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Lula: 500 giorni di ingiustizia

Jean-Luc Mélenchon ha incontrato il 5 settembre scorso l’ex presidente Lula, detenuto in Brasile dopo un processo inficiato da irregolarità. Ora è al centro di un lawfare.

Il lawfare è ancora un concetto poco conosciuto in Francia, ma merita la piena attenzione dei difensori della democrazia e delle libertà. Questo termine inglese, apparso negli anni ’70, significa guerra (warfare) attraverso la legge (law). La mobilitazione internazionale che i giuristi brasiliani per la democrazia hanno intrapreso dalla condanna di Lula nel 2017 ha gradualmente reso possibile la sua diffusione negli ambienti politici progressisti di tutto il mondo.

Le riflessioni sul lawfare descrivono i diversi modi in cui l’imparzialità dell’istituzione giudiziaria è strumentalizzata da un potere, che si tratti di interessi esecutivi, economici o religiosi. Il più delle volte si manifesta nella manipolazione del sistema giuridico e nell’approccio giudiziario della politica che porta all’imprigionamento degli oppositori politici, ma è anche meno visibile nella promozione di un discorso volto a minare i diritti umani e le libertà politiche in cui i media svolgono un ruolo centrale nel favorire la sua progressiva accettazione da parte dell’opinione pubblica. Una configurazione dell’informazione che si oppone a quella che si presenta come una verità (quella dell’istituzione giudiziaria) ad un’altra (quella di coloro ingiustamente accusati) e rende molto difficile per il pubblico comprendere il fenomeno.

In altre parole, il lawfare è un braccio del neoliberismo di nuovo tipo che mira ad indebolire lo Stato, non con il suo bilancio e i suoi mezzi di intervento attraverso l’azione pubblica, ma con il progressivo abuso dello Stato di diritto, attraverso la sua autorità più fondamentale, la Giustizia.

Il giudice brasiliano Rubens Casara, che è in esilio in Francia dall’arrivo al potere del presidente di estrema destra Jaïr Bolsonaro, ha rivisitato questo fenomeno durante la conferenza tenuta presso le università estive francesi lo scorso agosto, insieme ad altri leader politici attaccati come Alexey Sakhnin, rappresentante del Fronte di Sinistra russo, Biram Dah Abeid, il principale oppositore in Mauritania, o Manuel Bompard, che ha descritto come questo fenomeno si stia gradualmente affermando in Francia, con insopportabile indifferenza.

Il caso di Lula è molto emblematico perché, dal processo alla sua incarcerazione, il suo trattamento da parte dei tribunali è disseminato di illegalità che sono state esposte pubblicamente dal quotidiano nordamericano The Intercept (https://contropiano.org/documenti/2019/06/12/complotto-contro-lula-il-dossier-de-the-interceptor-0116332).

Cominciamo con le accuse. Lula è accusato principalmente di riciclaggio di denaro sporco (0,5 milioni di euro) e corruzione passiva legata alla ristrutturazione di un appartamento (il triplex a Guarujá) e di una casa di campagna ad Atibaia, che sarebbero stati offerti dalle imprese di costruzione in cambio del suo intervento per promuovere appalti pubblici con la compagnia petrolifera Petrobras. L’unico problema è che non ci sono prove che lo dimostrino. Il giudice Sergio Moro, incaricato delle indagini sul caso e promosso da Bolsonaro a Ministro della Giustizia, si è regolarmente avvalso dell’esonero dalla pena per i condannati che hanno accettato di confessarsi. Il motivo dell’accusa si basa essenzialmente su questo tipo di testimonianza, non tutte verificabili.

Inoltre, gli scambi di messaggi tra Sergio Moro e il procuratore Deltan Dallagnol rivelati da The Intercept dimostrano che il giudice aveva ripetutamente superato l’ambito delle sue funzioni diventando sia giudice che parte, consigliando il procuratore sulle strategie di perseguimento da seguire. Quest’ultimo condivideva con lui anche qualche dubbio sulla forza di alcune delle prove, ma Moro lo incoraggiò a mantenerle.

Tra il 14 settembre 2016, quando Lula è stato formalmente accusato dal tribunale di Curitiba nel caso Lava Jato, e il 24 gennaio 2018, data della sua sentenza di secondo grado di 12 anni e 1 mese di carcere del 4° Tribunale Federale Regionale (TFR4) di Porto Alegre, non sono trascorsi nemmeno due anni. Il processo più veloce della storia, quando conosciamo bene la lentezza della giustizia brasiliana nel trattare altri casi come quello del politico di destra Aécio Neves, avversario sconfitto da Dilma Rousseff alle elezioni presidenziali del 2014, coinvolto in molti casi di corruzione e ancora in libertà.

Un’altra flagrante illegalità fu l’autorizzazione all’incarcerazione di Lula prima dell’esaurimento dei suoi ricorsi come previsto dalla legge. Il 4 aprile 2018, i giudici della Corte Suprema hanno deliberato sulla detenzione di Lula. Pochi minuti dopo Moro firmò il suo mandato di cattura. Oggi, i messaggi rivelati da The Intercept hanno dimostrato che Moro e il pubblico ministero hanno anche cercato di influenzare la decisione di alcuni giudici.

Nonostante l’intervento di molte personalità politiche di spicco a livello mondiale e persino della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani, i suoi diritti civili non sono stati rispettati e Lula non è stato in grado di candidarsi alle elezioni presidenziali, che lo vedevano largamente vincitore. Oggi, Jaïr Bolsonaro sta lavorando per decostruire una per una le politiche pubbliche che hanno tolto il Brasile dalla mappa della fame e gli hanno dato un riconoscimento internazionale.

* Membro della direzione nazionale del Parti de Gauche e attivista di La France Insoumise, dedita alle relazioni internazionali con il Sud America e ai temi legati ai diritti umani, educazione popolare e democratizzazione dell’informazione, oltre che fondatrice e direttrice dell’ufficio brasiliano di Internet senza frontiere dal 2014. Traduzione a cura di Andrea Mencarelli (Potere al Popolo) dell’editoriale pubblicato su l’Heure du Peuple

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