All’insegna dello slogan “Rompiamo il regime: autodeterminazione dei Paesi Catalani”, ieri pomeriggio parecchie migliaia di persone (il doppio rispetto allo scorso anno) hanno partecipato alla manifestazione indetta dalla sinistra indipendentista e anticapitalista radicale nel giorno della Diada, la festa nazionale catalana che ricorda la sconfitta contro i Borboni delle truppe di Barcellona (era il 1714).
Il corteo è stato convocato dalle realtà maggiormente schierate in senso anticapitalista all’interno della Cup e da alcune forze sociali e sindacali: da Alerta Solidària ai giovani di Arran e del Sindicat d’Estudiants dels Països Catalans (SEPC), da Endavant alla Coordinadora Obrera Sindical (COS). Presenti varie delegazioni di realtà solidali della sinistra anticapitalista e antimperialista provenienti dallo Stato Spagnolo e non solo, tra le quali quelle di Noi Restiamo e della Rete dei Comunisti.
Durante la marcia, un gruppo di manifestanti ha bruciato una bandiera spagnola, una francese e un vessillo dell’Unione Europea e alla fine del corteo è stata strappata anche un’immagine del re Filippo VI. Il corteo antagonista ha voluto così differenziarsi dallo spirito europeista che anima una parte consistente dello schieramento indipendentista affermando che una eventuale indipendenza non potrà essere piena senza una discontinuità nei confronti dei diktat e dei meccanismi coercitivi dell’Unione Europea.
Nel corso del comizio finale, la deputata della Cup Anna Gabriel, rivendicando la linea della formazione della sinistra radicale indipendentista, ha ricordato che non vi potrà essere frattura con lo Stato Spagnolo senza disobbedienza, cioè senza una rottura con la legalità e le istituzioni di Madrid. La dirigente della Cup ha anche chiesto alla sindaca di Barcellona, Ada Colau, di schierarsi veramente a favore del diritto di autodecisione dei catalani mettendo a disposizione la macchina comunale e aprendo i seggi ai cittadini e alle cittadine per il referendum del 1 ottobre.
La marcia è iniziata pochi minuti dopo la fine della storica mobilitazione della cosiddetta ‘Diada del Sì’, che ha visto un milione di persone (dati della Guardia Urbana di Barcellona, alle dipendenze dell’amministrazione di centrosinistra guidata da Ada Colau, mentre la polizia spagnola ha ridotto la cifra a soli 350 mila partecipanti) scendere nelle strade della capitale catalana rispondendo all’appello dell’associazionismo indipendentista – Assemblea Nazionale Catalana e Omnium Cultural – in una giornata esplicitamente marcata dalla difesa del referendum e del Sì.
In piazza è scesa gente di tutti i tipi, dai militanti dei partiti indipendentisti agli attivisti dei grandi e piccoli sindacati schierati a favore del diritto all’autodeterminazione, dalla piccola borghesia fino agli studenti, fino alle associazioni dei migranti schierate a favore del distacco da Madrid.
All’imponente corteo non si sono fatti vedere, invece, i leader di Podemos Pablo Iglesias e Xavier Domènech, che insieme alla sindaca di Barcellona Ada Colau hanno tenuto una propria iniziativa, davanti a un migliaio di persone, nella località di Santa Coloma de Gramenet. Gli esponenti federalisti hanno attaccato tanto il premier Rajoy, accusato di conculcare il legittimo diritto all’autodeterminazione dei catalani, tanto i leader indipendentisti, accusati a loro volta di voler esercitare questo diritto in maniera unilaterale spaccando la società catalana. Secondo Iglesias una soluzione equa per la Catalogna – il ridisegno in senso federalista dello Stato Spagnolo – potrà venire esclusivamente da un allontanamento della destra di Rajoy dal potere e dalla formazione di una maggioranza alternativa, il che non tiene conto del fatto che tanto Ciudadanos, quanto i socialisti con cui Podemos tenta una convergenza sia a livello locale sia statale, sono assai poco disponibili a rinunciare al dogma nazionalista che anima buona parte della classe politica spagnola.
Ma all’interno di ‘Catalunya en Comù’, formazione politica locale frutto della confluenza del centro-sinistra storico catalano e di una parte della sezione locale di Podemos – Podem si è rifiutato di aderirvi – continuano il dibattito e le polemiche. Alcuni settori di militanti e dirigenti dei cosiddetti ‘Comuns’, e anche qualche assessore della giunta di Barcellona, chiedono che la sindaca, l’amministrazione comunale e il partito si schierino apertamente dalla parte del referendum, come hanno già fatto 670 municipi sui 948 totali. Al contrario i socialisti, anche loro nella maggioranza che sostiene Ada Colau alla guida di Barcellona, pretendono dalla sindaca un chiarimento in senso opposto.
Da parte spagnola, dopo la ‘tregua’ accordata ieri, oggi è ripartita la macchina inquisitoriale. Il Tribunale Costituzionale di Madrid, dopo aver rigettato nei giorni scorsi la legge di ‘Disconnessione’ che convoca il referendum del 1 ottobre, ha sospeso anche la legge di “Transizione” votata la scorsa settimana dalla maggioranza indipendentista del Parlament e diretta a creare un contesto legale alternativo alla Costituzione che accompagni e regoli l’eventuale nascita di una Repubblica Catalana separata dalla monarchia spagnola.
A questo punto il Governo di Carles Puigdemont, formato dal PDeCat e da Erc e sostenuto dalla Cup, se vuole andare avanti sulla strada dell’indipendenza, celebrare il referendum ed eventualmente trasformare in un atto politico formale la vittoria dei Sì, non può far altro che seguire la strada della disobbedienza istituzionale appoggiandosi a quella di massa. Questo mentre da Madrid si minaccia esplicitamente l’arresto di quei ministri e funzionari catalani che continuino a non tenere conto delle ingiunzioni del Tribunale Costituzionale e del Governo.
Questa mattinata il Procuratore Capo della Catalogna ha convocato i comandi locali della Policia Nacional, della Guardia Civil e dei Mossos d’Esquadra ai quali è stato ingiunto di adoperarsi per impedire la celebrazione del referendum popolare del 1 ottobre, di sequestrare le urne e le schede elettorali. Tra questi c’era anche il maggiore dei Mossos d’Esquadra, Josep Lluís Trapero, salito agli onori della cronaca internazionale nei giorni seguenti agli attacchi jihadisti contro Barcellona del 17 agosto.
Mentre il premier Rajoy non scarta la sospensione dello statuto di autonomia catalano e il commissariamento della Generalitat, chiesti a gran voce dalla stampa e dagli ambienti spagnoli più reazionari, oggi il giudice di Madrid José Yusty Bastarreche ha deciso di vietare una manifestazione a favore del diritto di autodecisione dei catalani organizzato per domenica prossima nella capitale spagnola. Il magistrato considera l’iniziativa convocata da alcuni settori della sinistra federalista come un atto di sostegno alla legge di ‘Disconnessione’ già sospesa dal Tribunale Costituzionale, e quindi a sua volta illegale, accogliendo un ricorso urgente presentato dal Partito Popolare.
Marco Santopadre
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