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Algeria. La prova di forza dell’Hirak

Venerdì 1 novembre sarà con ogni probabilità il punto di svolta della nuova fase delle mobilitazioni popolari nel Paese del Maghreb. La data del Primo Novembre è fortemente evocativa per il popolo algerino, perché in questa giornata nel 1954 iniziò la Lotta di Liberazione Nazionale con numerose azioni armate su tutto il territorio, prima tappa di una lunga battaglia che porterà l’Algeria all’Indipendenza 8 anni dopo, fine di 132 di colonizzazione francese.

Ma il trait-d’union tra passato e presente, soprattutto per le nuove generazioni – che sono la punta di lancia della protesta – è dato dalla presenza attiva nell’Hirak di due figure storiche dell’insurrezione, ormai ottuagenarie. Si tratta di Lakhdar Bouregâa e Djamila Bouhired.

Il primo, 86 anni, ex ufficiale dell’ala militare del FLN durante la lotta armata, si trova in un carcere militare dal 30 giugno, per la sua analisi impietosa della situazione politica ed il suo appoggio all’Hirak. La sua liberazione, insieme a quella di circa un centinaio di prigionieri politici e d’opinione, è richiesta dal movimento popolare ed il suo nome è scandito a gran voce in tutte le mobilitazioni successive al suo arresto.

Il 22 ottobre, all’udienza del processo, si è rifiutato di rispondere alle domande postegli dal giudice ed ha invece reiterato il suo sostegno all’Hirak e alle sue ragioni, rivolgendosi alla corte con queste parole: “voi non siete una giustizia indipendente e non applicate la legge”. L’ex combattente ha rivitalizzato i “processi di rottura” che attuavano i patrioti algerini nel ’57-’58 e che faranno divenire questa pratica un metodo dei movimenti rivoluzionari in tutto il mondo. Ad inizio ottobre si è dichiarato pronto allo sciopero della fame se fosse stato lanciato dagli altri detenuti, ed ha dichiarato che avrebbe rifiutato la sua eventuale scarcerazione se non fosse avvenuta contestualmente alla scarcerazione degli altri detenuti dell’Hirak.

Djamila Bouhired è una delle combattenti del FLN maggiormente più conosciute in patria e all’estero. Condannata a morte quando aveva 22 anni – accolse la sentenza con una risata – venne graziata a 24, ma con il carcere a vita, in seguito ad una campagna internazionale per la sua liberazione.

Dopo il suo silenzio successivo all’indipendenza, è scesa in piazza il Primo marzo – il secondo venerdì dell’Hirak iniziato il 22 febbraio – immergendosi tra la marea umana verso piazza Maurice Audin, dal nome del martire comunista algerino torturato a morte nel ’57 dai parà francesi e “scomparso” insieme a circa un altro migliaio di algerini cui è stata riservata la stessa sorte, come ha evidenziato una recente progetto di ricerca storica.

Djamila ha preso pubblicamente posizione con l’Hirak, dichiarando che l’attuale lotta delle giovani generazioni algerine è in continuità con quella che loro fecero ai tempi della Lotta di Liberazione Nazionale ed ha esortato i giovani a non farsi “rubare” la propria protesta da chi vuole perpetuare il sistema.

Un altro elemento di continuità con quella che fu la lotta storica del popolo algerino per la propria indipendenza è l’attivazione della diaspora in Francia, ma non solo.

In molte città dell’Esagono, in particolare Parigi e Marsiglia, ma non solo, la “comunità algerina” manifesta tutte le domeniche il sostegno all’Hirak ed ha letteralmente invaso le strade e le piazze francesi in occasione dei festeggiamenti per le vittorie della nazionale calcistica questa estate della Coppa d’Africa. Una squadra che per le sue posizioni di appoggio alle mobilitazioni popolari e alla lotta del popolo palestinese, da parte soprattutto di alcuni suoi giocatori, si è dimostrata degna erede degli “Undici dell’Indipendenza” che fecero da ambasciatori sportivi della lotta del FLN prima della vittoria.

A Parigi tutto il variegato mondo politico ed associativo della diaspora ha fatto appello per la partecipazione alla manifestazione nella capiale francese che nell’appello dei suoi promotori è stata definita: “tsunami popolare” che faccia propri gli obiettivi dell’Hirak tra cui la “realizzazione di uno stato democratico e sociale”.

È dai tempi della creazione dell'”Etoile Noire”, tra le due guerre mondiali, che la mobilitazione della popolazione algerina in Francia è un fattore decisivo per la conquista dei maggiori obbiettivi del popolo algerino tutto.

La mobilitazione del primo novembre, 37esimo venerdì di protesta dell’Hirak, è stata preceduta da importanti mobilitazioni di parti importanti della società civile – come avvocati e giudici, in sciopero nei giorni scorsi -, del movimento operaio organizzato che lunedì 24 ottobre ha visto un partecipato sciopero indetto dal Coordinamento dei Sindacati Autonomi (che raggruppa 13 sigle sindacali), sostenuto dall’opposizione politica del PAD, il Patto per l’Alternativa Democratica; martedì una mobilitazione massiccia degli studenti ha sfidato un impressionante dispiegamento delle forze dell’ordine, per sfilare per le strade con l’Hirak, che questa settimana è entrato al suo nono mese di vita.

Vista la censura mediatica e la stigmatizzazione negativa degli uomini più in vista del “Sistema” – l’ultimo dei quali il Presidente ad interim Bensalah, che ha rassicurato Putin affermando che la situazione è sotto controllo e che a scendere in strada è una minoranza (!) – è stata lanciata una campagna sui social, in cui a singoli o in gruppi si esprime il proprio consenso all’Hirak e si dice che si parteciperà alla manifestazioni del Primo Novembre, promettendo di “invadere” pacificamente Algeri, nonostante filtri e proibizioni crescenti da parte delle forze dell’ordine che hanno caratterizzato gli ultimi mesi.

Le mobilitazioni algerine non sono dirette solo contro un “governo provvisorio” che eternizza la sua esistenza e che ha proclamato le elezioni presidenziali – rimandate già due volte quest’anno nel Paese – per il 12 dicembre come output dell’attuale crisi politica, ma senza avere predisposto alcuna transizione reale e senza accogliere alcuna richiesta anche minima della piazza, mettendo due candidati del “Sistema” come maggiormente favoriti, nonché di fatto unici competitor.

Le ragioni politico-sociali non sono solo “generalmente” legate ad un cambio del sistema di rappresentanza, ma ai contenuti delle politiche di un governo illegittimo agli occhi del Paese e che cerca di trascinarlo in una maggiore povertà, regalandolo agli “investitori” stranieri – in particolare dell’UE – e minandone le possibilità di uno sviluppo economico che garantisca un benessere diffuso.

Il budget per l’anno prossimo venturo è una “finanziaria” di austerità e di precarietà che apre tra l’altro agli investimenti esteri – abolendo la regola del 51/49 per cento per i settori non strategici, che obbliga ad una partnership economica a maggioranza autoctona – e alla possibilità di “indebitarsi” con Paesi ed Istituzioni internazionali. Mentre la contestatissima nuova legge sugli idrocarburi apre la strada per lo sfruttamento dei nuovi siti da parte di attori politici francesi come Total e nord-americani come Exxon-Mobile. Infine, ma non meno importante. l’inaugurazione il Primo Gennaio del prossimo anno di una “zona di libero scambio” tra UE ed Algeria, che approfondisce l’assimettria e la dipendenza tra i due attori economici avviata nel 2005 con l’accordo di “associazione”.

Questa zona che avrà un periodo di transizione di 12 anni, comporterà dal primo Gennaio la possibilità di importazione senza limiti ed esentasse delle merci prodotte dall’UE, senza che nelle 110 clausole siano state veramente contemplate le istanze di cooperazione e transfert tecnologico, né la libera circolazione delle persone che alcuni auspicavano.

Rischia dunque di trasformarsi in una catastrofe per la già depauperata economia algerina, ancorata solo all’esportazione di idrocarburi.

Alcuni dati danno il senso del già profondo dis-equlibrio: l’Algeria importa il 60 per cento dei suoi prodotti dalla UE, e tra il 2005 al 2017 – tranne che per gli idrocarburi – ha “esportato” merci per un valore di 12 miliardi di Dollari dalla UE, mentre ne ha importate per 283 miliardi di dollari dall’Unione Europea!

Questo mese e mezzo che separerà la manifestazione del Primo Novembre dalle previste elezioni presidenziali sarà decisivo per capire la capacità di tenuta dell’attuale blocco di potere, in assoluta continuità con il “sistema Bouteflika”, che ha governato il Paese per circa un ventennio dalla fine del Decennio Nero degli anni Novanta ad oggi, e che ora rischia di legittimare le politiche neo-coloniali della UE e lo strozzinaggio del FMI.

Ancora oggi, come nel 1954, il popolo algerino sfida un assetto che si crede immutabile, ma oggi come allora il mondo sta mutando e gli assetti neo-liberali traballano.

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