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Brasile. Senato vota impeachment, Rousseff sospesa dal potere

Impeachment sia. Il voto della maggioranza del Senato – 55 si contro soli 22 no – che sospende dalle sue funzioni per un massimo di 180 giorni la presidente della repubblica del Brasile, Dilma Rousseff, è arrivato a tarda notte dopo una seduta fiume durata parecchie ore e costellata dagli aspri scontri tra i senatori delle sinistre e quelli dei partiti di centro e di destra che tentano di cavalcare la lotta alla corruzione pur essendo essi stessi l’epicentro di un fenomeno sempre più grave ed esteso.

Ora partirà il processo istituzionale intentato contro il capo dello stato eletto, accusata di aver truccato i bilanci statali del 2014 per nascondere la gravità della crisi economica che stava già investendo il paese e che nel frattempo è anche peggiorata.

Nelle prossime ore i poteri di presidente verranno trasferiti all’attuale vicepresidente, Michel Temer, esponente di una forza politica di centro-destra a lungo facente parte della maggioranza di governo e nelle ultime settimane passata all’opposizione per contribuire alla spallata delle oligarchie tradizionali brasiliane e di alcuni poteri forti internazionali – soprattutto statunitensi – contro il Partito dei Lavoratori. Paradossale che chi prende il posto di Dilma Rousseff sia imputato e condannato in numerose inchieste per corruzione, oltre al fatto che la magistratura non abbia aperto alcuna inchiesta ufficiale nei confronti della leader del paese contro la quale è in atto un processo di tipo politico e mediatico.

Lo stesse Temer, condannato per corruzione nell’ambito di un’inchiesta sulla gestione del porto marittimo della città di Santos, oltre che per irregolarità nel finanziamento della sua campagna elettorale, solo un anno fa affermava che “l’impeachment della presidente è impensabile e genererebbe una crisi istituzionale. Non ha nessuna base né politica né giuridica”. Evidentemente nel frattempo colui che aspira a prendere il posto di Dilma Rousseff ha cambiato opinione, insieme a pezzi dell’ex maggioranza di governo. Recentemente Temer ha dovuto incassare la sospensione, da parte del Tribunale Supremo, del suo principale alleato – ma anche competitore – Eduardo Cunha dalla carica di Presidente della Camera dei deputati, anche in questo caso per accuse gravi di corruzione.

Tra 180 giorni – o prima, se il “processo” durerà meno – il Senato sarà chiamato a votare di nuovo la destituzione della leader del PT. Servirà però una maggioranza di almeno i due terzi dei senatori per escluderla definitivamente dal potere.

Nel frattempo il nuovo capo dello stato ad interim costituirà un suo governo, e c’è da giurare che il segno delle politiche del nuovo esecutivo di centro-destra sarà molto diverso da quelli degli ultimi anni che pure ai piani di assistenza di milioni di poveri non hanno mai saputo e voluto accostare i grandi piani di riforma del paese in senso egualitario che pure erano stati promessi sia da Lula da Silva che dalla Rousseff.

La decisione di un Parlamento considerato privo di ogni legittimità a causa della corruzione dilagante – sono almeno 150 i parlamentari inquisiti per reati legati alla mala gestione della cosa pubblica – e sottoposto in larga parte agli interessi delle grandi cordate economiche di un’oligarchia che spera di tornare così potere, ha scatenato in tutto il paese la reazione delle organizzazioni di sinistra e popolari. E non sono mancati gli scontri.
A Brasilia i manifestanti che protestavano contro il ‘golpe’ davanti alla sede del Congresso sono stati violentemente caricati dalla polizia in assetto antisommossa che contro gli attivisti dei partiti e dei sindacati di sinistra ha usato i gas urticanti.

Il Fronte Brasile Popolare – che riunisce partiti, organizzazioni e sindacati di sinistra – ha organizzato per oggi una manifestazione di appoggio alla presidente sospesa davanti al Palacio de Planalto – il Palazzo Presidenziale – nella capitale federale Brasilia. Oggi altre organizzazioni riunite nel Fronte Popolo Senza Paura hanno promosso una mobilitazione contro il presidente definito golpista, Michel Temer, a San Paolo. La manifestazione, indetto con lo slogan “Temer mai! Resistere nelle strade per diritto”, prenderà il via alle 17 nell’Avenida Paulista. Guilherme Boulos, del coordinamento nazionale del Movimento dei Lavoratori Senza Tetto (MTST) e leader del Fronte ha annunciato una mobilitazione permanente. Le organizzazioni giovanili del Fronte Brasile Popolare hanno già lanciato diverse manifestazioni davanti alle sedi del PMDB – il Partito del Movimento Democratico del Brasile – in tutto il paese all’insegna dello slogan “Cunha in carcere, fuori Temer”. Le mobilitazioni sono basate su due assi centrali, spiegano i leader delle organizzazioni popolari: “denunciare il golpe istituzionale, che entra in una nuova fase, ed esigere le dimissioni di Temer che è stato eletto per essere un vice non per guidare il paese. Poi chiedere la prigione per Eduardo Cunha, la cui corruzione è provata”.
Manifestazioni contro la defenestrazione di Dilma Rousseff si stanno intanto tenendo anche nella vicina Argentina.

Sulla situazione economica e sociale del Brasile vale la pena di riprodurre quanto scritto questa mattina sul Sole 24 Ore da Roberto Da Rin:

I numeri della recessione

La crescita vigorosa degli ultimi 10 anni è un ricordo vivido nella mente dei brasiliani, schematizzata dai report delle agenzie di rating che ne avevano rimarcato il trend positivo. Oggi invertito in modo brusco: il Pil ha patito una contrazione del 3,8%, nel 2015. È il dato peggiore degli ultimi 25 anni. Nel 1990 scivolò del 4,3 per cento. Le flessioni più marcate sono state registrate nei settori industriale (-6,4% dell’output) e minerario (-6,6%). Alle prese con un’inflazione al 10,7%. L’economia brasiliana ha subìto le conseguenze del calo dei prezzi delle materie prime di cui il Paese è forte esportatore e il rallentamento della domanda cinese, così come l’instabilità valutaria e la fuga di capitali. I dati dell’economia reale sono quindi sconfortanti e la politica monetaria non è la leva utilizzata per dare slancio alla ripresa: il tasso di interesse di riferimento (denominato Selic) è al 14,25% , e il presidente della Banca centrale, Alexandre Tombini, continua a ribadire la linea di politica monetaria restrittiva, anche per non dare ossigeno all’inflazione, che negli ultimi tempi si è attestata al 10,7 per cento.

Il ciclone delle tangenti

Nel 1953 il presidente Getulio Vargas, contestualmente alla creazione di Petrobras (il colosso energetico del Paese) coniò una forma espressiva evocativa, nosso petroleo, il nostro petrolio. Che rimandava a una ricchezza di tutti i brasiliani, fondamentale nello sviluppo del Paese. Sessantadue anni dopo, nel 2015, Petrobras si è trasformato nell’epicentro di una crisi giudiziaria e persino morale. Collettore di tangenti, ricevute ed estorte alle grandi imprese industriali del Brasile e poi redistribuite ai partiti politici. Uno scandalo che ha investito l’intera classe politica del Paese e che ha disgregato una società di 200 milioni di persone.

La crisi sociale

Il consenso superiore all’80% – raggiunto da Lula alla fine del suo secondo mandato – non è stato solamente un record assoluto mai eguagliato da nessun Paese democratico. È stato soprattutto la rappresentazione più efficace di una coesione sociale scaturita dal combinato disposto di due fattori: l’ingresso trionfale di 35 milioni di poveri nella classe media e la stabilità delle variabili macrofinanziarie. La depressione congiunturale e lo tsunami giudiziario hanno disgregato quel prezioso patrimonio di governabilità. E acceso una conflittualità sociale mai registrata negli ultimi 60 anni.

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