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Gli oligarchi russi per Donald e Hillary

Secondo un'indagine pubblicata da life.ru alla vigilia delle presidenziali USA, il business russo si divideva tra chi avrebbe avuto da guadagnare dalla vittoria di Hillary Clinton, chi da quella di Donald Trump e chi si sarebbe avvantaggiato in ogni caso. “I nostri businessmen hanno lusingato Hillary Clinton soprattutto coi dollari” scrive l'autore del servizio, Eldar Akhmadiev, mentre “tra i tifosi di Trump si è seguita piuttosto la via del calcolo strategico, che non della sponsorizzazione”. L'indagine non è certo esaustiva dell'intero arco del business e dell'oligarchia finanziario-industriale russa, ma offre comunque uno spaccato quantomeno curioso.

Dunque, il boss del gruppo “Renova”, Viktor Vekselberg (7° uomo più ricco di Russia nella classifica di Forbes 2016, con un patrimonio di 10,5 miliardi $) avrebbe sponsorizzato il fondo Clinton con una somma da 50 a 100mila $. Nel consiglio direttivo del “Renova Group” – energie alternative, metallurgia, trasporti, agroalimentare, con quote finanziarie in settori e paesi diversi – siede John Deutch, ex-vice Segretario di stato alla difesa USA dal 1994 al 1995 e direttore della CIA dal 1995 al 1996, per l'appunto con il primo mandato di Bill Clinton e caduto poi in “disgrazia” per una fuga di mail (sembra sia un vizio para-clintoniano) sull'Iraq. In USA il gruppo “Renova” detiene il fondo di investimenti “Columbus Nova”, che controlla attività per oltre 2 miliardi $. Vekselberg ha versato al Clinton Foundation altri 25mila $ attraverso il fondo “Skolkovo”, di cui è presidente.

Sergej Plastinin, ex co-proprietario del gruppo “Vimm-bill-dann” e attuale vice direttore generale della holding energetica “Vostok”, facente capo al gruppo “Rusidro”, avrebbe versato al fondo Clinton dai 50 ai 100mila $. Da “Rusidro” smentiscono e attribuiscono la cosa a un'iniziativa personale di Plastinin, non legata alle attività del gruppo. Lo stesso Plastinin ha “chiarito” a life.ru che si è trattato di un atto di beneficenza del 2010 (prima del suo arrivo a “Rusidro”), nel corso di una serata “organizzata dalla Clinton Foundation a favore dei bambini africani”… tipo, i bimbi libici fatti bombardare dalla ex Segretario di stato Hillary Clinton.

Andrej Vavilov, presidente del Consiglio di Amministrazione del gruppo “Superoks” (nuove tecnologie energetiche) ha versato al fondo Clinton tra i 10 e i 25mila $: anche lui, naturalmente, per beneficenza.

In generale, secondo il suo bilancio 2014, la Fondazione Clinton ha ricevuto in quell'anno circa 338 milioni $, tra sovvenzioni, donazioni e altre entrate, con impegni in programmi di beneficenza in tutto il mondo; nel 2015 avrebbe sostenuto 105mila agricoltori in Africa orientale, fornendo fertilizzanti e sementi e sarebbe stata impegnata nella lotta contro l'analfabetismo a Haiti. Alleluja.

Più “misterioso” il caso di Dmitrij Pumpjanskij, che controlla il 65% di TMK (metallurgia e tubazioni) e di cui non si hanno notizie di donazioni, ma che, in caso di vittoria della candidata democratica, avrebbe potuto contare sul sicuro appoggio del consigliere di Hillary, Thomas Pickering, non foss'altro che con misure protezionistiche a difesa del mercato USA dall'acciaio cinese. Tra il 2009 e il 2012, Pickering, nel Consiglio di direzione di TMK, avrebbe intascato qualcosa come 500mila $, agevolando il gruppo, scrive life.ru, a "risolvere i problemi per le forniture all'Iran, all'epoca sotto le sanzioni americane".

Per quanto riguarda la vittoria di Trump, scriveva l'8 novembre life.ru, questa potrebbe rivelarsi vantaggiosa per il business russo, anche perché “gli interessi dei nostri magnati e di quelli d'oltreoceano convergono su molte questioni: soprattutto, su quella più importante per l'economia russa, l'energia”.

E così, nel caso di Roman Abramovič (13° secondo Forbes: 7,6 miliardi $), i benefici potrebbero arrivare dal promesso sostegno di Trump ai progetti infrastrutturali in USA, tra cui la realizzazione di gas-oleodotti. Un anno fa infatti, Obama aveva accantonato il progetto di condotto “Keystone XL”, tra la città canadese Hardisty e Steele City, in Nebraska (oltre duemila km), sottraendo così un boccone da 200 milioni $ alla “Evraz North America”, filiale statunitense di “Evraz”, di cui Abramovič detiene il 31%.

Il tifo per Trump, scrive life.ru, avrebbe dovuto unire magnati del gas e del petrolio russi, date le sue promesse di togliere l'embargo a una serie di progetti petroliferi e annullare le sanzioni contro le compagnie russe gas-petrolifere. A oggi, nonostante le sanzioni, opera in USA "Rosneft" (guidata da Igor Sečin; maggiore azionista è il governo) che, con la società figlia “Neftegaz Holding America Ltd”, detiene il 30% delle azioni in diversi progetti congiunti con ExxonMobil nel Golfo del Messico e la licenza sui giacimenti di La Escalera in Texas. Le sanzioni contro la russa “Rosneft” hanno toccato anche gli affari sia della Exxon, sia del colosso General Electric, che non ha potuto sinora dare avvio al progetto, sottoscritto con “Rusneft”, di costruzione di un impianto di apparecchiature marittime nell'estremo oriente russo. La vittoria di Trump, quindi, viene a proposito.

Un altro “beneficiato” dalla vittoria di Trump è il 2° uomo più ricco di Russia, Mikhail Fridman, che vanta un patrimonio di 13,3 miliardi $ (“Alfa-Group”: Alfa-bank, X5 Retail Group, A1, Rosvodokanal, oltre alle imprese gas-petrolifere Dea e L1Energy; LetterOne Holdings e Turkcell). A differenza del “Rosneft”, scrive life.ru, Fridman non detiene ancora imprese in USA, ma il presidente della sua “L1 Energy”, John Brown, ha espresso la volontà di acquisire giacimenti energetici statunitensi, se il governo USA adotterà una favorevole politica fiscale, come promesso da The Donald.

Per la verità, nel settore energetico russo ci sono giganti cui nemmeno l'elezione della Clinton avrebbe fatto paura: il principale di essi è l'altro colosso pubblico, “Gazprom”. Nel programma elettorale di Hillary c'era la limitazione dell'estrazione dallo scisto in USA e, conseguentemente, una riconsiderazione dei piani di aumento delle esportazioni verso i paesi europei. Ora, "Gazprom" occupa circa il 30% nel mercato europeo del gas e una espansione americana non le gioverebbe; inoltre, una diminuzione delle importazioni di gas statunitense renderebbe gli europei più malleabili per il prezzo del gas. D'altronde, l'elezione di Trump pare assicurare l'eliminazione di diverse sanzioni settoriali alle forniture di apparecchiature e al credito.

Un altro che, secondo life.ru, sarebbe uscito avvantaggiato in ogni caso, è Vladimir Lisin (8° per Forbes, con 9,3 miliardi $) che, attraverso la offshore Fletcher Group Holdings Limited, controlla l'85% di uno dei maggiori produttori russi di acciaio, il “NLMK”. A lui sembrerebbe convenire la vittoria di Trump, che si è espresso per misure protezionistiche contro il dumping dell'acciaio russo e cinese, fin quasi a chiedere la completa chiusura del mercato americano. Dato che la “NLMK USA” è una delle 5 maggiori industrie metallurgiche degli States (0,7 milioni di tonnellate di acciaio e 2 milioni di prodotti metallurgici), la misura andrebbe a suo favore. Ma anche in caso di vittoria della Clinton, la probabile attuazione del promesso sostegno all'industria metallurgica non lo avrebbe certo danneggiato.

Sul versante di ex emigrati sovietici, da tempo divenuti cittadini USA e facenti parte della speciale classifica di Forbes dei 15 immigrati più ricchi d'America, l'ex ucraino Leonid Blavatnik, (tramite SUAL Partners, Blavatnik e Vekselberg controllano il 15,8% di RUSAL, uno dei maggiori, se non il maggior produttore mondiale di alluminio) che, secondo life.ru, attraverso l'impresa statunitense Access Industries Inc avrebbe sostenuto la campagna elettorale di Trump addirittura con 4,3 milioni $. Il beneficio atteso dall'elezione di Trump è l'alleggerimento del peso impositivo al grosso business americano.

Dunque, come direbbero, per l'appunto, in un film yankee, Donald o Hillary non fa differenza: “niente di personale; è solo business”.

 

Fabrizio Poggi

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