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Il Labour deve chiarire che rispetta il risultato della Brexit se vuole vincere le elezioni

La prevista sospensione del Parlamento da parte di Boris Johnson ha prodotto molta rabbia e mobilitazione, sulla base del fatto che si tratta di un attacco alla democrazia.

Ed è vero che, se riesce a cavarsela, è improbabile che si fermi qui.

Come ha scritto il Segretario alla Giustizia ombra del Labour, Richard Burgon, in Morning Star di ieri, Johnson vuole “imporre un modello economico ancora più neoliberista sulle spalle della maggioranza”.

E a Manchester, Jeremy Corbyn ha accusato Johnson di essere pronto a “ballare al ritmo” di Donald Trump per ottenere un accordo commerciale post-Brexit con gli Stati Uniti.

Tuttavia, deve essere riconosciuto che la proroga, sebbene fatta per i propri fini, è stata resa possibile dall’azione antidemocratica della maggioranza dei parlamentari negli ultimi tre anni nel frustrare l’esito del referendum del 2016.

C’è un elemento di ciò che Naomi Klein ha definito la “dottrina dello shock” nella proroga, le minacce contro i ribelli Tory e il lancio della campagna “Get Ready for Brexit” del governo.

Hanno lo scopo di creare uno slancio che è inarrestabile e di segnalare che chiunque ostacolerà la Gran Bretagna pronta a lasciare l’UE il 31 ottobre verrà messo da parte. Ciò vale tanto per i negoziatori dell’UE quanto per gli avversari nazionali.

Johnson afferma che la brigata “anti-no-deal” sta minando le sue possibilità di ottenere concessioni dall’UE, in particolare per il sostegno irlandese. Ma non è affatto chiaro se la sua strategia funzionerà.

L’aritmetica parlamentare è tale che i ribelli Tory potrebbero unirsi a Labour nei Comuni questa settimana, per prendere il controllo dell’agenda e forzare attraverso un disegno di legge che impone un ulteriore rinvio della Brexit.

E per quanto riguarda i negoziatori dell’UE, il loro capo, Michel Barnier, ha rifiutato di spostarsi dal backstop, affermando che “è la massima flessibilità che l’UE può offrire a uno Stato terzo”.

La posizione dell’UE è che parte o tutto il Regno Unito deve rimanere nell’unione doganale dell’UE, il che ovviamente nega il risultato del referendum.

Tuttavia, finora la Gran Bretagna non ha presentato nuove proposte al backstop, quindi ci si domanda se Johnson voglia davvero un accordo.

La recente proposta di “doppia autonomia”, di due accademici non britannici e dell’ex funzionario europeo Sir Jonathan Faull, merita considerazione.

Qui, anziché i controlli doganali alle frontiere, il Regno Unito e l’Irlanda si assumono la responsabilità di sorvegliare i propri esportatori, facendo sì che l’esportazione consapevole di merci non conforme alle normative sul territorio dell’altro sia considerata un reato.

Morning Star ritiene che il risultato del referendum deve essere rispettato e la Gran Bretagna dovrebbe lasciare l’UE il 31 ottobre, con o senza un accordo.

Tuttavia, in quest’ultimo caso, ci saranno sicuramente problemi, in particolare per quanto riguarda la fornitura di alimenti freschi e medicinali, nonostante le affermazioni contrarie di Michael Gove.

Metà del cibo britannico viene importato e il 30% proviene dall’UE, più un altro 11% da paesi extra UE nell’ambito degli accordi commerciali dell’UE.

*da L’Antidiplomatico

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