A Sestri Ponente sfila l’orgoglio operaio. C’è mezza città in strada. Anche i negozianti, con le serrande abbassate per tutta la mattinata. I tassisti che passano in auto strombazzando. C’è una folla di politici, di destra, sinistra, centro. Ci sono i lavoratori delle aziende della zona (Esaote, Piaggio, Elsag Datamat) che hanno indetto un’ora di sciopero e vanno in corteo anche loro. Alla fine scendono in strada anche gli studenti dell’istituto alberghiero Bergese. Tutti applaudono, tutti gridano: il cantiere non si chiude. Perché «il cantiere ha fatto e continuerà a fare la storia», come hanno scritto su uno striscione gli operai di Sestri ponente, che l’azienda intende rottamare insieme a Castellamare o ridimensionare come Riva Trigoso. Così i lavoratori, nel tempo perso – «in questi giorni non si fa niente né noi né quelli degli appalti», dicono fuori microfono – hanno preparato cento cartelli. Cento come le navi di ferro costruite qui, tra lo scorso secolo e questo. Si parte dalla Rex del 1932, poi la Michelangelo 1962, Lolli Ghetti 1971, Transoceania Mario 1973, Eleonora 1986, Festos Palace 2001, Costa magica 2004 per arrivare alle Oceania degli ultimi anni. «Ci hanno chiesto sacrifici, ore in più per le consegne e le abbiamo fatte, e ora ci buttano come scarpe vecchie – commenta Silvestro Ruscelli, operaio dal ’71, che con lo stipendio mantiene moglie e figlio – Non so dove andiamo a finire. La fonderia ha chiuso, l’Alfa Romeo ha chiuso, la ceramica anche, restiamo solo noi. Se continua così andiamo a zappare e non abbiamo neppure un pezzo di terra».
In piazza Baracca il corteo sfila tra la folla. «È una partecipazione completa di tutta Sestri – dice Rosamaria, pensionata – perché qui ci sono di mezzo famiglie intere che rischiano di perdere il lavoro». Applausi. «Sestri vive di questo cantiere, è ignobile chiuderlo», commenta anche Michele, calabrese, a Genova nel ’71. Poi cartelli e operai si fermano a piazza Baracca.
Parla il sindaco Marta Vincenzi, interviene il presidente del municipio Stefano Bernini e Amleto Valenti, 91 anni, entrato in cantiere nel ’33, quando Fincantieri ancora non esisteva: «Le prime navi su cui ho messo piede erano due cacciatorpedinieri – grida al microfono – di tutti i cantieri navali europei noi siamo la Ferrari. Quando si costruisce una nave gli armatori mandano un assistente o due a controllare. Nel ’33 quando facevamo le navi per la Russia, c’erano 80 assistenti, erano venuti da noi ad imparare!». Applausi scroscianti. «Ce la vogliono far pagare – continua Valenti – il 18 aprile ’48 quando vinsero loro, appoggiati dalle 200 mila chiese crearono i sindacati bianchi, di comodo. Ci divisero. Ma oggi siamo tutti insieme». Standing ovation. «Il cantiere navale di Sestri non si tocca – scandisce Giulio Troccoli, delegato Fiom di Fincantieri – e qui diciamo pubblicamente che nessuno può fare il furbo: anche i dipendenti delle ditte in appalto vanno pagati quando si sciopera». Il corteo riprende a sfilare, entrano i lavoratori di Esaote, Piaggio, Elsag, Selex. Altri applausi, altre urla. Poi si torna verso il cantiere e arrivano di corsa gli studenti del Bergese: «Il mondo reale è qui. Abbiamo abbandonato la scuola», commentano. Mentre continua l’agitazione in cantiere e martedì si prepara un altro corteo sotto la direzione militare in via Cipro, tutta l’attenzione è per l’incontro nazionale a Roma il 3 giugno. Il segretario provinciale Fiom Francesco Grondona dice che ci sono già mille lavoratori genovesi pronti a partire all’alba. «Il 3 chiederemo che venga ritirato il piano ed è la posizione di tutti i sindacati – dice Alessandro Pagano, coordinatore nazionale Fiom per la cantieristica navale – le ultime dichiarazioni dell’azienda sono ambigue e non le voglio commentare. Al momento si parla della chiusura di due cantieri e la cannibalizzazione di un terzo. Invece ci vuole un piano per consolidare Fincantieri perché il settore navale può essere strategico. Di costruzioni navali se ne possono fare di tanti tipi. Fincantieri finora ha puntato solo su un paio di settori, invece deve investire in ricerca e pensare all’off-shore. Soprattutto al paese serve la volontà politica di una politica industriale».
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa