Il Brasile sta attraversando una profonda crisi. La stagnazione dell’economia, derivante dalla dipendenza dal capitalismo mondiale, ha imposto una grave crisi sociale. Più disoccupazione, perdita di diritti, precarietà e appiattimento dei salari. Questa situazione ha portato all’attuale crisi politica, in cui il governo non rappresenta gli interessi della maggioranza del popolo e del Paese.
Il grande capitale vuole proteggersi dalla crisi e attua varie misure per salvare le grandi imprese e la finanza: appropriazione delle risorse naturali (petrolio, minerali, energia, acqua e biodiversità) per ottenere entrate straordinarie; tagliare i diritti dei lavoratori per aumentare il loro tasso di profitto; privatizzazione di 133 aziende ad alto profitto; trasformazione del diritto all’istruzione e alla salute in merce; una subordinazione ancora maggiore del nostro destino alla capitale degli Stati Uniti.
Ci vuole solo un governo di estrema destra per realizzare questo piano. Per poterlo eleggere, hanno dovuto arrestare arbitrariamente e ingiustamente l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva (PT), uno dei favoriti nella battaglia elettorale.
Ora, i crimini della coppia di Curitiba [l’ex giudice Sergio Moro e il procuratore Deltan Dallagnol, ndt] che ha usato il supporto mediatico dell’operazione Lava Jato per guadagnare con benefici personali vengono alla ribalta. E sono riusciti ad eleggere il capitano Bolsonaro solo con menzogne sui social network, con il supporto degli account falsi dall’estero.
La situazione del paese sta peggiorando, sotto ogni punto di vista. Senza investimenti produttivi, la stagnazione continuerà per molti anni, secondo gli economisti di tutte le correnti.
La concentrazione ancora maggiore del reddito e della ricchezza impedisce l’aumento della domanda e dei consumi. Solo i sei maggiori capitalisti brasiliani guadagnano più della somma dei 120 milioni di brasiliani. Le banche, d’altro canto, non hanno mai conseguito così tanti profitti.
La crisi ambientale si è aggravata con le politiche di smantellamento delle agenzie ambientali, i crimini dei taglialegna, l’espansione delle aziende agricole e minerarie, soprattutto in Amazzonia.
Non c’è futuro con questo governo e il suo piano per far uscire il grande capitale dalla crisi. La vera via d’uscita è costruire un programma di sviluppo basato sulla reindustrializzazione, il controllo bancario, gli investimenti nella produzione, l’agricoltura alimentare e il mercato interno. Le aziende pubbliche, come Petrobras, Eletrobras e Correios, devono essere difese per aumentare gli investimenti e sostenere un nuovo ciclo di crescita, occupazione e distribuzione del reddito.
I militari, che si definivano nazionalisti e difensori del popolo, sono stati stranamente messi a tacere. Devono vergognarsi del capitano Bolsonaro, che hanno sostenuto. La magistratura, omissiva o connivente, deve rispettare la Costituzione federale, agire con imparzialità e liberare Lula dalla prigione.
Il popolo deve andare in strada a lottare per il lavoro, l’istruzione, la salute e in difesa della sovranità nazionale. Si costruirà così l’unità politica delle forze popolari e dei settori economici che vogliono ancora difendere il paese – e non solo le loro tasche.
Siamo ancora lontani da una soluzione. La borghesia è stata sorda e muta. Il governo è irresponsabile e continua con la follia. E la gente non si è ancora mossa.
Tuttavia, queste contraddizioni peggioreranno. Più tempo passerà, più dolorosa sarà la soluzione.
(Fonte: Folha de S.Paulo)
* João Pedro Stedile è un economista, attivista e scrittore brasiliano, membro del consiglio nazionale del Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra (MST), di cui è co-fondatore. Traduzione a cura di Andrea Mencarelli (Potere al Popolo).
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