessò le proprie funzioni in seguito alla sollevazione delle masse operaie e contadine che portò all’instaurazione del governo borghese provvisorio, deposto a sua volta a novembre dalla rivoluzione socialista guidata dai bolscevichi.
La proposta viene dal deputato del Consiglio della regione di Leningrado (la città ha ripreso da molti anni il vecchio nome zarista, ma la regione ha conservato quello rivoluzionario: anche qui, si procede per gradi) Vladimir Petrov, secondo il quale la nuova festività può aiutare a superare tutta una serie di contrapposizioni politiche e storiche – la metafisica trionfa a partire dai nomi delle cose.
 A parere di Petrov, gli avvenimenti dell’ottobre 1917 non sono positivi per lo sviluppo storico della Russia e, tantomeno, legittima sarebbe la fucilazione della famiglia reale nel 1918. “Nella società si discute del possibile ritorno nel paese degli eredi della famiglia Romanov e dell’attribuzione a loro di uno status speciale”, dice Petrov.
In effetti, alcune “prove generali” di tale ritorno si sono svolte nell’agosto scorso, con le visite in Crimea di discendenti del ramo cadetto dei Romanov e da tempo si parla, nemmeno tanto sottovoce, di una rinascita della famiglia imperiale Romanov, in occasione del centenario della fucilazione, tra due anni. Inoltre, dice sempre Petrov, “gli storici discutono sulla legittimità della abdicazione di Nicola II”. Vuoi vedere che il potere sovietico si è retto per 70 anni su un malinteso giuridico!
Ma Petrov non è solo nella sua campagna dinastica. I simpatizzanti monarchici della regione di Kaliningrad – l’ex prussiana Königsberg, l’enclave russa in territorio polacco – hanno proclamato che essi non permetteranno mai la “restaurazione” dell’Urss: piuttosto, faranno come i leghisti nostrani, proclameranno la secessione. L’organizzazione “Avanguardia baltica della resistenza russa” ha inaugurato a Jaroslavskoe, nei dintorni di Kaliningrad, un memoriale a ricordo della “fratellanza d’armi russo-tedesca nella lotta contro il bolscevismo”: sulla stele di pietra l’iscrizione “S nami Bog”, la traduzione russa del tedesco “Got mit Uns”- dio è con noi. Il video pubblicato a testimonianza dell’avvenimento recita “Russi e tedeschi, già al tempo della guerra civile, avanzarono spalla a spalla contro i nemici della civiltà, contro i persecutori della fede cristiana e tale unione fu cementata nel sangue. Quel nemico mortale era il bolscevismo”. La “Avanguardia baltica della resistenza russa” è stata fondata nel 2008 a ricordo dell’alleanza tra generali bianchi e truppe tedesche che, nel nord della appena nata Repubblica socialista russa, combatterono tra il 1918 e il 1920 per la restaurazione del potere dei latifondisti e del grande capitale.
Non è dato sapere quali misure siano state adottate, a parte l’oscuramento del video, per mettere al loro posto gli eredi dello spirito zarista. Per ora, ci si deve accontentare di festeggiare e ricordare il 4 novembre del 1612, anno della salita al trono della dinastia Romanov.

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