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Rojava, l’ora del dialogo con Damasco

Il governo siriano e il movimento a guida curda discutono sullo status della regione autonoma nel nord

Nel nord della Siria nel corso della guerra civile si creata una regione di fatto autonoma, che a livello internazionale inizialmente è diventata nota con il nome Rojava. Nel marzo 2016, con il coinvolgimento di gruppi assiri, arabi e turkmeni, si è costituita come Federazione Democratica Siria del Nord (FDSN).

I suoi rappresentanti ora hanno avviato colloqui di sondaggio con il governo siriano del Presidente Bashar Al-Assad sul futuro della regione di amministrazione autonoma. Il retroscena dei colloqui condotti a porte chiuse a Damasco e Qamishlo sono le mutate condizioni militari e di politica delle alleanze nel Paese scosso dalla guerra da oltre sette anni.
Quando è diventata prevedibile la liberazione da parte di forze governative dei territori nel sudovest del Paese sotto il controllo delle forze di opposizione jihadiste, alla fine di maggio Assad in un’intervista aveva dichiarato che le »Forze Siriane Democratiche« (FSD) erano il »problema rimasto«. Si intende l’alleanza formata intorno alle Unità di Difesa del Popolo (YPG) curde che, nella lotta contro la milizia jihadista »Stato Islamico« (IS), viene sostenuta militarmente dagli USA. »Prima apriamo la nostra porta per trattative. Se queste non avranno successo, l’esercito siriano-arabo dovrà liberare tutti i territori che le FSD hanno occupato«, aveva detto Assad il 31 maggio all’emittente russa RT.

Dato che un attacco dell’esercito siriano alla parte settentrionale del Paese per Damasco sarebbe un’impresa molto costosa e non da ultimo rischiosa, per via della presenza di soldati statunitensi e francesi, i rappresentanti della FDS hanno inquadrato la »minaccia« di Assad principalmente come un’offerta di dialogo.
»È tempo di trovare una soluzione con Damasco«, ha detto due settimane fa, al portale internet Al-Monitor, Aldar Khalil, che come co-Presidente del »Movimento per una Società Democratica« (Tev-Dem) è ai vertici della forza politica guida nella regione di amministrazione autonoma, che la Siria deve essere un Paese democratico e riconoscere tutte le lingue e identità dei suoi popoli.

La FDSN, che comprende circa il 30% del territorio dello Stato siriano, come merce di scambio porta il controllo sul più grande giacimento petrolifero del Paese a Deir Al-Sor, nonché la diga di Tabqa sull’Eufrate. Damasco chiede in particolare la sovranità su tutti i valichi di confine e la possibilità di reclutare nel territorio della »Federazione Democratica Siria del Nord« soldati per l’esercito siriano.

Lunedì la pagina di notizie vicina al governo – Al-Masdar News  – ha interpretato come primo risultato dei negoziati il fatto che nella metropoli Al-Hasaka siano state staccate le immagini dell’ideologo del movimento di liberazione curdo Abdullah Öcalan, incarcerato in Turchia. Khalil sulla sua pagina Facebook ha confermato che alcuni simboli sarebbero stati rimossi, una soluzione andrebbe trovata da parte dei siriani e non da parte di forze straniere che »perseguono piani e obiettivi propri«. Il dialogo con Damasco quindi verrebbe condotto senza consultazione con gli USA.

Questa dovrebbe essere anche una reazione al fatto che Washington, a fronte dell’ampia vittoria su IS, si allontana dalle YPG curde come partner tattico, per consolidare le relazioni strategicamente più importanti con la Turchia, stato membro della NATO.

Mentre il Presidente USA Donald Trump spinge per un ritiro delle truppe di terra USA dalla Siria del nord, finora servite come protezione da attacchi turchi, il Pentagono riflette su un rafforzamento delle file delle FSD con mercenari arabi. In questo modo si intende spingere ai margini le forze rivoluzionarie delle YPG.
Il cambiamento nella politica USA si vede in particolare nello scontro su Manbij. Questa città. abitata in prevalenza da arabi, si trova pochi chilometri a ovest dell’Eufrate vicino al confine con la Turchia e nell’agosto 2016 era stata liberata dal dominio di IS in una battaglia costata molte vittime. Da allora Ankara minaccia un attacco alla città. Il 4 giugno 2018 gli USA e la Turchia si sono accordati su una »Roadmap« che accanto al ritiro delle YPG da Manbij, prevede anche la rielezione del Consiglio Comunale. Gli ultimi istruttori delle YPG hanno effettivamente lasciato la città il 5 giugno. Questo ritiro tuttavia era pianificato da tempo. Per il momento, dal 20 giugno ci sono pattuglie »indipendenti ma coordinate« formate da militari turchi e statunitensi nei dintorni di Manbij.

da https://www.jungewelt.de/artikel/335389.dialog-mit-damaskus.html

* Traduzione di Sveva Haertter e pubblicato su Rete Kurdistan

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