Difficile sfuggire alla sensazione di un sincronismo ben calcolato tra l’accusa formulata il 19 giugno dal JIT (Joint Investigation Team: Australia, Belgio, Malaysia, Olanda e Ucraina) contro militari russi e miliziani del Donbass, per l’abbattimento del Boeing civile malese MH17 nei cieli del Donbass nel luglio 2014, e la proroga delle sanzioni contro la Russia, decisa da Bruxelles, senza discussione, il 20 giugno.
Così, mentre l’Ucraina, con l’aiuto determinante dei suoi padrini, cerca di cavarsi dal pantano delle evidenze sempre più nette del suo coinvolgimento nella sciagura che provocò la morte di 298 persone, la “Commissione investigativa congiunta” ammette che l’aereo possa esser stato abbattuto “per un errore di identificazione”, o “non intenzionalmente”, ma emette quattro mandati di cattura internazionale, guarda caso per tre cittadini russi e uno ucraino, contro i quali vengono mossi due capi di imputazione: coinvolgimento nell’abbattimento del volo MH17 e uccisione delle 298 persone a bordo dell’aereo.
I quattro accusati sono il cittadino ucraino Leonid Kharčenko (pseudonimo “Talpa”, comandante delle milizie della DNR di Konstantinovka nel periodo della battaglia nell’area di Slavjansk-Kramatorsk e poi a capo della Intelligence della DNR) e dei russi Igor Ghirkin (ex Ministro della difesa della DNR: pseudonimo “Strelkov”, comandante della guarnigione di Slavjansk), Sergej Dubinskij (“Accigliato”, organizzatore della Intelligence militare della DNR nel 2014- 2015), Oleg Pulatov (“Ghjurza”, comandante di un reparto di ricognizione della DNR, subordinato di Dubinskij). Sentito dalla Associated Press, Strelkov ha negato ogni addebito e ha definito “un falso” la registrazione di un colloquio telefonico addotto quale “prova” dell’accusa.
In pratica, la commissione “concretizza” ora ciò che Kiev e la NATO avevano sentenziato a resti del Boeing ancora fumanti e prima di ogni indagine: colpevoli sono la Russia e le milizie della DNR; silenzio sul fatto che l’Ucraina non avesse rispettato la più elementare regola della navigazione aerea: chiudere lo spazio aereo ai voli civili sopra la zona dei combattimenti.
Nonostante testimonianze di avieri ucraini, prove portate dal Ministero della difesa russo e smascheramento di video falsificati, ricostruzioni effettuate dalla società “Almaz-Antej”, produttrice del sistema “Buk”; nonostante non siano mai stati sentiti gli abitanti della zona, quali testimoni oculari, la commissione internazionale insiste sulla versione dell’abbattimento del Boeing con un razzo “Buk” esploso da un reparto della 53° brigata russa, che sarebbe penetrato in territorio ucraino e poi rientrato in Russia.
Il politologo e accademico russo Andrej Manojlo ha dichiarato a news-front.info che le autorità olandesi “hanno fatto una serie di nomi, senza portare alcuna prova del loro coinvolgimento. La calligrafia ricorda da vicino il “caso Skripal”, di cui si ripete ora lo scenario in maniera speculare”. Ancora una volta, dice, sono all’opera “i Servizi britannici: i nomi dei “colpevoli” sono stati fatti ancora prima di provare la loro responsabilità”.
Muovendo tale accusa, dice il vice Presidente della Duma, Pëtr Tolstoj, “la commissione investigativa si è definitivamente screditata, avendo basato le proprie “indagini” su dubbie pubblicazioni sui social network”. Non è stata “portata alcuna prova”, non sono mai state “decifrate le scatole nere” (la Malaysia ha sempre protestato per esser stata esclusa dal loro esame e ora il Primo ministro malese Mahathir Mohamad ha definito l’indagine “politicamente motivata”) e, nonostante ciò, la polizia olandese dichiara che “ci sono dati sufficienti”, ma non pubblica tutte le informazioni sull’indagine.
Qualcun altro fa notare la coincidenza tra l’avvio del programma web britannico “Bellingcat”, messo a punto proprio due giorni prima della tragedia del Boeing, e il fatto che l’indagine abbia raccolto molti spunti da quello pubblicati. E sempre “Bellingcat” (o, tramite suo, il MI6) il 19 giugno 2019, ha preceduto di un’ora la relazione resa pubblica dal JIT, accusando le quattro persone suddette, più altri otto miliziani della DNR.
Il Ministero della difesa russo ha ribadito quanto affermato da tempo, che il razzo con cui fu abbattuto il Boeing (si era risaliti al numero di serie del missile, dai frammenti di parte del motore) era in dotazione al reparto 20152 delle forze armate ucraine, di stanza nella regione di Ternopol e trasferito in seguito nell’area del conflitto in Donbass.
“Le dichiarazioni della Commissione d’indagine” è detto in una nota del Ministero degli esteri russo, su “un presunto coinvolgimento di militari russi nella catastrofe del Boeing MH17 malese, non possono che suscitare rammarico. Ancora una volta, si avanzano accuse infondate, volte a screditare la Russia agli occhi della comunità internazionale”.
L’errore principale commesso da Mosca sin dall’inizio, scrive colonelcassad, è stato quello di dare il consenso a che “l’indagine fosse condotta in un paese NATO, consegnando loro i resti del Boeing, in modo che potessero facilmente manipolare i fatti e ignorare i dati scomodi” presentati dalla Russia. Bisognava insistere perché l’indagine fosse “condotta in un paese neutrale (e l’Olanda non lo è, essendo membro di un blocco militare ostile, che copre in tutto l’Ucraina e il regime fantoccio ivi stabilito) con la partecipazione trasparente di tutte le parti interessate”. Come risultato: “una commissione insediata sul territorio di un paese NATO, con la partecipazione di paesi NATO e dell’Ucraina che, accusata dell’abbattimento, inventa un modo per accusare la Russia”.
Chiunque abbia deciso di “trasferire i resti del Boeing in Olanda e svolgere là le indagini” conclude colonelcassad, “non ha agito in maniera esattamente intelligente. Probabilmente, la decisione fu presa quando Mosca era ancora convinta che il conflitto in Ucraina sarebbe stato locale (come con la Georgia nel 2008) e la storia non sarebbe arrivata a una nuova edizione della Guerra fredda. I postumi della sbornia sono arrivati nell’autunno del 2018”.
Come l’immediata accusa lanciata contro Russia e milizie nel luglio 2014 aveva rappresentato il definitivo “argomento” per le sanzioni occidentali, l’uscita olandese del 19 giugno 2019 sembra rappresentare più che altro un’altolà a quei settori occidentali che oggi spingono per la loro revoca, dal momento che lo stesso PM olandese considera piccole le probabilità che gli accusati siedano sul banco degli imputati. Secondo la Tass, gli investigatori internazionali chiederanno alla Russia di interrogare i sospetti, senza chiedere la loro estradizione, dato che questa non è prevista dalle legislazioni russa e ucraina.
Manco a dirlo, proprio il 20 giugno Bruxelles ha prorogato di un altro anno, automaticamente “con procedura scritta” e senza votazione, le sanzioni per Crimea, di cui non riconosce l’unione alla Russia. Proprio nelle stesse ore Vladimir Putin valutava le perdite per la Russia dovute alle sanzioni in circa 50 miliardi di dollari (6,3 solo nel 2018), in 240 quelle per i paesi UE, 17 per gli USA e 27 per il Giappone. Se nel 2013, prima dell’introduzione delle sanzioni (e contro-sanzioni russe) gli scambi UE-Russia si aggiravano sui 410 miliardi di $, nel 2018 sono stati di 294 miliardi.
“Tutti dichiaran che sanno qual è il bene del popolo, ma sottovoce lo dicono”– Eneide.
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