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“L’unificazione irlandese sta diventando possibile”

Vedere le cose da lontano a volte aiuta a vederle meglio. Ma solo se si conoscono in modo piuttosto approfondito. Altrimenti si sostituisce la valutazione ideologica (“chi mi somiglia di più, da quelle parti”) alla leniniana “analisi concreta della situazione concreta”.

Parlando di Irlanda, Brexit, rapporti con l’Unione Europea e sinistra di classe da quelle parti, il rischio di non vedere l’essenziale è piuttosto alto.

La prima cosa da capire – per degli “stranieri”, in questo caso noi italiani – è quale sia stata per un secolo in quel paese la “contraddizione principale” per un popolo che da 500 anni vive sotto occupazione straniera. Significa che la questione della liberazione nazionale e dell’indipendenza veniva e viene prima di tutte le altre. Anche se era strettamente connessa con la “contraddizione di classe”, visto che buona parte della borghesia imprenditoriale è stata a lungo altrettanto “straniera” (inglesi, insomma).

Per chi ha vissuto la sua maturazione prima della caduta del Muro non è per nulla difficile capire il concetto, visto che nel secondo dopoguerra e fino al 1989 i Movimenti di Liberazione Nazionale erano numerosi, vincenti, guidati da rivoluzionari in vario modo comunisti e in ottimi rapporti con l’Unione Sovietica (oppure con la Cina). Dal Vietnam all’Angola, c’è solo l’imbarazzo della scelta.

La successiva vittoria del capitalismo neoliberista ha confuso parecchio le idee, oltre che sancire sul campo uno scenario diverso. Al punto che oggi molti che si ritengono “comunisti” oscillano tra una visione utopica della rivoluzione (un “atto simultaneo” che dovrebbe, chissà come, avvenire in ogni parte del mondo in un arco di tempo piuttosto stretto) e una critica acefala di ogni movimento di liberazione nazionale perché “non mette al primo posto la questione di classe“. In entrambi i casi l’impotenza politica è assicurata…

La chiave ideologica, insomma, sembra decisamente in mano al pensiero unico neoliberista, per il quale la “sovranità legittima” appartiene ora “ai mercati” e dunque ogni movimento di liberazione nazionale è tacciato di “sovranismo” o nazionalismo tout court.

La lotta di liberazione irlandese, com’è noto, ha avuto fondamentalmente due momenti diversi. Il primo portò, dopo una lunga lotta anche armata, all’indipendenza di gran parte dell’isola, con la proclamazione della Repubblica nel dicembre del 1922. Mentre solo sei contee del Nord, con la maggioranza della popolazione di origine inglese e religione protestante, restavano nel Regno Unito e sotto la monarchia britannica.

Anche qui, negli anni dopo il ‘68, riprese una dura lotta armata di liberazione guidata dall’Ira (Irish Republican Army) con l’obbiettivo della riunificazione dell’Isola e una idea di società decisamente socialista. Il Sinn Fein delle “sei contee” era considerato il “braccio politico” dell’indipendentismo, così come l’Ira ne era evidentemente il “braccio militare”.

Gli “accordi del Venerdì Santo” – Comhaontú Bhéal Feirste, in gaelico – misero fine allo scontro armato, portarono alla liberazione dei guerriglieri prigionieri e alla piena partecipazione paritaria degli “irlandesi cattolici” alla vita politica dell’Ulster.

Ma l’obbiettivo della riunificazione sotto una sola Repubblica Irlandese sembrava sepolto per sempre. E invece era solo rinviato ad un processo politico di lunga durata che la Brexit (involontariamente) e la vittoria del Sinn Fein nelle elezioni di sabato nell’Eire hanno ora reso visibile e possibile.

Non è una pia illusione, comprensibile in chi – come noi – ha sempre visto con simpatia le lotte di liberazione nazionale di matrice socialista. E’ un dato politico riconosciuto ormai da autorevoli membri dello stesso establishment britannico. Non ne sono felici, ovviamente, ma almeno non fanno finta di non vedere…

Per aiutare anche gli scettici da tastiera, abbiamo tradotto qui un articolo dal settimanale più mainstrem e iper-liberista che si possa immaginare: The Economist.

Buona lettura….

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The Economist: “L’unificazione irlandese sta diventando possibile”

Per la maggior parte del secolo da quando l’Irlanda ha ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna, il controllo del paese si è alternato tra due parti. L’8 febbraio quel duopolio è stato distrutto con il Sinn Fein che ha ottenuto la maggior parte dei voti di prima preferenza nelle elezioni generali della repubblica.

Il partito, con collegamenti con l’Esercito repubblicano irlandese (IRA), che seminò bombe e si fece strada negli anni ’70, ’80 e ’90, ha vinto con una piattaforma di sinistra che include promesse di spendere di più per la salute e l’edilizia abitativa.

Eppure non ha nascosto il suo desiderio di qualcosa di molto più ambizioso. “Il nostro obiettivo politico principale”, si legge nel suo manifesto, “è raggiungere l’Unità irlandese e il referendum sull’Unità che è il mezzo per garantirla”.

L’indipendenza scozzese ha conquistato i titoli dai tempi della Brexit, ma è tempo di riconoscere le possibilità di una diversa secessione dal Regno Unito. Il successo del Sinn Fein alle elezioni è solo l’ultimo motivo per pensare che un’Irlanda unita entro una decina di anni sia una possibilità reale e in crescita.

Questa prospettiva significa qualcosa di molto importante, specialmente fuori l’isola d’Irlanda. La diaspora irlandese comprende oltre 20 milioni di americani. Parti dei conflitti etnici in tutto il mondo hanno da tempo trovato una causa comune con i “cattolici romani” dell’Irlanda del Nord nel sostenere la tesi che la separazione dal sud è una illegittima eredità lunga 500 anni, di dominio incompetente e spesso insensibile da parte di Londra. L’Irlanda, terra di pub, poeti, drammaturghi e troppe canzoni di Eurovision che non fanno bene a nessuno, ha il soft power di competere con un Paese molte volte più grande di lei.

Fino ad oggi, tuttavia, l’unificazione non è mai stata più di una fantasia repubblicana. Anche quando l’IRA intraprese una sanguinosa campagna, nel 20° secolo, lo status costituzionale del nord è stato cementato da una solida maggioranza protestante, soccorsa dallo strapotere finanziario e militare dello stato britannico.

L’accordo del Venerdì Santo del 1998 ha tolto il fuoco dalla lotta, ponendo fine ai Troubles, che avevano causato oltre 3.500 vittime. Molti cattolici erano contenti di avere una rappresentanza nel governo dell’Irlanda del Nord grazie a quell’accordo e di vedere celebrata e sovvenzionata la loro cultura, la bandiera e lo sport.

Ma anche i protestanti hanno i loro terroristi e si pensa che una campagna per l’unificazione rischi di aprire vecchie ferite, con sanguinose conseguenze.

La Brexit è una delle ragioni per cui tutto ciò è cambiato. Il nord ha votato contro, ma il più grande partito unionista e l’Inghilterra l’hanno votata. I nazionalisti non furono i soli ad essere arrabbiati con l’attuale ministro degli interni (Priti Patel), che suggerì di usare la minaccia della carenza di cibo per ammorbidire Dublino nei negoziati, dimentico della carestia nel 1840 quando tutta l’Irlanda era sotto il dominio britannico.

La Brexit crea anche un confine economico nel Mare d’Irlanda, tra l’Irlanda del Nord e la Gran Bretagna, pur mantenendo un’Irlanda unita per il commercio delle merci. Sebbene con il sud i servizi diventeranno più difficili da mantenere, lo scambio di merci sarà più facile che con la Gran Bretagna. Dal momento che le sei contee del nord sono maggiormente colpite da ciò che accade a Dublino, crescerà il valore di avere voce in capitolo su chi governa lì.

La pressione per l’unificazione non riguarda solo la Brexit. Il censimento dell’Irlanda del Nord nel 2021 probabilmente confermerà che i cattolici superano per la prima volta i protestanti.

Anche la repubblica è diventata più accogliente. L’influenza della chiesa cattolica è svanita in modo drastico e la società è diventata più liberale. Negli ultimi tre decenni le restrizioni alla contraccezione sono state revocate e il matrimonio gay è stato legalizzato.

Tutto ciò spiega perché l’appoggio all’unificazione nell’Irlanda del Nord sembra essere aumentato negli ultimi anni. In alcuni sondaggi gli intervistati mostrano un supporto pressoché uguale a favore dell’Irlanda unita e dello status quo.

Ciò porta all’ultima ragione per pensare che l’unificazione è più probabile. Sebbene l’accordo del Venerdì Santo fosse mirato a convincere i cattolici a rimanere nel Regno Unito, stabilì anche come il nord avrebbe potuto unirsi pacificamente alla Repubblica.

Un segretario di Stato britannico che ritenesse probabile l’esistenza di una maggioranza favorevole all’unificazione sarebbe tenuto a chiedere un voto sullo stato costituzionale del nord. Per cambiare la costituzione della Repubblica, invece, sarebbe necessario un altro referendum nel sud.

L’UE ha già affermato che l’Irlanda del Nord potrebbe ricongiungersi al blocco sotto l’adesione dell’Irlanda dopo tale voto, il che significa che per gli elettori dell’Irlanda del Nord un referendum sull’unità irlandese è anche un secondo referendum sulla Brexit.

A differenza di una Scozia indipendente, che dovrebbe andare da sola (almeno fino a quando l’UE non acconsentirà ad ammetterlo), l’Irlanda del Nord si ricongiungerebbe immediatamente a un club più grande e ricco, dal quale potrebbe assicurarsi importanti sussidi, grandi almeno come – se non, forse di più – gli aiuti che riceve oggi da Westminster.

Ci sono ostacoli e incertezze. Il recente successo del Sinn Fein potrebbe orientare alcuni nel nord contro l’unificazione. La Brexit potrebbe rivelarsi meno efficace del previsto. Un segretario di Sstato britannico potrebbe rianimare la “stanza delle risse” (nella residenza di Hillsborough) con il rigetto dell’accordo del Venerdì Santo per sottrarsi all’obbligo di indire un referendum.

Molti politici britannici temono che un tale voto sarebbe un mal di testa amministrativo o, peggio, provocherebbe violenza. Così fanno le loro controparti irlandesi (escluso il Sinn Fein), anche se devono sempre essere viste come pienamente inclini all’unificazione.

Tuttavia, prima di quanto la maggior parte della gente si aspetti, lo slancio per un’Irlanda unita potrebbe diventare inarrestabile. Se la Scozia scegliesse l’indipendenza, molti nell’Irlanda del Nord perderebbero la loro connessione ancestrale con la Gran Bretagna.

Se il governo di Westminster si fosse costantemente rifiutato di riconoscere che vi è una maggioranza a favore dell’unificazione nell’Irlanda del Nord, ciò potrebbe essere altrettanto destabilizzante quanto la convocazione di un referendum.

I verdi germogli dell’unificazione
L’isola d’Irlanda ha bisogno di un piano. La priorità dovrebbe essere quella di capire come far sentire gli unionisti a casa e che per loro c’è un posto nella nuova Irlanda. È necessario lavorare sui fondamenti dell’unificazione, compreso il modo in cui, e in effetti, unire due sistemi sanitari (uno dei quali è gratuito), le forze armate e i servizi di polizia, e cosa fare riguardo all’assemblea in piena devolution del nord.

Aiuta che la Repubblica abbia una buona reputazione per il tipo di consultazioni costituzionali guidate dai cittadini che potrebbero adoperarsi a risolvere le cose.

Anche i politici britannici e irlandesi devono iniziare a parlare. Il prezzo da pagare per stabilire la fine alla violenza due decenni fa è stato per l’Irlanda del Nord, la repubblica e la Gran Bretagna quello di fissare congiuntamente una rotta politica verso l’Irlanda unita. Se il popolo del nord e la Repubblica scelgono questa strada, i politici devono seguirla.

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