C’è qualcosa di misterioso nella cronaca. Al netto dei dubbi e delle certezze, come una notizia poi riesca a diventare un pezzo e poi un titolo, spesso, è una dinamica che sfugge persino ai giornalisti: semplicemente le cose si fanno così e poi il giorno dopo escono stampate in edicola.
Basta aprire una qualsiasi cronaca locale: per fatti anche non rilevanti si tende a pubblicare nomi, cognomi e foto dei coinvolti. A volte non ci si fanno molti scrupoli nemmeno a pubblicare intercettazioni uscite non si sa bene come dagli uffici giudiziari – magari a indagini aperte -, parole su parole la cui rilevanza penale talvolta è tutta da dimostrare. Eppure si pubblica tutto lo stesso. Perché gli arresti e le indagini sono fatti pubblici e la gente deve sapere (anche se forse non vuole, ma non ci sono prove di questo), perché li sappiamo e dobbiamo farlo vedere, perché sì, perché è uguale.
A volte però certi casi sono più uguali degli altri. Ne sa qualcosa Ilaria Cucchi, che si è limitata a postare sulla sua bacheca di Facebook la foto (già pubblica a tutti gli effetti) di uno dei carabinieri indagati nella seconda inchiesta sulla morte di suo fratello Stefano.
Il Corriere della Sera per primo ha parlato di un’Ilaria Cucchi «diversa» rispetto al solito, incline alla gogna, capace di utilizzare le armi che di solito venivano usate contro di lei. Il discorso sarebbe già discutibile – ci arriviamo –, ma la cosa più grave è la malafede di fondo: perché esporre la foto di un carabiniere è una gogna mentre invece va bene sparare quelle del ragazzino che ha mandato l’sms con bestemmia annessa al programma di capodanno della Rai? Perché Ilaria è inopportuna mentre quelli che invocano lo sterminio degli immigrati perché sono tutti ladri sono la voce del popolo che comunque va raccolta? Ah, i misteri della cronaca. Oltre alla gogna, occorre prendere atto che esiste anche la fogna mediatica.
Ilaria ha pubblicato quella foto perché sono sei anni che suo fratello è morto e le istituzioni ancora non hanno dato una risposta che sia una alla richiesta di giustizia e verità proveniente dalla famiglia. Perché, alla faccia del senso del pericolo, di quello del ridicolo, del buonsenso e pure dello stato di diritto, nella repubblica penale italiana è possibile che su un singolo fatto ci siano un processo in corso (il nuovo giudizio di Appello per i medici) e un’inchiesta aperta (quella sui carabinieri). Perché, come ha detto lei stessa, ha voluto farsi del male, e in fondo c’è da capirla.
Alla fine di questa storia – se mai questa storia finirà – forse una verità giudiziaria uscirà pure fuori. Parziale, sfuggente e contraddittoria com’è sempre la verità giudiziaria: quella porzione di fatti scritta sua una sentenza rappresenta soltanto il risvolto della realtà che ha una rilevanza penale, non la realtà in sé e per sé.
La verità storica sul caso Cucchi, in compenso, è ormai chiara a tutti: Stefano è stato preso vivo dallo Stato e ne è uscito morto. E questo è quanto.
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